Quando si pensa all’arte egizia, a Londra, inevitabilmente viene in mente la collezione del British Museum, con la celebre Stele di Rosetta, il gigantesco busto di Ramesse II (trasportato da Giovanni Battista Belzoni in riva al Nilo e poi spedito in Inghilterra per conto del console generale Henry Salt), le mummie e gli affreschi della tomba di Nebamon.
Non molti sanno, però, dell’esistenza di un piccolo, ma ricchissimo museo egizio, nel cuore dell’University College London (UCL).
Da poco più di un secolo, il Petrie Museum of Egyptian Archaeology, è il luogo “segreto” dove recarsi per avere un incontro ravvicinato e, in un certo senso, più intimo e profondo, con la cultura egizia.
Nato dal lascito della scrittrice ed egittologa Amelia Edwards, fautrice della conservazione dei beni egiziani e fondatrice dell’Egypt Exploration Fund (oggi Egypt Exploration Society), il nucleo iniziale del museo si andò arricchendo grazie al contributo di William Matthew Flinders Petrie, fondatore della British School of Archaeology in Egypt.
Petrie aveva una passione incommensurabile per l’archeologia e, pur non avendo mai frequentato l’università, fatta eccezione per un corso part time in algebra, divenne il primo insegnante della cattedra di Archeologia e Filologia Egizia alla UCL.
Dal 1880, anno del suo primo viaggio in Egitto, Petrie aveva passato svariate decadi a scavare i principali siti archeologici, come ad esempio Abydos e Amarna, la città di Akhenaton (il faraone eretico) e di Tutankhamon.
Tra i locali, alcuni di loro divenuti scavatori professionisti e preziosi collaboratori, Petrie era conosciuto con il soprannome di “Father of Pots”, perché aveva stabilito un sistema cronologico, basato sugli stili ceramici. Dopo oltre un centinaio di anni di scavi rudimentali, razzie di avventurieri, commerci e acquisti più o meno leciti, finalmente si era giunti ad operato scientifico e responsabile, che includeva la catalogazione sistematica dei reperti e la registrazione dei cantieri.
La metodologia di Petrie veniva trasmessa via via agli studenti che lo seguivano nelle spedizioni archeologiche, tra cui anche T. E. Lawrence (Lawrence d’Arabia). Gli studenti contribuirono anche all’espandersi della collezione, ospitata finalmente in un nuovo museo universitario, inaugurato a UCL nel 1915, nell’ala del dipartimento di Egittologia. Il museo era nato inizialmente solo per servire alle esigenze di studio ed insegnamento di accademici e professori. Sopravvissuto ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, che distrussero gran parte del dipartimento, i tesori del Petrie Museum furono tenuti in deposito fino al 1949, per poi essere alloggiati in alcuni locali temporanei… Quelli che li ospitano tutt’ora!
Il visitatore, però, non deve lasciarsi ingannare dalle apparenze modeste.
Il Petrie Museum, infatti, ospita ben 80.600 oggetti, che vanno dalla preistoria all’era dei Faraoni, dall’Egitto Tolemaico a quello Romano e Copto, dal Delta del Nilo al Sudan.
Il museo è gratuito ed aperto al pubblico. I reperti che non sono esposti (e sono solo un decimo della collezione) possono essere richiesti in visione su appuntamento, e non occorre essere studiosi o luminari egittologi.
Tutto il resto è arrangiato, oserei dire, stipato, in teche di vetro, spesso munite di cassetti apribili, che nascondono tesori. Non c’è angolo o superficie del museo che non sia stato sfruttato a dovere, ci sono addirittura vetrine disposte lungo la scala che porta all’uscita di sicurezza.
Tra le attrazioni principali, si annoverano i manufatti provenienti da Amarna, tra cui il ritratto su lastra di calcare della regina Nefertiti, un rarissimo papiro medico (forse il più antico trattato di ginecologia, scoperto nel 1889), tantissime figurine di gatti (collezione Langton), e begli esempi di ritrattistica funeraria di epoca romana, provenienti da Hawara. Inoltre, più di tremila perline di vetro, ceramica, osso, madreperla, oro e materiali semi preziosi (importati da India, Afganistan e Turchia), arrangiate, assieme ad amuleti e conchiglie, a formare ornamenti vari, come bracciali, cavigliere, diademi, conchiglie ed amuleti. Questi monili venivano portati da donne, uomini e fanciulli, anche cuciti sulle vesti e intessuti tra i capelli, e, assieme ai vividi colori delle suppellettili e dei lacerti di pittura, ci restituiscono un’immagine vibrante dell’identità sociale e dell’artigianato dell’Antico Egitto.
Il Petrie Museum è stato uno dei primissimi a digitalizzare la sua collezione ed ha anche sviluppato dei modelli in 3D che possono essere esplorati in virtuale, senza bisogno di rimuovere gli oggetti dalle teche. Esiste anche una app gratuita per iPad 2/3 e iPad mini, dal titolo: Tour of the Nile.
Non molti sanno, però, dell’esistenza di un piccolo, ma ricchissimo museo egizio, nel cuore dell’University College London (UCL).
Da poco più di un secolo, il Petrie Museum of Egyptian Archaeology, è il luogo “segreto” dove recarsi per avere un incontro ravvicinato e, in un certo senso, più intimo e profondo, con la cultura egizia.
Nato dal lascito della scrittrice ed egittologa Amelia Edwards, fautrice della conservazione dei beni egiziani e fondatrice dell’Egypt Exploration Fund (oggi Egypt Exploration Society), il nucleo iniziale del museo si andò arricchendo grazie al contributo di William Matthew Flinders Petrie, fondatore della British School of Archaeology in Egypt.
Petrie aveva una passione incommensurabile per l’archeologia e, pur non avendo mai frequentato l’università, fatta eccezione per un corso part time in algebra, divenne il primo insegnante della cattedra di Archeologia e Filologia Egizia alla UCL.
Dal 1880, anno del suo primo viaggio in Egitto, Petrie aveva passato svariate decadi a scavare i principali siti archeologici, come ad esempio Abydos e Amarna, la città di Akhenaton (il faraone eretico) e di Tutankhamon.
Tra i locali, alcuni di loro divenuti scavatori professionisti e preziosi collaboratori, Petrie era conosciuto con il soprannome di “Father of Pots”, perché aveva stabilito un sistema cronologico, basato sugli stili ceramici. Dopo oltre un centinaio di anni di scavi rudimentali, razzie di avventurieri, commerci e acquisti più o meno leciti, finalmente si era giunti ad operato scientifico e responsabile, che includeva la catalogazione sistematica dei reperti e la registrazione dei cantieri.
La metodologia di Petrie veniva trasmessa via via agli studenti che lo seguivano nelle spedizioni archeologiche, tra cui anche T. E. Lawrence (Lawrence d’Arabia). Gli studenti contribuirono anche all’espandersi della collezione, ospitata finalmente in un nuovo museo universitario, inaugurato a UCL nel 1915, nell’ala del dipartimento di Egittologia. Il museo era nato inizialmente solo per servire alle esigenze di studio ed insegnamento di accademici e professori. Sopravvissuto ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, che distrussero gran parte del dipartimento, i tesori del Petrie Museum furono tenuti in deposito fino al 1949, per poi essere alloggiati in alcuni locali temporanei… Quelli che li ospitano tutt’ora!
Il visitatore, però, non deve lasciarsi ingannare dalle apparenze modeste.
Il Petrie Museum, infatti, ospita ben 80.600 oggetti, che vanno dalla preistoria all’era dei Faraoni, dall’Egitto Tolemaico a quello Romano e Copto, dal Delta del Nilo al Sudan.
Il museo è gratuito ed aperto al pubblico. I reperti che non sono esposti (e sono solo un decimo della collezione) possono essere richiesti in visione su appuntamento, e non occorre essere studiosi o luminari egittologi.
Tutto il resto è arrangiato, oserei dire, stipato, in teche di vetro, spesso munite di cassetti apribili, che nascondono tesori. Non c’è angolo o superficie del museo che non sia stato sfruttato a dovere, ci sono addirittura vetrine disposte lungo la scala che porta all’uscita di sicurezza.
Tra le attrazioni principali, si annoverano i manufatti provenienti da Amarna, tra cui il ritratto su lastra di calcare della regina Nefertiti, un rarissimo papiro medico (forse il più antico trattato di ginecologia, scoperto nel 1889), tantissime figurine di gatti (collezione Langton), e begli esempi di ritrattistica funeraria di epoca romana, provenienti da Hawara. Inoltre, più di tremila perline di vetro, ceramica, osso, madreperla, oro e materiali semi preziosi (importati da India, Afganistan e Turchia), arrangiate, assieme ad amuleti e conchiglie, a formare ornamenti vari, come bracciali, cavigliere, diademi, conchiglie ed amuleti. Questi monili venivano portati da donne, uomini e fanciulli, anche cuciti sulle vesti e intessuti tra i capelli, e, assieme ai vividi colori delle suppellettili e dei lacerti di pittura, ci restituiscono un’immagine vibrante dell’identità sociale e dell’artigianato dell’Antico Egitto.
Il Petrie Museum è stato uno dei primissimi a digitalizzare la sua collezione ed ha anche sviluppato dei modelli in 3D che possono essere esplorati in virtuale, senza bisogno di rimuovere gli oggetti dalle teche. Esiste anche una app gratuita per iPad 2/3 e iPad mini, dal titolo: Tour of the Nile.