Era la fine di settembre 2003 quando approdai a Londra per rimanerci in pianta stabile (non avevo idea se si trattasse di un trimestre o più a lungo, certo non immaginavo tutti questi anni). Avevo un’idea astratta dell’autunno londinese, me lo immaginavo tutta nebbia e umidità.
Invece, mi ritrovai a vivere una stagione dorata, graziata dalle giornate di sole dell’Indian Summer e dalle bellissime cromie delle foglie, in procinto di cadere.
Era l’inverno che non conoscevo ancora, con le sue albe ritardatarie, la luce elettrica alle 8 di mattina, il buio che ti piombava addosso alle 16, le occasionali spolverate di neve, il vento gelido.
Fu proprio in quel primissimo inverno, davvero grigio, che un sole artificioso e artificiale rischiarò il mio tempo libero.
Alla Tate Modern, nella Turbine Hall, l’artista Olafur Eliasson aveva installato The Weather Project. Il concetto era semplice: un semicerchio di luce, riflesso in uno specchio, e un po’ di foschia per ammorbidire lo spazio.
La sala si trasformava in un palcoscenico, dove la gente si fermava a guardare, si sdraiava sul pavimento, si metteva a fare yoga. Era solo uno specchio e un semicerchio di luce, ma per noi quello era un sole, un disco di luce amica, perennemente al tramonto, che rischiarava le nostre giornate buie.
L’installazione non è mai più stata ripetuta, sembra che i materiali giacciano in varie scatole, nella cantina dell’artista danese-islandese, che, nel frattempo, ha creato altre situazioni, installato altre meraviglie.
La più recente, proprio lo scorso autunno, si intitolava Ice Watch.
Eliasson, in collaborazione con il geologo Minik Rosing, aveva estratto 30 blocchi di ghiaccio dalla Groenlandia e li aveva piazzati in vari spazi pubblici, da Copenhagen a Parigi, fino a Londra (alcuni davanti alla Tate Modern, altri di fronte al quartier generale di Bloomberg, nella City), per lasciarli sciogliere e sottolineare così la necessità urgente di agire contro i cambiamenti climatici.
Ora, le affascinanti installazioni di Olafur Eliasson sono protagoniste di una retrospettiva alla Tate Modern. Di queste opere, solo una era stata già presentata nel Regno Unito (Room for One Colour), le altre, invece, sono inedite e introducono i visitatori alla riproduzione di fenomeni naturali oppure utilizzano riflessi e ombre per alterare la percezione e la relazione con lo spazio.
In Real Life è una mostra immersiva, piena di meraviglie: piove con il sole, una candela brucia da ambo i lati, una macchina produce ombre, una parete è interamente coperta di muschio, l’arcobaleno nasce in una stanza, si può entrare in un caleidoscopio, assistere alle danze eteree di un ectoplasma.
La mostra inizia e termina con i progetti e le diverse attività in cui Eliasson è impegnato, dallo studio di forme naturali, alle imprese sociali e ai progetti con rifugiati, fino alle idee più innovative in architettura e le indagini concettuali su un’esperienza quotidiana come quella di preparare il cibo.
Al piano terra della Turbine Hall ci si diverte a costruire città immaginarie, fatte di lego bianco, mentre, fuori dalla Tate, una cascata d’acqua sgorga chiassosa da una struttura metallica di 11 metri (Waterfall-2019).
Quella di Eliasson è una visione teatrale ed estraniante del mondo, di cui tutti facciamo parte e condividiamo le sorti.
Piccoli miracoli da gustare, come un sole straordinario, nel buio opprimente dell’inverno.