Mi muovo nella città con anima anestetizzata. L’inverno è piombato sull’estate come un falco e piccole modifiche alterano l’orizzonte di ciò che mi era familiare: nuove ed aliene barriere gialle delimitano il marciapiede dei taxi, così la fila sarà ancora più ordinata, hanno aperto una nuova patisserie, nuovi palazzi spuntano qua e là come funghi, al posto del negozio di finti mobili italiani andato fallito, è nato l’ennesimo Tesco Express e nelle stazioni hanno chiuso i chioschetti del caffè equo e solidale, perché la ditta ha perso l’appalto con le ferrovie (peccato, il loro beverone era equo anche per le mie tasche). Insomma, sono stata via solo due settimane, ma il mio ritmo lento sembra non accordarsi bene con la sporulazione del tessuto urbano. Ieri la bimba coreana era di passaggio per riprendere alcuni effetti personali e ci siamo viste in centro. Forse non metterà mai più piede in questa metropoli, così estranea e frenetica, che la faceva sentire triste e confusa. Là in Corea le hanno offerto un gran bel lavoro: curatrice di mostre in una galleria di design. Non posso darle torto.Dopo un caffè iniquo, siamo andate a The Piazza, a Covent Garden, per visitare "Anomalies", una mostra di nuovi talenti partoriti dal nostro ex college. Mi son piaciute la lampada femminista che cola cioccolato caldo, le mensole astruse da inserire nei muri come anomale punteggiature architettoniche, il pannello di luci rosse da appoggiare alla parete e, più di tutto, le tende con le silhouettes incorporate, un espediente di facciata, perché a chi guarda dalla strada sembri sempre che a casa nostra ci sia una festa.