Alla scoperta della Londra Romana

RomanLondonLa nostra conoscenza della Londra romana, deve moltissimo prima al lavoro di storici ed antiquari dell’ottocento, poi all’infaticabile operato degli archeologi, che, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, sono intervenuti in numerosissimi siti della città, portando alla luce manufatti e strutture che dimostrarono la sopravvivenza di vaste parti di Londinium, a circa sette od otto metri sotto le moderne strade della City. La figura più importante del XIX secolo fu Charles Roach Smith, antiquario, numismatico ed archeologo, che per vivere svolgeva l’attività di chimico. In anni molto frenetici per l’edilizia della City di Londra, dalla costruzione del Royal Exchange a quella del London Bridge, passando per la demolizione di vecchi edifici e case fatiscenti, Roach Smith riuscì ad essere molto presente, ritrovando ed acquistando notevoli antichità romane. Negli stessi anni, la City Corporation stava diventando sempre più interessata a mostrare artefatti relativi alla storia di Londra. Nel 1826 fu istituito il Guildhall Museum, precursore del moderno Museum of London. Roach Smith divenne una vera autorità su Londinium e svolse la prima vera campagna di indagini archeologiche in Gran Bretagna, ipotizzando l’esistenza di un ponte romano sul Tamigi e fornendo delle preziose illustrazioni, rimaste pressoché insuperate per almeno mezzo secolo. Roach Smith pubblicò anche un fortunato volume, nel 1854, dal titolo: “Catalogue of the Museum of London Antiquities”.
Fino al 5 gennaio 2018, una piccola, ma esaustiva mostra alla Guidhall Library, esamina l’operato dei primi pionieri dell’archeologia romana e la scoperta di Londinium tra il Grande Incendio e la Prima Guerra Mondiale. La mostra si avvale di elementi d’archivio e straordinarie illustrazioni del XIX secolo, provenienti dalle collezioni della biblioteca, e di manufatti archeologici in prestito dal Museum of London.

Poco lontano dalla Guildhall, nei pressi di Cannon Street, è stato finalmente completato il quartier generale europeo di Bloomberg, in un suggestivo edificio, progettato da Norman Foster. Al suo interno, si trova il London Mithraeum, uno speciale spazio espositivo, gratuito (ma esclusivamente su prenotazione), in cui sono preservati, sette metri al di sotto del livello stradale, i resti del tempio di Mitra, una struttura di età imperiale, rinvenuta nel 1954. Il London Mithraeum, che ha aperto al pubblico il 14 novembre scorso, presenta anche un’interessante selezione di reperti rinvenuti negli scavi (2013) che precedettero la costruzione del moderno edificio, in uno dei più importanti siti di epoca romana nel Regno Unito, indicato dagli studiosi come la Pompei del Nord.

A Londra, una delle migliori collezioni di antichità egizie

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Quando si pensa all’arte egizia, a Londra, inevitabilmente viene in mente la collezione del British Museum, con la celebre Stele di Rosetta, il gigantesco busto di Ramesse II (trasportato da Giovanni Battista Belzoni in riva al Nilo e poi spedito in Inghilterra per conto del console generale Henry Salt), le mummie e gli affreschi della tomba di Nebamon.
Non molti sanno, però, dell’esistenza di un piccolo, ma ricchissimo museo egizio, nel cuore dell’University College London (UCL).
Da poco più di un secolo, il Petrie Museum of Egyptian Archaeology, è il luogo “segreto” dove recarsi per avere un incontro ravvicinato e, in un certo senso, più intimo e profondo, con la cultura egizia.
Nato dal lascito della scrittrice ed egittologa Amelia Edwards, fautrice della conservazione dei beni egiziani e fondatrice dell’Egypt Exploration Fund (oggi Egypt Exploration Society), il nucleo iniziale del museo si andò arricchendo grazie al contributo di William Matthew Flinders Petrie, fondatore della British School of Archaeology in Egypt.
Petrie aveva una passione incommensurabile per l’archeologia e, pur non avendo mai frequentato l’università, fatta eccezione per un corso part time in algebra, divenne il primo insegnante della cattedra di Archeologia e Filologia Egizia alla UCL.
Dal 1880, anno del suo primo viaggio in Egitto, Petrie aveva passato svariate decadi a scavare i principali siti archeologici, come ad esempio Abydos e Amarna, la città di Akhenaton (il faraone eretico) e di Tutankhamon.
Tra i locali, alcuni di loro divenuti scavatori professionisti e preziosi collaboratori, Petrie era conosciuto con il soprannome di “Father of Pots”, perché aveva stabilito un sistema cronologico, basato sugli stili ceramici. Dopo oltre un centinaio di anni di scavi rudimentali, razzie di avventurieri, commerci e acquisti più o meno leciti, finalmente si era giunti ad operato scientifico e responsabile, che includeva la catalogazione sistematica dei reperti e la registrazione dei cantieri.
La metodologia di Petrie veniva trasmessa via via agli studenti che lo seguivano nelle spedizioni archeologiche, tra cui anche T. E. Lawrence (Lawrence d’Arabia). Gli studenti contribuirono anche all’espandersi della collezione, ospitata finalmente in un nuovo museo universitario, inaugurato a UCL nel 1915, nell’ala del dipartimento di Egittologia. Il museo era nato inizialmente solo per servire alle esigenze di studio ed insegnamento di accademici e professori. Sopravvissuto ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, che distrussero gran parte del dipartimento, i tesori del Petrie Museum furono tenuti in deposito fino al 1949, per poi essere alloggiati in alcuni locali temporanei… Quelli che li ospitano tutt’ora!
Il visitatore, però, non deve lasciarsi ingannare dalle apparenze modeste.
Il Petrie Museum, infatti, ospita ben 80.600 oggetti, che vanno dalla preistoria all’era dei Faraoni, dall’Egitto Tolemaico a quello Romano e Copto, dal Delta del Nilo al Sudan.
Il museo è gratuito ed aperto al pubblico. I reperti che non sono esposti (e sono solo un decimo della collezione) possono essere richiesti in visione su appuntamento, e non occorre essere studiosi o luminari egittologi.
Tutto il resto è arrangiato, oserei dire, stipato, in teche di vetro, spesso munite di cassetti apribili, che nascondono tesori. Non c’è angolo o superficie del museo che non sia stato sfruttato a dovere, ci sono addirittura vetrine disposte lungo la scala che porta all’uscita di sicurezza.
Tra le attrazioni principali, si annoverano i manufatti provenienti da Amarna, tra cui il ritratto su lastra di calcare della regina Nefertiti, un rarissimo papiro medico (forse il più antico trattato di ginecologia, scoperto nel 1889), tantissime figurine di gatti (collezione Langton), e begli esempi di ritrattistica funeraria di epoca romana, provenienti da Hawara. Inoltre, più di tremila perline di vetro, ceramica, osso, madreperla, oro e materiali semi preziosi (importati da India, Afganistan e Turchia), arrangiate, assieme ad amuleti e conchiglie, a formare ornamenti vari, come bracciali, cavigliere, diademi, conchiglie ed amuleti. Questi monili venivano portati da donne, uomini e fanciulli, anche cuciti sulle vesti e intessuti tra i capelli, e, assieme ai vividi colori delle suppellettili e dei lacerti di pittura, ci restituiscono un’immagine vibrante dell’identità sociale e dell’artigianato dell’Antico Egitto.
Il Petrie Museum è stato uno dei primissimi a digitalizzare la sua collezione ed ha anche sviluppato dei modelli in 3D che possono essere esplorati in virtuale, senza bisogno di rimuovere gli oggetti dalle teche. Esiste anche una app gratuita per iPad 2/3 e iPad mini, dal titolo: Tour of the Nile.

Crossrail: nuovi ritrovamenti

IMG_3519Abbiamo già parlato del progetto Crossrail, una linea ferroviaria sotterranea ad alta velocità e capacità, che collegherà Londra al nord, est e ovest della regione, connettendosi a stazioni della metropolitana già esistenti e inaugurandone di nuove. La costruzione di Crossrail combacia con uno dei più vasti programmi archeologici, che prevede indagini approfondite su ogni cantiere, prima della costruzione delle stazioni centrali. Le ricerche vengono condotte per comprendere l’impatto del progetto sulle strutture pre-esistenti ed è un’opportunità eccezionale per scoprire cosa si cela sotto le strade della città.
Fin qui, gli archeologi del Museum of London hanno riportato alla luce reperti di ogni genere: dalle ossa di animali preistorici, ai manufatti della Londinium romana, dalle sepolture della Peste Nera alle suppellettili di epoca elisabettiana, fino alle infrastrutture industriali vittoriane.
Dopo l’esposizione del 2012, una selezione di recenti ritrovamenti è attualmente in mostra presso il Centro Informazioni Crossrail a Tottenham Court Road. Fino al 15 marzo, sarà possibile ammirare più di 50 reperti, tra cui dei teschi di epoca romana, un’urna cineraria (che, al momento della scoperta, conteneva ancora dei resti), monete di epoca imperiale, selci del mesolitico, ceramiche Tudor, una scarpa rinascimentale, una lapide seicentesca, proveniente dal Bethlem Royal Hospital (Bedlam), un vasetto di unguento al mercurio per le malattie veneree, e una robusta catena proveniente dal cantiere navale di Thames Ironworks a Canning Town.
La mostra prevede anche un ciclo di conferenze gratuite, limitate a 50 posti, tenute da archeologi che hanno lavorato al progetto Crossrail.

Portals to the Past
Crossrail Visitor Information Centre
16-18 St Giles High Street,  WC2H 8LN
Orari: martedì e giovedì 11:00-19:00; mercoledì 11:00-17:30; sabato 10:00-17:00.
Ingresso: gratuito

Resti Romani e scheletri Tudor

denarius_©LondonSE4Crossrail è un ambizioso progetto, che doterà il sistema metropolitano di ben 21 km di gallerie, parallele e connesse a quelle della Tube, e percorribili da treni ad alta velocità, provenienti da nord, est e ovest  della regione. 37 le stazioni del tratto centrale, di cui 8 completamente nuove, lungo una linea che da Heathrow, passerà per Paddington, Tottenham Court Road, Liverpool Street, fino a Canary Wharf. Crossrail non è solo il progetto ingegneristico più grande d’Europa, ma anche fonte di un’imponente ricerca archeologica, che ha dato, fin qui, risultati notevoli. Non capita di certo di tutti i giorni che a Londra si scavi così in profondità e in maniera tanto sistematica. La città viene di solito ascritta al 43 d.C., anno di fondazione da parte dei Romani, ma si sa, da sparuti reperti archeologici, che gli insediamenti umani nell’area risalgono perlomeno al mesolitico. Il cuore della città è fatto di strati, che datano dall’età del bronzo, all’epoca romana, dal medioevo ai Tudor, fino ai Vittoriani. L’equipe di archeologi che lavora per Crossrail, dal 2009 ha il compito di investigare i siti dove sorgeranno stazioni e tunnel, prima che i costruttori e le colate di cemento prendano il sopravvento. In tre anni di demolizioni e scavi, le scoperte e le informazioni ricavate sono tanto copiose quanto affascinanti. Una bella mostra speciale, totalmente gratuita e aperta solo per oggi, nei locali di Grays Antiques, a South Molton Lane, è servita a fare il punto sulla situazione degli scavi. Nella zona compresa tra Moorfields e la stazione di Liverpool Street, là dove un tempo sorgeva il manicomio di Bedlam, è stata rinvenuta un’area cimiteriale con un notevole numero di sepolture. Difficile stabilire se gli scheletri, databili ad un periodo compreso tra  il 1568 e il 1720, appartengano ai pazienti internati nell’ospedale psichiatrico o, piuttosto, a semplici parrocchiani. L’esemplare in mostra, uno dei meglio conservati, era quello di un giovane, tra i 18 e i 25 anni, già sofferente di discopatie e deformazioni delle falangi, molto probabilmente costretto a pesanti lavori manuali, fin dalla tenera età. Tra la City e Tottenham Court Road è stata rinvenuta la maggior parte di reperti, per lo più rifiuti domestici, come manufatti d’osso (mollette, manici di coltelli, una pedina del domino, pattini rudimentali), vasellame di terracotta invetriata, pipe di argilla. All’epoca romana risalgono invece frammenti di preziosa sigillata rossa e un denarius d’argento, ben preservato, dell’epoca di Alessandro Severo (228-231 dC). Nell’area corrispondente allo stabilimento della ditta alimentare Crosse and Blackwell, al n. 21 di Soho Square, è stata portata alla luce una cisterna, riempita da oltre due tonnellate di vasi e recipienti in ceramica, principalmente contenitori di salse e conserve della fabbrica stessa. Tuttavia, la porcellana veniva utilizzata per recipienti destinati ad uso ben diverso, come dimostra il fantasioso pitale vittoriano, ritrovato a Stepney Green. Più oltre, a Canary Wharf, una scoperta sensazionale: rari frammenti di ambra, vecchi più di 50 milioni di anni. Potranno dare agli studiosi informazioni importanti sia sul tipo di piante presenti nella zona, sia sulle condizioni ambientali del tardo pleistocene.

Mary Beard incontra i Romani

mary beard meets the romansDegli antichi Romani, anche se non si è fatto il liceo classico, sappiamo ormai parecchio. Ci hanno trasmesso l’arco, gli acquedotti, la cultura ellenistica, una rete viaria che utilizziamo ancora adesso, un codice legislativo mica male, e, gran parte della lingua in cui vi sto scrivendo, discende direttamente dal latino.
I Romani abitavano in domus lussuose o insulae sovraffollate, l’economia era basata sul lavoro schiavile e le conquiste militari, il tempo libero si svolgeva tra terme, teatro, spettacoli circensi e laute cene. L’immaginario collettivo, tra vestigia cittadine e scavi pompeiani, si è poi nutrito di innumerevoli versioni cinematografiche,  in cui l’eroe o l’antieroe di turno, togato e laureato, nell’arena o in lettiga, prendeva via via le fattezze di Marlon Brando, Charlton Heston, Peter Ustinov, Russel Crowe, Totò e Alberto Sordi.  Tuttavia, sebbene siamo ormai ferrati su grandi nomi di politici, imperatori, nobili e generali dell’Impero, quando pensiamo agli antichi romani ordinari, gente che viveva nelle città, svolgendo i lavori più disparati, soffrendo, ridendo, amando e pagando tributi, proprio come noi, allora la faccenda si fa più nebulosa.
Eppure, se solo si sa dove guardare, le voci lontane di questi antenati si fanno vivide e sonore; ci raccontano piccole storie quotidiane e ci danno la misura di questioni più ampie, gettando luce su una società cosmopolita (non come la intendiamo noi oggi) fatta sì di fasti e lussi, ma anche di ombre e povertà.

Proprio ieri sera, è andata in onda l’ultima puntata di una miniserie della BBC 2, dal titolo “Meet the Romans”. In essa, lo spettatore viene affidato alla guida di Mary Beard, classicista dell’Università di Cambridge, che lo porterà in giro per strade, tombe, fori, musei e depositi di Roma ed altre città, svelando curiosità e segreti degli antichi romani, tra un’epigrafe latina, una tibia consumata, un busto dal naso sbeccato. Niente di noioso ed accademico, come si potrebbe pensare. Mary Beard è una donna pratica, la cui vasta conoscenza ci viene trasmessa con entusiasmo e per mezzo di una comunicativa spumeggiante, scevra da pomposi gerghi e affettazioni.
La Beard è una simpatica eccentrica, che gira in bicicletta per le caotiche strade della Roma odierna o per solitari tratti dell’Appia Antica, discutendo di storia e archeologia con eminenti luminari, davanti ad un cappuccino fumante, al tavolino di un caffè affollato; la seguiamo di buon mattino, mentre va a vedere come si fa il pane in un laboratorio, mettendo le mani in pasta come duemila anni fa; oppure nel dipartimento di antichità romane del British Museum, mentre fa cenno di provarsi l’elmo di un gladiatore. Mary passeggia con gli esperti di turno per le vie di Ostia antica e si aggira tra le pareti di case pompeiane, proprio come faremmo noi in una gita domenicale. Quando occorre, la fida spazzolina ripulisce i marmi dalla polvere, le dita scorrono sicure lungo tituli e tabulae, epitaffi e graffiti. Dal latino oscuro, fuoriescono storie di panettieri parvenu, scolari modello, schiavi affrancati, pettinatrici imperiali, vittime di omicidio, ménages a trois, mercanti di pepe. Coi suoi capelli lunghi e grigi, un po’ da hippie, e le smorfie che tradiscono partecipazione ed entusiasmo, per quello che mano mano ci va svelando, l’illustre studiosa penetra attraverso cancellate solitamente chiuse da pesanti lucchetti, si fa aprire vetrine sigillate, casse di depositi dove dormono piccoli e grandi tesori, come la barbie di Crepereia Tryphaena. Il fatto che una docente universitaria, quasi sessantenne, sappia raccontare fatti storici ed aneddoti con professionalità e vivace ironia, senza tradire alcun cenno di parrucchiere, manicure, trucco o botulino, non è piaciuto ad alcuni noti detrattori. Il critico televisivo A.A. Gill, invece di soffermarsi a recensire il documentario della BBC, ha preferito lanciare invettive contro l’aspetto fisico della Beard, asserendo che è troppo brutta per la TV. Stesso tono per le critiche della bionda Samantha Brick, giornalista del Daily Mail, in un articolo pubblicato stamattina. Al solito, sembra che, per una donna, in Gran Bretagna come in Italia, il requisito essenziale per apparire in video, sia sopra a tutto la bellezza, piuttosto che l’intelligenza. Il pubblico inglese ha largamente gradito il programma e continua a supportare Mary Beard, la quale non si è fatta peraltro sconfiggere dalle critiche al vetriolo. La studiosa,  rispondendo agli attacchi dalle pagine del Telegraph e dello stesso Daily Mail, ha sottolineato con ironia i suoi difetti fisici, dovuti ad anni di studio, un certo patrimonio genetico da cui non è riuscita a sfuggire e i segni di 57 primavere posatesi sulle sue spalle. Avendo, a suo tempo, dovuto lottare contro un mondo accademico, che non privilegiava in alcun modo l’ascesa delle donne, la Beard si è poi definita “too brainy for men who fear clever women”.

Mudlarking in London

mudlark findings
Un Mudlark è qualcuno che scandaglia nelle rive fangose di un fiume o di un porto in cerca di oggetti di un qualsivoglia valore. Il termine fu coniato nel diciottesimo secolo, in senso dispregiativo, ad indicare quei disperati che, durante la Rivoluzione Industriale, approfittavano delle basse maree per raccattare tutto ciò che poteva tornare utile o da cui trarre profitto. Celeberrimi poi i mudlarks della Londra vittoriana, bambini spesso orfani, costretti a cercare rifiuti riutilizzabili nelle fredde melme del Tamigi. Oggi i mudlarks esistono ancora, ma ciò che li spinge ad avventurarsi sulle rive del fiume, al calare della marea, non è l’indigenza, bensì un certo spirito di avventura, unito alla passione per l’archeologia e all’amore per la propria città. Per essere un moderno mudlark occorrono degli stivali di gomma, una certa attenzione e la speranza di trovare qualcosa di significativo. Una modena organizzazione, fondata nel 1980, The Society of Thames Mudlark, ha una licenza speciale, rilasciata dall’autorità portuale londinese, che permette ai suoi membri di dissotterrare reperti dal fango del Tamigi, anche con l’aiuto di metal detector, e riportare eventuali scoperte archeologiche al Museo di Londra. Un permesso standard giornaliero dà invece la possibilità a semplici appassionati di cercare oggetti sulle rive del fiume scavando fino a sette centimetri e mezzo di profondità. Ma è possibile anche mantenersi al livello di superficie, raccogliendo semplicemente ciò che è visibile, durante una singolare passeggiata. Per saperne di più, abbiamo intervistato David Kelly, un giovane londinese, appassionato di arte e di archeologia, che da qualche tempo si dedica a questa attività.

Come sei venuto a conoscenza del Mudlarking?

Stavo bevendo qualcosa con la mia amica Sarah, un’archeologa, esperta di ossa umane, che lavora per il Museo di Londra. Eravamo vicini al Tamigi e stavamo parlando del suo lavoro. Ad un certo punto lei mi ha suggerito di andare giù sulle rive del fiume in cerca di ossa. Ho accettato la proposta e sono rimasto letteralmente catturato da questa nuova esperienza.

Ogni quanto pratichi il Mudlarking?

Cerco di andare ogni settimana, ma ovviamente tutto dipende dal livello delle maree e dalle condizioni atmosferiche.

C’è bisogno di una particolare attrezzatura? 

I “Wellington Boots” sono essenziali! Bisogna anche portarsi dietro un paio di buste per raccogliere gli oggetti che si trovano man mano, e anche alcuni strumenti utili, come una paletta o un piccolo rastrello da giardinaggio. Da un punto di vista igienico consiglio l’uso di guanti e di avere da parte anche qualche cerotto. E anche un taccuino, per annotare informazioni utili, ad esempio il luogo di ritrovamento degli oggetti. Se poi si vuole fare del mudlarking serio, magari per trovare qualche tesoro… ci vuole un metal detector.

Spese extra?

Ci sono costi se si vogliono effettuare scavi sulle rive del fiume; infatti ci vuole un permesso da richiedere all’autorità portuale, che può costare dalle 50 alle 60 sterline. Ma ci sono anche permessi giornalieri, più economici, circa 7 sterline e 50. Ovviamente, se si compra un permesso di scavo, significa che si vuole fare una ricerca accurata, e quindi ci vuole un metal detector. I più economici si aggirano sulle 150 sterline.

Dal tuo punto di vista personale, quali sono gli aspetti eccitanti del mudlarking e cosa consiglieresti a chi non ha mai provato?

Ci sono molti fattori che rendono la pratica del mudlarking così divertente. Innanzitutto trovo interessante la diversità degli oggetti che possono essere trovati lungo il fiume. Poi c’è la possibilità di saperne di più sulla mia città e sulla sua storia ed essere in grado di portarmi a casa i reperti, che, una volta puliti, mi danno la chance di continuare le mie ricerche. Il mudlarking è divertente da fare con altre persone, ma è anche un passatempo rilassante se si è da soli. Io direi di provarlo  se si è interessati all’archeologia (a qualsiasi ivello) e se si vuole saperne di più sulla storia del Tamigi e di Londra (o di altri posti, basta che ci sia un fiume o un porto). Ovviamente aspetto di trovare il mio tesoro dei pirati, una scoperta meravigliosa che comprenda oro e uno scheletro intero, magari di un pirata con un pappagallo sulla spalla. Detto ciò, meno mudlarks in giro, più chances per me di trovare il tesoro.  🙂

Buona fortuna!
Per permessi giornalieri, telefonare alla Port of London Authority (Gravesend) al n. 01474 562200.