Giorni fa è venuta giù tanta acqua, ma tanta, che il cielo era nero e a mezzogiorno sembravano le cinque di un pomeriggio di mezzo inverno. Sabato, invece, il sole splendeva, ma giusto il tempo per un’occhiata a dei kimono d’artista e una bibita a C’est Ici! che io e il Di Garbo siamo rimasti bloccati mezz’ora da un improvviso acquazzone. Pioveva ancora quando in serata mi sono recata al redivivo Millennium Dome, che ora si chiama O2, come la formula dell’ossigeno diatomico, o come un noto operatore di telecomunicazioni, fate vobis. La tenda-mostro con le zeppe ha riaperto i battenti come centro di intrattenimento multifunzione. Un passaggio coperto la connette alla stazione dei taxi, dei bus e della metropolitana. All’interno bar, ristoranti, cinema multisala, uno spazio per le mostre (che prossimamente ospiterà King Tut ) un’area concerti da 2.300 posti e l’Arena stessa, da 20.000. Quest’ultima l’ho testata per voi, assistendo al concerto pop senza chitarre dei Keane, anch’essi redivivi, dopo che lo scorso anno avevano dovuto interrompere il tour perché il cantante si era chiuso in clinica per problemi di droga (e Liam Gallagher, frontman degli Oasis, dall’alto dei suoi abusi criticò la scelta come poco rock’n’roll). Concertino carino, condito da vista spettacolare da vertigini, belle luci, simpatici effetti e acustica di qualità – trattandosi comunque di una tenda.
Ma, intanto, piove, e la pioggia viene giù, anche ora, mentre vi scrivo, mettendo le mie manacce sulla nuova creatura, un MacBook bianco, con il corpo da giovine e la memoria da vecchio.
Ho deciso che lo chiamerò Mac Senjiro Shiba, come il padre di Hiroshi in Jeeg Robot (non so se siete pratici di cartoni giappi anni ’80), perché costui aveva riversato la sua coscienza in un elaboratore elettronico, e così non era proprio morto.
Come il mio defunto computerino, che non è proprio morto, perché la sua memoria mi parla ancora, da uno schermo più largo.
In terra angla piove ormai da un mese, e tutti si lamentano e un sacco di zone sono alluvionate.
La mia abbronzaturina italiana si è ormai sbiadita, cammino ingiacchettata come a ottobre e non riesco proprio a credere che a due ore e mezzo di aereo da qui possa esserci della gente sudata, accaldata, avvinghiata al condizionatore, sbragata sul bagnasciuga, colpita dalla sete e dalla calura, che si lamenti del clima e dell’effetto serra.
Anche qui ci si lamenta, sì, ma perché l’acqua è ormai alle porte di casa e quella del rubinetto bisogna bollirla e pure nel museo ci piove dentro. E l’Evening Standard dice che Londra non è al sicuro, che domani pure il Tamigi strariperà, perciò si salvi chi può.
Ma, intanto, piove, e la pioggia viene giù, anche ora, mentre vi scrivo, mettendo le mie manacce sulla nuova creatura, un MacBook bianco, con il corpo da giovine e la memoria da vecchio.
Ho deciso che lo chiamerò Mac Senjiro Shiba, come il padre di Hiroshi in Jeeg Robot (non so se siete pratici di cartoni giappi anni ’80), perché costui aveva riversato la sua coscienza in un elaboratore elettronico, e così non era proprio morto.
Come il mio defunto computerino, che non è proprio morto, perché la sua memoria mi parla ancora, da uno schermo più largo.
In terra angla piove ormai da un mese, e tutti si lamentano e un sacco di zone sono alluvionate.
La mia abbronzaturina italiana si è ormai sbiadita, cammino ingiacchettata come a ottobre e non riesco proprio a credere che a due ore e mezzo di aereo da qui possa esserci della gente sudata, accaldata, avvinghiata al condizionatore, sbragata sul bagnasciuga, colpita dalla sete e dalla calura, che si lamenti del clima e dell’effetto serra.
Anche qui ci si lamenta, sì, ma perché l’acqua è ormai alle porte di casa e quella del rubinetto bisogna bollirla e pure nel museo ci piove dentro. E l’Evening Standard dice che Londra non è al sicuro, che domani pure il Tamigi strariperà, perciò si salvi chi può.