Sulla Luna…

Questo è stato il weekend della luna. Cinquant’anni fa l’allunaggio sul nostro satellite, uno sbarco che avrebbe reso tangibile un luogo mitico, celebrato da poeti, raccontato da scrittori di fantasia, mappato da astronomi e conquistato in celluloide, da registi proiettati nel futuro.
Dedicherò un altro post agli eventi londinesi a cui ho partecipato per festeggiare questa ricorrenza. Oggi, 21 luglio, ripubblico un post di 12 anni fa.

London SE4

in the shadow of the moon

“Un piccolo passo per l’uomo… un grande passo per l’umanit”, un falso clamoroso, un evento epocale… Sullo sbarco sulla luna e le varie missioni ad esso collegate si son sprecati fiumi di inchiostro e di parole. Comunque la si pensi, il bellissimo film – documentario che ho visto stasera, ?In the Shadow of the Moon?, mira a regalare emozioni con la sola forza evocativa delle immagini (gli affascinanti filmati originali delle missioni Apollo, tratti dagli archivi della Nasa,) e delle testimonianze di chi ha vissuto in prima persona l’avventura nello spazio e l’incontro con la Luna. Grazie al ritrovamento delle bobine audio originali, il film stato arricchito anche da voci e suoni privati, quelli degli astronauti e dello staff al centro di controllo di Houston. All’ombra della luna si svolta in un certo senso la mia esistenza. Anche se non ero davanti allo schermo quando Tito Stagno esclamava “Ha…

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Falso d’Autore a Londra

fragonard
La Dulwich Picture Gallery è la più antica pinacoteca pubblica, fondata nel 1811 per ospitare capolavori di grandi artisti come Rubens, Rembrandt, Tiepolo e Poussin. La collezione fu assemblata nel XVIII secolo e avrebbe dovuto far parte della quadreria del re di Polonia, ma le cose andarono diversamente e i dipinti furono donati al Dulwich College. All’inizio di quest’anno, la pinacoteca londinese ha dato vita al progetto ‘Made in China’, ideato dall’artista concettuale Doug Fishbone.
Assieme al curatore Xavier Bray, Fishbone ha acquistato online dalla Meishing Oil Painting, una compagnia manufatturiera della Cina meridionale, la copia di un dipinto della collezione. Il dipinto, realizzato a mano e in scala leggermente diversa, da uno dei 150 artisti impiegati nella compagnia cinese, è costato l’equivalente di 70 sterline, incluse le spese di spedizione.
In Cina, il commercio di dipinti eseguiti nello stile dei grandi maestri è un business molto florido e le richieste pervengono da tutto il mondo via internet.
La replica del dipinto della Dulwich Picture Gallery è stata appesa al posto dell’originale e i visitatori sono stati invitati a scoprire l’intruso tra gli oltre 200 capolavori della collezione. Impresa non facile; infatti, su oltre 3000 segnalazioni, solo il 10% dei partecipanti ha indovinato quale fosse il falso d’autore.
Qualche giorno fa, l’originale del “Ritratto di Giovane Donna” di Fragonard è stato finalmente rimesso al suo posto, affiancato  dalla copia cinese contemporanea. I due dipinti, resteranno fianco a fianco per un paio di mesi, così da permettere i confronti.
L’esperimento si è rivelato, non solo l’occasione per molti visitatori di esercitare il loro sguardo critico e di interagire attivamente con i dipinti della collezione, ma anche un’ottima trovata pubblicitaria. Negli ultimi mesi, infatti, le visite alla Dulwich Picture Gallery si sono quadruplicate, permettendo al pubblico di ammirare le opere dei grandi maestri, nonché il lavoro di un anonimo artista cinese.

I funerali di Riccardo III, in ritardo di 530 anni

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Vi ricordate lo scheletro del parcheggio, ritrovato dopo uno scavo archeologico, condotto a Leicester da un gruppo di archeologi e storici entusiasti?
Si sapeva per certo che in quel luogo un tempo sorgeva il convento francescano di Greyfriars, dove il corpo del re Riccardo III era stato sepolto in una fossa comune. Lo scheletro venuto alla luce mostrava forti segni di scoliosi e ferite da taglio al cranio, compatibili con la morte del sovrano nella piana di Bosworth, alla fine della Guerra delle Due Rose.
A febbraio 2013, gli esperti dell’Università di Leicester avevano confermato, tramite i test del DNA, che il corpo era sicuramente quello di Riccardo III, ultimo re Plantageneta.
Morto in battaglia, all’età di 32 anni, Riccardo fu l’unico sovrano d’Inghilterra a non ricevere degna sepoltura, e venne gettato in una fossa anonima dai suoi nemici della casata Tudor.
Alla damnatio memoriae contribuì anche il ritratto impietoso lasciatoci da William Shakespeare, che lo rappresenta come un monarca gobbo e malvagio.
Finalmente, dopo oltre cinque secoli, questa settimana Riccardo III ha ricevuto una solenne sepoltura, con la dignità che non ebbe in quel lontano agosto del 1485.
L’evento, trasmesso in televisione dall’emittente Channel 4, ha rappresentato un momento importante per la Richard III Society, un’associazione dedita a promuovere la buona reputazione di un re d’Inghilterra infamato nel corso dei secoli, proprio a causa della popolarità del ritratto shakespeariano. Philippa Langley, segretaria della sezione scozzese della società, la quale aveva intuito che i resti del re si trovavano sotto al famigerato parcheggio di Leicester,  è stata responsabile della raccolta fondi per finanziare gli scavi archeologici, che hanno effettivamente restituito le spoglie del re. Durante i funerali, avvenuti giovedì scorso, nella cattedrale di Leicester, sono state intonate preghiere per tutti i caduti della guerra delle Due Rose e della battaglia di Bosworth, dove anche Riccardo cadde ucciso. La cerimonia funebre, è stata guidata dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby e vi hanno presto parte leader cattolici, e di altre religioni, così come i membri della famiglia reale d’Inghilterra (ma non la Regina, che però ha inviato un messaggio). Il vescovo di Leicester, Tim Stevens, ha detto che non ci si stava radunando per giudicare l’operato del re, ma per dargli la sepoltura onorevole che gli fu negata secoli fa.

I segreti di una suffragetta

emily davisonPer quasi un secolo, Emily Wilding Davison è stata considerata una squilibrata, una donna prona ad azioni sconsiderate e impulsive, non ultima, la fatale apparizione di fronte al destriero del re Giorgio V, all’Epsom Derby del 1913. La sua morte è stata interpretata come la ovvia conseguenza di un gesto da esaltata, oppure, di un folle atto suicida. In entrambi i casi, un’azione volta a dare notorietà alla causa del voto alle donne. Non ci sono dubbi che la Davison fosse una militante radicale. Donna colta e determinata, laureata in lingue, acuta nelle sue scelte, dal 1909 aveva abbandonato il lavoro di insegnante,  per dedicarsi totalmente alla Women’s Social and Political Union, con azioni di disobbedienza civile, che ancora oggi ne mettono in risalto l’intelligenza e lo spirito indomito. Una delle più argute ed efficaci di queste azioni, fu il rinchiudersi in un ripostiglio delle scope della Cripta di Westminster Hall, la notte del censimento (2 aprile 1911). Alle donne, che non potevano votare, paradossalmente veniva chiesto di compilare il modulo del censimento, e rispondere ad una varietà di domande, alcune molto personali.  Molte suffragette decisero di non farsi trovare in casa, vagando per la città. Emily passò invece la notte nel ripostiglio, così da figurare residente alla Camera dei Comuni. Sul documento del censo il funzionario scrisse: “Found hiding in the crypt of Westminster Hall since Saturday”. Dal 1999, per iniziativa del laburista Tony Benn, una placca commemorativa è stata affissa nel ripostiglio. Per il deputato, questo è uno dei pochissimi monumenti alla democrazia di tutto l’edificio.

Emily fu imprigionata nove volte per azioni violente (rottura di vetri di finestre, bombe incendiarie nelle buche delle lettere, lesioni…). In prigione, il freddo isolamento della cella, veniva interrotto bruscamente dall’arrivo delle guardie e del personale incaricato di nutrire a forza le suffragette in sciopero della fame. Il metodo era alquanto brutale. Le donne venivano immobilizzate, la bocca aperta a forza con una specie di forcipe, e un tubo era inserito giù per l’esofago. In alcuni casi, invece di perdere tempo ad aprire le mandibole della malcapitata, il tubo veniva infilato nella narice, causando estremo sconforto e dolore, mentre una sbobba di brandy, latte e uova si riversava nello stomaco. Questa tortura si ripeteva giornalmente, anche due volte al dì. Fu durante la detenzione a Holloway che Emily, per protestare contro il brutale trattamento, si gettò da una scala alta dieci metri, riportando fratture piuttosto serie. Questo gesto estremo, attuato per porre fine alle sofferenze delle compagne, fu come oltrepassare un limite. Uscita di carcere, con possibilità pari a zero di trovare un impiego, Emily si rituffò nella causa. Per ottenere visibilità, decise di partecipare ad un evento importante:le corse di cavalli di Epsom Derby. A quel tempo, migliaia di londinesi prendevano un giorno di ferie appositamente per assistere alle corse, ed il re e la regina erano tra il pubblico, a sostenere il loro cavallo Anmer. La Davison comprò un biglietto di andata e ritorno, segno che non aveva intenzione di suicidarsi. Quella sera stessa, infatti, avrebbe dovuto partecipare ad un ballo delle suffragette, e l’invito fu ritrovato nella sua borsa. Inoltre, aveva pianificato una vacanza in Francia, per andare a trovare la sorella Laetitia. Solo recentemente, però, un’inchiesta di Channel 4 ha chiesto ad un’equipe forense di analizzare i filmati dell’incidente,  girati il 4 giugno 1913 dal cinemagazine Pathé News.

Nel filmato, si vede chiaramente la Davison uscire sull’ippodromo, alla curva di Tattenham Corner. La si nota in piedi, al centro del circuito, avanzare verso il cavallo del re, fino a quando viene scaraventata a terra. Nelle analisi della pellicola, si nota che la suffragetta teneva tra le mani la fascia di seta del WSPU, con lo slogan “Votes for Women”. L’inchiesta ha concluso che il progetto di Emily non era quello di suicidarsi, né di afferrare le briglie di Anmer per disturbare la gara, quanto invece quello di presentare simbolicamente la bandiera del WSPU al sovrano, attaccandola al suo destriero, che avrebbe così tagliato il traguardo con i colori delle suffragette. Purtroppo la donna non aveva calcolato la forza di impatto di un animale in corsa a 55 km orari, che, trovandosela di fronte all’ultimo minuto, aveva cercato d’istinto di saltarla, inutilmente. Emily subì ferite e traumi fatali. Mentre giaceva priva di sensi all’Epsom Cottage Hospital, le arrivarono moltissime lettere, per la maggior parte ingiuriose. Una di queste missive, a firma “Un inglese”, descriveva Emily come indegna di esistere, le augurava di vivere nella tortura e chiedeva che la donna fosse chiusa in manicomio. La suffragetta non riprese mai più conoscenza e morì l’8 giugno 1913. Fu sepolta nella tomba di famiglia a Morpeth e sulla sua lapide è inciso il motto del  WSPU: “Fatti, non parole”.

Addio al graphic designer dei Pink Floyd

AMomentaryLapseofReasonUn fascio arcobaleno che si sprigiona da un prisma trasparente, un uomo la cui giacca è in fiamme, un maiale in volo su Battersea Power Station, 765 letti di ferro trascinati su una spiaggia… Queste sono solo alcune delle immagini iconiche e davvero particolari, create da Storm Thorgerson in 40 anni di lavoro. Amico di infanzia dei membri fondatori dei Pink Floyd e graphic designer del gruppo, Thorgerson è morto oggi, dopo una grave malattia. Nato nel 1944, a Potters Bar, nell’Hertfordshire, Thorgerson aveva studiato Inglese e Filosofia presso l’Università di Leicester, e, poi, Cinema & TV al Royal College of Art. Thorgerson ha contribuito moltissimo alla cultura pop musicale grazie alle sue copertine, progettate per una vasta gamma di artisti, non solo i già menzionati Pink Floyd, ma anche gli Hipgnosis, alla fine degli anni ’60, i Genesis e i Led Zeppelin, e band più recenti, come The Mars Volta, Muse e Audioslave. Nel 2011, Roddy Bogaawa aveva girato un documentario sulla vita e le copertine degli album di Storm Thorgerson. Taken by  Storm – The Art of Storm Thorgerson and Hipgnosis (95 min) documenta con efficacia il processo artistico idiosincratico di Thorgerson, sottolineando come l’artista abbia sempre trasceso i vincoli del marketing commerciale, per seguire la sua visione. Grazie ad interviste con Aubrey Powell, David Gilmour e Nick Mason dei Pink Floyd, Robert Plant, Peter Gabriel, Dominic Howard dei Muse, e artisti come Sir Peter Blake e Damien Hirst, il film dimostra come Thorgerson ci abbia lasciato una potente eredità visiva, che, non solo ha segnato le vite di tanti adolescenti, tra poster e copertine di album in vinile, nei decenni scorsi, ma ancora si riflette con veemenza in tutta la cultura contemporanea.
Ricordando l’amico scomparso, David Gilmour, chitarrista e cantante dei Pink Floyd, ha affermato: “E ‘stata una forza costante nella mia vita, sia nel lavoro che nel privato… Le opere che ha creato per i Pink Floyd, dal 1968 ad oggi, sono state una parte inscindibile del nostro lavoro. Mi mancherà.”

I Buongustai dell’Arte: cibo e cultura, in giro per l’Italia

italyunpacked-1Andrew Graham-Dixon è uno dei critici d’arte più importanti della scena anglosassone. Ha presentato per la BBC svariate serie televisive sull’arte, ha scritto recensioni per giornali come The Independent e The Sunday Telegraph, e ha all’attivo numerosi libri di successo. Giorgio Locatelli è considerato uno dei migliori chef italiani nel Regno Unito. Anche lui ha collaborato con la tv,  in programmi e rubriche di cucina, e il suo ristorante londinese, la rinomata Locanda Locatelli, premiata con una stella Michelin nel 2003, serve piatti della tradizione italiana, specialmente regionale, con ricette tipiche del Nord e del Sud. Italy Unpacked è un programma della BBC in tre puntate, basate tutte su regioni del nord Italia: L’Emilia Romagna, la Lombardia ed il Piemonte. In questa guida artistico-gastronomica, condotta in zone spesso snobbate dal turismo di massa, lo spettatore può seguire i due insoliti compagni di viaggio, Andrew & Giorgio, mentre visitano luoghi più o meno noti, incontrando personaggi differenti, unendo le loro passioni, conoscenze e idiosincrasie, condividendo con entusiasmo e vivacità le esperienze fatte lungo strada. Così, tra un affresco di Lorenzo Lotto e un culatello, un palco alla Scala e un risotto d’oro, tra una corsa in Ferrari e un salto in pinacoteca, innalzando gli spiriti tra guglie gotiche e vero ragù all’Artusi (con licenza poetica di due cucchiai di salsa di pomodoro), l’unione tra sublime e materico, tra Arte e Culinaria, non appare più impresa impossibile. Quello che si apprezza del programma, non è solo la commistione tra cultura e gastronomia, il corrispondersi della bellezza (sia essa racchiusa in pennellate manieriste o nidi di tagliatelle fumanti), ma anche la spontaneità dei protagonisti, che, sebbene – è ovvio – seguano una struttura e un copione stabiliti a priori, riescono tuttavia a meravigliarsi, ad appassionarsi, a prendersi in giro. Perché, e forse questo resta difficile da comprendere a fondo, tanto per chi si ciba di “spaghetti bolognese” quanto per chi ignora i tesori che si celano dietro le mura di casa propria, il cibo e la cultura, soprattutto in Italia, sono entità indissolubilmente legate…
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Donne nella Storia

Dr Lucy Worsley ©Dr Lucy Worsley 2012

Dr Lucy Worsley ©Dr Lucy Worsley 2012

Si è già parlato in questo blog di storiche in tv, nello specifico, l’anno scorso, avevamo dedicato un post alla professoressa Mary Beard, docente di Discipline Classiche presso l’Università di Cambridge, nonché appassionata narratrice di usi e costumi dei Romani.

In questi giorni, la BBC 4 sta mandando in onda un bel programma, in tre puntate, in cui un’altra storica, che va per la maggiore, la Dottoressa Lucy Worsley, fa rivivere il vortice di Eleganza e Decadenza del periodo Regency, momento storico in cui, il principe del Galles (poi Giorgio IV), venne nominato reggente per conto del padre, Giorgio III, impedito da un grave squilibrio mentale. Il Regency è un periodo di transizione, molto affascinante, che segna uno stile, con le sue architetture neoclassiche, il mecenatismo, la moda sofisticata, i romanzi di Jane Austen, i versi di Byron e Percy Bysshe Shelley, gli eccessi dell’aristocrazia, le guerre napoleoniche, i dipinti di John Constable, l’avvento dell’illuminazione a gas e del valzer, la tassa sul grano, le repressioni nel sangue  e i marmi del Partenone… Lucy Worsley, con il suo caschetto biondo, i vestitini da flapper e l’accento particolare, per nulla spocchioso, impiega molta passione e ironia nel condurci attraverso gli alti e i bassi di un’era, che significa molto più di un elegante e pomposo Mr Darcy.

Ma chi è Lucy Worsley? Figlia di un illustre geologo, dopo aver trascorso l’infanzia in Canada, è tornata in Inghilterra  per laurearsi e specializzarsi in Storia. Ora è curatrice capo di Historic Royal Palaces, una società di beneficienza, che si occupa di mantenere in buono stato monumenti regali, quali la Torre di Londra, Banqueting House, Kew Palace, Hampton Court e gli appartamenti di stato a Kensington. La carriera televisiva di Lucy è iniziata tre anni fa, con un programma sulla storia delle case inglesi, dalla catapecchia del servo al palazzo del re. E poi, naturalmente, le tre puntate sul Regency, che la tv sta ritrasmettendo in questi giorni. Sono seguiti reportages di storia sociale sulla figura femminile nel XVII secolo, sulla vita ai tempi di Enrico VIII, e sulle vicende di Hampton Court. La bravura e competenza con cui la Worsley racconta il passato, le hanno conquistato la simpatia del largo pubblico, ma anche le frecciate di detrattori invidiosi, tra cui lo storico David Starkey, il quale ha accusato la collega di essere carina, sì, ma di raccontare i fatti come se si trattasse di un romanzetto storico, edito da Mills and Boon (l’equivalente della nostra collana Harmony). La Worsley, che convive con un architetto di grido a sud di Londra, l’anno scorso è anche finita alla ribalta delle cronache, per una frase detta durante un’intervista a The Radio Times. Durante il programma, le era stato chiesto come mai, a 38 anni, e con un compagno stabile, ancora non avesse deciso di mettere su famiglia. La storica ha risposto di aver avuto (e di avere) altre priorità e impegni, e “di essere stata educata a ragionare e scegliere, al di là delle naturali funzioni di riproduzione”. Apriti cielo! Per settimane i giornali non hanno parlato d’altro e la frase incriminata compariva letteralmente ovunque. Tuttavia, è chiaro come la Worsley, con la provocatoria valutazione del suo percorso di vita, avesse voluto scoccare una freccia nei confronti di certa intrusione e continua richiesta di giustificazioni, che spesso la società e i media fanno alle donne, circa la loro scelta/possibilità di procreare o no.

In fondo, che (vi) importa?

Mentre Lucy è impegnata a scrivere libri e a girare un nuovo programma per la BBC, su pregi e viltà di re e regine, noi ce la godiamo tra dandy byroniani e reggenti inutili.

Napoleone sulla BBC

Napoleon_(c)LondonSE4Questo mese, la BBC Radio 3 dedica una stagione di programmi a Napoleone, nemico storico, per il quale gli inglesi provano un misto di patriottico odio e segreta fascinazione: si susseguiranno saggi, interviste, approfondimenti, spazi musicali e anche un dramma radiofonico. La stagione parte oggi, 2 dicembre, che è infatti una data significativa nelle vicende che interessano il personaggio. In questo giorno, nel 1804, Napoleone fu incoronato Imperatore dei Francesi; esattamente un anno dopo, esultava vittorioso nella battaglia di Austerlitz. Pochi anni più tardi, però, nel 1812,  dopo una drammatica ritirata, funestata dai rigori dell’inverno russo, l’imperatore redigeva il 29esimo bollettino della Grande Armata, con cui avvisava Parigi dell’esito infelice della campagna militare.
Stasera, Rosamund Bartlett, traduttrice dal russo e biografa di Tolstoy, getterà luce su alcune celebri pagine di Guerra e Pace, quelle che descrivono gli aspetti fondamentali dell’invasione francese, dalla battaglia di Borodino, all’incendio di Mosca. Successivamente, un dramma teatrale inedito, scritto da Anthony Burgess (l’autore di Arancia Meccanica), racconterà, riadattato per la radio, l’ascesa al potere di Bonaparte e il tumultuoso amore per Josephine. Lunedi, invece, Peter Hicks, direttore degli affari internazionali della Fondation Napoléon discuterà con Anne McElvoy su come Napoleone è percepito oggi in Francia. Non mancheranno ovviamente gli approfondimenti musicali, dall’Eroica di Beethoven (sinfonia composta per festeggiare il sovvenire di un grand’uomo), fino all”Ouverture 1812 di Čajkovskij, con la celeberrima sequenza di colpi di cannone.

The Beatles at 50

The Beatles fish&chipsQuesta settimana si celebrano i 50 anni dall’uscita del primo singolo dei Beatles. Pubblicato il 5 ottobre 1962 per l’etichetta Parlophone, e salito al diciassettesimo posto in classifica, dopo una promozione quasi nulla e una fugace apparizione televisiva, Love Me Do è un motivetto facile, da cui si venne a scatenare una rivoluzione musicale e culturale senza precedenti.  A Liverpool, città natale del quartetto, ci si appresta dunque a festeggiare per tutto il weekend, con una riunione di massa di fan e amanti della musica dei Beatles, nonché un nutrito programma di eventi, tra cui un mega concerto all’Albert Dock, che vedrà l’alternarsi di gruppi rock e corali. A Londra, invece, si è pensato ad organizzare un musical, “Let it Be“, in cartellone al Prince of Wales theatre. E’ la prima volta che ad un teatro del West End vengono concessi i diritti di esecuzione delle musiche dei Beatles e, tra gli artisti che impersonano i Fab Four, compare anche un italiano, Emanuele Angeletti, nel ruolo di Paul McCartney.  La  BBC2, il 6 ottobre sera, trasmetterà per intero il film “The Magical Mistery Tour” (1967), assieme ad un documentario che ne esalta il valore culturale ed i meriti artistici. Proprio in questi giorni, infatti, circola un filmato inedito, realizzato dietro le quinte, durante una pausa di realizzazione del film. In queste riprese, i Beatles e il cast si concedono uno spuntino da Smedley’s, un negozio di fish & chips situato a Taunton, in Somerset. Le scene ritrovate, ritraggono la band pazientemente in fila per la propria razione di pesce e patatine, e catturano la stessa aria spensierata e vagamente avant garde del film. Il video si può vedere online, sul sito di The Space, contenitore di arte e musica creato dalla BBC e dall’Arts Council. Il progetto prevede l’accesso del pubblico ad un archivio oltre 500 filmati diversi, organizzati secondo i piani di un hotel virtuale.

Storie di strade londinesi

charles_booth_deptfordVerso la fine del XIX secolo, il filantropo e sociologo Charles Booth condusse una meticolosa indagine, per evidenziare l’incidenza della povertà nei quartieri ad Est di Londra, dimostrando che almeno il 35% della popolazione in tali aree, viveva in condizioni estremamente disagiate, al di sotto dei 10-20 scellini settimanali, necessari alla sussistenza di un nucleo familiare di quattro persone. I risultati della ricerca di Booth furono pubblicati tra il 1889 e 1891, in due volumi dal titolo Life and Labour of the People. Le diverse zone della città furono  evidenziate con colori diversi, a seconda dello status degli abitanti. Nelle mappe, le strade di colore giallo indicano la presenza di classi agiate o alto borghesi, quelle rosse e rosa sono sinonimo di un’esistenza medio borghese o, comunque, confortevole;  poi, si vira verso tonalità più fredde, dal viola, per le condizioni miste, al blu per i poveri, fino al nero, per l’indigenza estrema, unita al vizio e al crimine. A distanza di oltre un secolo, un interessante documentario della BBC, utilizza le mappe infografiche di Booth per indagare lo sviluppo o lo stravolgimento di alcune strade (ed aree) londinesi. La prima puntata di The Secret History of Our Streets, si è concentrata sul quartiere subito a ridosso di SE4: Deptford. Quando Charles Booth si avventurò in quell’area per condurre  le sue ricerche, Deptford High Street, era considerata la Oxford Street del sud di Londra. Nella mappa Booth colorò questa strada di rosso (sinonimo di ‘well-to-do’), per evidenziare come la lunga sequenza di negozi da ambo i lati, e il fiorente mercato, provvedessero ricchezza e occasioni lavorative. Essendo il quartiere emerso senza particolari danni dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, il mercato continuò a prosperare e gli abitanti di Deptford possedevano in larga parte le case in cui abitavano. Tuttavia, là dove nulla poterono le bombe tedesche, ci pensarono le ruspe del comune, negli anni Sessanta, ad estirpare drammaticamente una larga fetta di tessuto urbano, causando la diaspora di una comunità ampia e coesa. La riurbanizzazione di Londra da parte di architetti modernisti, inserì massicce strutture di edilizia lineare ed anonima, in aree che erano rimaste fondamentalmente invariate dall’epoca vittoriana (se non prima), stravolgendone la continuità, con geometrie angolari e ripetitive, tutte di muri a secco e cemento a vista (quella che oggi viene definita ‘architettura brutale’). A Deptford, gli architetti si servirono delle mappe di Booth per demolire intere file di case, che in realtà non mostravano alcun segno di decadenza o insalubrità, in nome di un progresso futurista discutibile, e tutto volto a bonificare il sud e l’est della città. In definitiva, Lewisham Council impose svettanti palazzi di cemento per migliorare le condizioni di vita degli abitanti, ma i locali si rifiutarono tutti di occupare le nuove proprietà, con l’aggiunta di ulteriori problemi. Anche al confine tra SE8 e SE4, Friendly Street conobbe un simile destino, con un filare di abitazioni completamente raso al suolo per far spazio ad un complesso di case popolari. E gli interventi discutibili proseguono ancora oggi (basti pensare allo storico pub The Crown And Sceptre, sempre al 92 di Friendly Street, completamente alterato dalla trasformazione in unità abitative, con l’inutile demolizione degli storici mattoni in ceramica, che ne rivestivano la facciata). Il documentario della BBC, è, nel complesso, ben girato e utilizza testimonianze colorite e preziose, ad esempio, quelle di un residente, la cui famiglia ha esercitato il commercio nel quartiere da oltre duecento anni, e di uno degli architetti responsabili dello scempio, per nulla rammaricato. Tuttavia, il programma non sembra lasciare allo spettatore un’immagine positiva della Deptford odierna, realtà complessa e vibrante. Piuttosto, si rimane con una sensazione amara e deprimente. Se è vero che la High Street non è più paragonabile ad Oxford Street e gli esercizi originali di oltre cento anni fa sono scomparsi, il documentario omette, però, la presenza di elementi positivi, come l’Albany Arts Centre, con il suo fitto programma di musica, teatro e performance, o la nuova sede di Utrophia, sempre attiva, tra mostre d’arte ed happenings, o, ancora, la vasta comunità di artisti e bloggers, i Creekside Artist Studios, i negozi indipendenti, i caffè e i ristoranti, il Royal Albert pub (segnalato da Time Out) con i suoi arredi vittoriani originali, il colorito mercato e la bellissima chiesa barocca di St Paul’s, restaurata di recente.