Dopo tanto tempo, è pur lecito fare un bilancio.
Se mi chiedessero dove lavoro veramente, direi "in un circo", di quelli vittoriani, però, con tutta la sua fauna di poveri commedianti: l’acrobata in mutandoni a righe e i baffi a manubrio, i pagliacci sui trampoli, la ballerina culona in equilibrio sul cavallo da tiro, il domatore di pulci, la donna cannone…
Vestire una livrea di acrilico e recitare la solita parte non era proprio quel che mi aspettavo da studentessa universitaria di belle speranze (e illusioni), ma faccio buon viso a cattivo gioco, come tanti miei colleghi angli, sfoderando sorrisi e permettendomi di ritagliare tempo per seguire altri interessi e occupazioni, tra cui scrivere. Insomma, ho una "portfolio career" – come la chiamano gli angli – di cui vado anche fiera. Nel cul-de-sac dorato in cui sembro essermi arenata, non c’è una pista con gli elefanti in fila né i trapezisti che volteggiano in aria, ma la certezza fantozziana, sebbene minata dallo spauracchio della recessione, che falcia posti qua e là, del lavoro fisso da statale, con i suoi bassi servigi, abitudini e privilegi. Il pubblico, pagante e non, sciamando ovunque si mescola agli attori e ai figuranti, come in una grande fiera di paese.
Venghino siori venghino, per di qua…