Cucina terapeutica

Mince pies al limoneSono passati alcuni mesi dal mio ultimo post, quasi due stagioni, e,  fra meno di due settimane, è Natale.
Non sto a dilungarmi sui motivi dell’assenza, comunque, come da disclaimer, “questo blog  viene aggiornato senza alcuna periodicità.”
Mi capita, ogni tanto, di lasciarlo galleggiare, come quando si chiude casa per un viaggio. Non sto mai via troppo tempo, ma sicuro quello che basta per perdere i miei pochi lettori.
Poi, per fortuna, torno: riordino le idee, tolgo qualche ragnatela, ricomincio a scrivere. Quest’anno, tra un lockdown e l’altro, ho fatto molte cose, come: camminare, seminare e raccogliere piante, leggere, studiare, disegnare, scattare fotografie, cucinare. Scrivere, invece, poco. E me ne dispiace.
Tuttavia, questo 2020 è un anno atipico, e alla fine è già tanto se sono ancora qui, a pigiare tasti nel flusso di coscienza.
Quanto a cucinare, sono passata dai libri, alle video ricette sui siti di gastronomia ad una fantastica classe in diretta su zoom, dove, grazie a The Regency Cook, ho imparato, assieme ad altre persone da tutto il mondo, a fare le mince pies al limone, secondo una ricetta originale del 1830, opportunamente adattata.

Il 1830, che decade fu quella!
Scampoli di periodo Regency, ormai in dissolvenza, alla morte dell’ultimo re di nome George e a poco più di un lustro di distanza dall’era Vittoriana.
L’ultimo pirata veniva impiccato a Wapping, il duca di Wellington perdeva il seggio di Primo Ministro, e si inaugurava la prima ferrovia al mondo percorsa esclusivamente da locomotive a vapore.
In Europa dissenso e tentativi di insurrezione animavano gli animi e le piazze, e Delacroix dipingeva “La libertà che guida il popolo.”
Nel frattempo, una pandemia di colera si diffondeva dalla Russia alla Polonia, e poi, arrivava, subdola e spietata, fino a Newcastle, Londra, Parigi, provocando centinaia di migliaia di vittime.
In tutto questo, qualcuno vergava, in bella calligrafia, un taccuino di ricette, lasciandoci, a pagina 99, quella per le tortine ripiene di limone candito:

Una libbra di ribes, una libbra di sugna e tre limoni, spremete il succo, quindi lessate i limoni in acqua e cambiate l’acqua per togliere l’amaro, quando saranno bolliti abbastanza teneri passateli al colino, quindi mescolate il succo e il tutto insieme a quasi tre quarti di libbra di zucchero, quando fate le vostre tortine metteteci dentro arancia e cedro e qualche mandorla…”

Una mela al giorno

La maturazione naturale delle mele avviene tra agosto e ottobre.
Non a caso, qui in UK si celebra da oltre un ventennio, Apple Day, una giornata dedicata a mele e frutteti, che si tiene tradizionalmente il 21 ottobre. Quest’anno, però, la National Farmers’ Union ha reso noto che milioni di mele sono state lasciate marcire nei frutteti del Regno Unito, a causa dell’incertezza sulla Brexit e alla conseguente carenza di manodopera dall’Unione Europea.
Al di là di queste notizie spiacevoli, c’è da dire che, il frutteto britannico tradizionale, è ormai divenuto una risorsa preziosa e fragile, dall’importante valore ecologico.
Proprio perché rischia di scomparire del tutto, da circa una decina di anni, il National Trust e Natural England si adoperano a conservare e ripristinare i frutteti tradizionali, caratteristici delle campagne inglesi almeno fin dalle conquiste normanne.
Inoltre, Il gruppo ambientalista Common Ground, fondatore dell’Apple Day, ha dato vita ad un vero e proprio movimento per la salvaguardia dei frutteti.
Si stima che, negli ultimi 50 anni, a causa dell’agricoltura intensiva e degli standard della grande distribuzione, che richiedono sempre più perfezione cosmetica, la superficie coltivata a frutteto tradizionale è andata costantemente diminuendo (addirittura, in Devon, le perdite sono arrivate fino al 90%).
L’intensificazione agricola è stata la principale causa. I frutteti tradizionali sono economicamente insostenibili, poiché i grandi alberi richiedono molta manodopera e producono meno. Inoltre, molti agricoltori, per ricevere i sussidi dell’Unione Europea, hanno abbattuto i frutteti per seminare qualcos’altro.
Da qualche anno, si registra, però, un’inversione di tendenza.
Alberi di mele vengono piantati in orti, giardini e scuole. Molti progetti coinvolgono gruppi di volontari locali nel restauro, conservazione o  creazione di frutteti, e sono nate associazioni benefiche, con l’obiettivo comune di promuovere il patrimonio e la conoscenza dei frutteti tradizionali. E di salvare mele a rischio di estinzione, o che ormai si credevano estinte, come la gialla Bringewood pippin, creata agli inizi del XIX secolo da Thomas Andrew Knight, e riscoperta, fortuitamente, in un frutteto abbandonato dello Shropshire.
Tra le varietà di mele che hanno radici vittoriane, la più famosa la Cox Orange pippin, una piccola mela, ottima da mangiare fresca, ma eccellente anche cotta. E’ una mela da sidro e un ingrediente comune nelle conserve di inglesi. Si trova facilmente nei farmers’ market londinesi, e ve la consiglio.

Il tè si beveva nello Yorkshire, molto prima che arrivasse a Londra

china_drink_tèTemple Newsam House è una dimora di epoca Tudor, che si trova a Leeds, nello Yorkshire occidentale. Nel 1622 la tenuta fu acquistata da Sir Arthur Ingram per 12.000 sterline. Durante i 20 anni successivi la villa fu ricostruita, incorporando alcune delle strutture precedenti. I discendenti di Ingram continuarono ad ingrandire e rimaneggiare la bella residenza, ed il parco fu ridisegnato in termini paesaggistici da Capability Brown.
Ora sembra che Sir Arthur, nel 1644, in piena guerra civile inglese, facesse richiesta al farmacista di vari ingredienti medicinali, tra cui un certo numero di bottiglie di “China drink”, per quattro scellini al pezzo.
La fattura del farmacista si trova negli archivi del West Yorkshire ed è stata rinvenuta da Rachel Conroy, curatrice di Temple Newsam House, mentre stava eseguendo delle ricerche per una mostra.
L’affascinante documento è storicamente molto importante, perché dimostrerebbe che il “China drink”, cioè il , sarebbe stato bevuto in Yorkshire ben sedici anni prima del famoso riferimento a questa bevanda, fatto dal diarista Samuel Pepys, il quale, il 25 settembre 1660, scriveva: «Mi son fatto servire una tazza di té, che è una bevanda cinese, che non avevo mai bevuto prima”.
Quelli che vivevano a Temple Newsam furono dunque tra i primi in Inghilterra a godersi una tazza di tè, una bevanda per l’epoca insolita ed esotica, e molto costosa, ben quattro scellini a bottiglia, quando, un artigiano dell’epoca, poteva aspettarsi di guadagnare circa sette penny per un giornata di lavoro.
Temple Newsam House possiede un’importante collezione di ceramiche inglesi, tra cui molte usate proprio per preparare e servire il tè. In mostra nella casa si trovano anche due scrivanie, che un tempo appartennero a Charles Grey, conte e primo ministro britannico, che rese popolare il tè nero aromatizzato al bergamotto, il famoso Earl Grey.
Le caffetterie di Londra furono tra le prime a introdurre la bevanda agli avventori inglesi. Uno dei primi commercianti di caffè a offrire il tè, già dal 1657, fu Thomas Garraway, che possedeva un rinomato locale in Exchange Alley. Vendeva il tè, sia ai suoi avventori, da bere sul posto, che al pubblico, per il consumo a casa. Nel 1660, Garraway  pubblicò un foglio pubblicitario per reclamizzare il tè, che era venduto a più di sei sterline per libbra (!). Tra le virtù associate alla bevanda, si elencavano quelle di “rendere il corpo attivo e vigoroso”, e “preservare la salute perfetta fino all’età avanzata”.

porcellana inglese Blue Willow

tazzina e piattino di porcellana inglese Blue Willow © Leeds Museums

Campi di Lavanda vicino Londra

img_2091.jpgIn queste giornate di effimera estate inglese, è possibile trovare un angolo di Provenza a meno di quindici miglia dal centro di Londra.
Mayfield Lavender Farm è un campo di lavanda, che occupa una superficie di dieci ettari, nei pressi di Banstead, in Surrey. Ci si arriva comodamente in treno o in autobus, da Croydon.
Il lavandeto nasce da un’idea di Brendan e Lorna Maye, inizialmente con lo scopo di resuscitare una linea di profumi e saponette dell’azienda per cui lavoravano, Yardley of London, attiva dal 1770. Yardley ha finanziato il campo di lavanda fino al 2005, in seguito, i coniugi hanno proseguito in proprio, aprendo anche un negozio, dove vendere prodotti, dai saponi, agli oli essenziali, dai profumi alle marmellate, tutto esclusivamente a base di lavanda.
Il campo è in piena fioritura per circa dieci settimane, tra giugno e settembre, con il picco tra metà luglio e inizio agosto. La lavanda è coltivata biologicamente e le erbacce sono eliminate rigorosamente a mano.
Il lavandeto è aperto al pubblico (ingresso: una sterlina) e c’è anche un bar dove rifocillarsi, o assaggiare delizie alla lavanda prodotte dall’azienda, tra cui muffins, limonata e gelato.
Il momento migliore per la visita è di mattina presto (Mayfields apre alle 9:00), quando ci sono pochissimi visitatori e tra i cespugli si aggirano api indaffarate. Ci si può allora perdere nell’azzurro violaceo dei fiori, immersi nel loro inebriante e rasserenante profumo.

David Bowie e la sua Londra

IMG_0851~2#1Due giorni fa, Londra (e non solo) si è svegliata incredula alla notizia della morte di David Bowie. I fan, oltre a ricordarlo sui social media, si sono radunati a Brixton, creando un santuario improvvisato, con fiori e biglietti, davanti al murales del Ritzy cinema.
David Jones, in arte David Bowie, era nato al numero 40 di Stansfield Road, proprio a Brixton, ed aveva passato la prima giovinezza e gli anni di gavetta nel sud est di Londra. Dopo aver frequentato la scuola materna a Stockwell, David si era trasferito con la famiglia a Bromley, quartiere in cui aveva frequentato varie scuole, diplomandosi alla Bromley Technical High School di Oakley Road (oggi Ravens Wood School), con il voto più alto in materie artistiche. Per un breve periodo, aveva anche proseguito gli studi alla Scuola d’Arte di Croydon, ma aveva lasciato per dedicarsi completamente alla musica. Lo vediamo collaborare, nei primi anni Sessanta, con vari gruppi del sud, tra Orpington, Maidstone e Margate. Poi,  nel 1965, decide di cambiare il suo nome in David Bowie. Nel 1969, dopo alcuni mesi vissuti a Kensington, si traferisce di nuovo a sud-est, andando a vivere all’interno 1 di 24 Foxgrove Road, a Beckenham. È in quest’area di Londra che, nel maggio dello stesso anno, Bowie dà vita al Beckenham Arts Club, inizialmente un folk club, nei locali del Three Tuns pub (ora Zizzi). Bowie apparirà anche al primo festival libero di Beckenham, ma, ormai, gli ideali hippy non fanno più presa ed è in arrivo una rivoluzione. A luglio del 1969 esce il singolo “Space Oddity”, e, a ottobre, David, cambia di nuovo casa. Sempre a Beckenham, al numero 42 di Southend Road, in una casa vittoriana: Haddon Hall. L’appartamento al piano terra, dove Bowie mette dimora, ha un soffitto argentato, una grande finestra  e un giardino dove intrattenere gli amici. Parlando della genesi di “Life on Mars” Bowie ricordava un giorno di essere stato al parco e poi di aver camminato fino a Beckenham High Street, per prendere l’autobus fino a Lewisham, dove voleva fare un po’ di shopping. Ma il riff della canzone si era installato così prepotentemente nella sua testa, che, dopo appena due fermate, aveva deciso di scendere e tornare a casa per scrivere il pezzo. Purtroppo, Haddon Hall non esiste più; al suo posto, sono sorti degli appartamenti. Tuttavia, si vede in alcune foto, scattate da Mick Rock, che ritraggono Bowie davanti e all’interno dell’edificio.
bowiehaddon~2Nel 1972 l’album “Rise and Fall of Ziggy Stardust” viene alla luce. Le sue radici sono ancora a sud della città, È a Haddon Hall, che nasce il personaggio androgino di Ziggy Stardust, i cui abiti fantasiosi furono cuciti proprio qui, mentre il taglio di capelli venne elaborato da Susi Fussey, una parrucchiera di Beckenham. Gli stivali a zampa rossi e neri, vennero invece fatti fare su misura a Penge, da Stan Miller della Greenaway and Sons. Le canzoni dell’album nacquero in uno studio improvvisato, nel sottoscala di Haddon Hall.

photo: © Ottavia Castellina

photo: © Ottavia Castellina

Alcuni pezzi, furono provati al secondo piano del Thomas A Becket, un pub che, sopravvive ancora oggi, finalmente restaurato, al 320 di Old Kent Road. Con l’arrivo del grande successo, Bowie lascia Beckenham, per trasferirsi a Maida Vale. Gli anni a sud del fiume erano ormai finiti. Ma è qui che i londinesi lo vogliono celebrare.

 

 

A Londra, per un Natale alla Dickens

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Manca una settimana al Natale. Londra è rutilante di luci, mercatini, vetrine piene di addobbi e dolci, locali affollati per cene e feste con colleghi e amici, cori natalizi e alberi inghirlandati, persone affaccendate con lo shopping e impegni vari. In mezzo a tanto “rumore”, fa bene allontanarsi un poco dalla pazza folla e ripercorrere le pagine di un libro, regalandosi una parentesi di sapore vittoriano.

A Christmas Carol (Un Canto di Natale) è una novella di Charles Dickens, che vide la luce il 19 dicembre del 1843. In essa, lo scrittore infuse un messaggio umanitario di pace e di misericordia, contro l’avidità e le ingiustizie sociali. Ambientato alla vigilia di Natale, in una Londra fredda e piovosa, il racconto gioca sul contrasto di luce e tenebre, caldo e gelo, ponendo il tirchio Ebenezer Scrooge nel cuore economico e finanziario della City, con tutto il suo corollario di avarizia, cinismo e potere, e situando l’impiegato Bob Cratchit in un quartiere subito a nord, là dove tutta un’umanità, più o meno disagiata, vive e spera, rallegrandosi nello spirito del Natale. Attraverso la visita di alcuni fantasmi, tra cui quello del suo vecchio socio, ormai incatenato ai propri peccati, il vecchio Scrooge si redime e cambia strada, accettando l’invito del suo unico parente, aumentando lo stipendio al sottopagato Bob Cratchit e dandosi alla filantropia. Nessuno meglio di Dickens ha saputo immortalare Londra, e, soprattutto, le zone e gli ambienti in cui lo scrittore aveva vissuto e lavorato, dalla orribile fabbrica di lucido da scarpe agli studi legali, senza dimenticare l’attività di giornalista, che lo aveva guidato in vari angoli, più o meno bui, della città. È per questa consuetudine di Dickens con Londra, che è ancora oggi possibile leggere le pagine di A Christmas Carol e ritrovare luoghi e suggestioni familiari. Mettetevi il libro in tasca o sotto braccio, e recatevi nella City, magari di domenica, quando uffici e locali riposano e le vie sono sgombre dal frenetico brulicare di bancari, avvocati, impiegati e agenti di borsa. Potrete unire alla passeggiata letteraria un tour piacevole di luci e decorazioni natalizie, a cui aggiungere, durante la settimana, anche un po di shopping e un drink restorativo. Partendo dalla cattedrale di St Paul’s, lungo la direttrice di Cheapside, soffermatevi davanti al Royal Exchange.

IMG_0691È qui che l’ultimo degli spiriti natalizi trasporta Scrooge, per fargli ascoltare chiacchiere e commenti poco edificanti di banchieri e agenti di borsa riguardo alla sua morte. Proseguendo a destra, verso Cornhill, potreste immaginare quale fosse il vicolo dove Scrooge aveva la sua ditta di contabilità. Un pub sulla strada porta il nome, non a caso, di The Counting House. Fu costruito nel 1893 come Prescott Bank, e le fondamenta poggiano sui resti dell’antica basilica romana. “L’antico campanile di una chiesa, la cui burbera vecchia campana guardava costantemente giù verso Scrooge, affacciata a una finestra gotica nel muro” non può essere altro che quello di St Michael Cornhill. Poco più avanti attraversate Gracechurch Street e tuffatevi nelle luci calde del mercato coperto di Leadenhall, un gioiello di architettura vittoriana, progettato da Sir Horace Jones (1881). Il mercato esiste qui dal medioevo, ed è in questo luogo, oggi spendente e ornato, che Bob Cratchit forse si era recato a comprare l’oca da cucinare per il pranzo di Natale.

IMG_20151213_165023Basta attraversare Leadenhall Market per ritrovarsi in Lime Street. Sulla strada torreggia, in tutta la fredda magnificenza dell’acciaio inox, l’edificio di assicurazioni Lloyd’s, progettato da Richard Rogers (1986). Nulla resta della casa di Scrooge, al numero 45, “una sfilata di stanze, già un tempo proprietà del socio defunto, in un vecchio e bieco caseggiato che si nascondeva in fondo ad un vicolo così buio, che lo stesso Scrooge, pur conoscendolo pietra per pietra, vi brancolava”.

Dopo questa passeggiata, potete concludere in bellezza con una visita al Dickens Museum, allestito in una casa Georgiana di Holborn. Qui Charles Dickens visse dal 1837 al 1839 e traslocò in seguito all’aumento dei componenti della sua famiglia e ad una maggiore agiatezza derivatagli dai suoi proventi di scrittore. Oltre a poter ammirare mobili, suppellettili e memorabilia, per tutto dicembre, sarete accolti da addobbi natalizi in stile vittoriano, e potrete partecipare ad eventi speciali, come una visita a lume di candela, la lettura del celebre Canto di Natale e un’apertura straordinaria, il 24, con performances teatrali, cori tradizionali e un salto in cucina, per seguire le istruzioni su come cucinare il Christmas pudding.

Poiché di questo dolce natalizio abbiamo già parlato, vi lascio con la ricetta per cucinare l’Oca alla Salvia come quella di Mrs Cratchit:

public-domain-vintage-color-illustrations-of-food-meat-turkey-and-poultry~2~2Ingredienti:

  • Un’oca intera svuotata dalle interiora, di cui terrete, se volete, una parte;
  • Per il ripieno: rondelle di mela, la buccia di un limone, salvia;
  • Per il brodo: frattaglie d’oca (o un dado), una cipolla, un gambo di sedano, una carota, prezzemolo, sale e pepe.

Procedimento:

Cuocete l’oca in forno, in una teglia capiente, dopo averla farcita con il ripieno di mele, limone e salvia, ed averla unta di olio o burro. Il forno deve essere regolato a 220 gradi per la prima ora di cottura e abbassato a 180 per gli ultimi 30 minuti. Girate l’oca ogni mezz’ora e assicuratevi che sia ben cotta, prima di tirarla fuori dal forno. Il grasso di cottura può essere mescolato a farina e brodo per realizzare una salsa da accompagnare all’oca.

“Un’oca simile non s’era mai data. Disse Bob che, secondo lui, un’oca di quella fatta non era stata cucinata mai. La sua tenerezza, il profumo, la grassezza, il buon mercato furono oggetto dell’ammirazione universale. Col rinforzo del contorno di mele e delle patate, il pranzo era sufficiente: anzi, come diceva tutta contenta la signora Cratchit, guardando ad un ossicino nel piatto, non s’era potuto mangiar tutto!”

Piccola storia del tè

“La gente qui non manca di tè, caffè e cioccolato, soprattutto il primo, il cui uso è diffuso a tal punto, che non solo la nobiltà ed i ricchi commercianti lo bevono costantemente, ma quasi tutti hano il loro tè e se lo godono di prima mattina…”   
Charles Deering, ‘Nottinghamia Vetus et Nova’, 1751.

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Le bevande provenienti dalle americhe e dalle colonie influenzarono gli usi e costumi di inglesi ed europei. Il tè, menzionato per la prima volta nel 1559, si diffuse largamente nel Seicento, prima in Olanda ed in Francia, per poi approdare in Inghilterra, nel 1662, grazie a Caterina di Braganza, la moglie di re Carlo II.
Le coffee houses londinesi vendevano caffè, cacao, brandy, rum, ma anche tè. Nel 1657 Thomas Garraway, per pubblicizzare la vendita di tè nella sua rinomata ed elegante coffee house, aveva anche prodotto un volantino, che ne declamava le virtù, anche medicinali. Non tutti però erano d’accordo. Anzi, alcuni ritenevano il tè una bevanda pericolosa. Jonas Hanaway, nel suo saggio del 1757, descrisse questo infuso come corrosivo, emetico e fin troppo costoso. Dalle pagine del Literary Magazine, Samuel Johnson rispondeva  al violento attacco al tè di Hanaway, sostenendo invece che questa bevanda elegante e popolare fosse bevibile ad ogni ora, di sapore gradevole e di natura innocua. 
E’ innegabile che il tè in Gran Bretagna si diffuse lentamente, proprio a causa del costo elevato. Nel 1660, il diarista Samuel Pepys lo beveva come rimedio medicinale per combattere la tosse. Un secolo più tardi, il tè si vendeva nelle coffee houses londinesi per 2 sterline, cioè l’equivalente di un anno di paga di un mozzo, un anno di visite dal barbiere per un gentiluomo o un mese di lezioni private di danza per una signora. Dunque, seppur disponibile, il tè era un prodotto molto costoso, che solo pochi potevano permettersi. Il caffè rimaneva, al confronto, a buon mercato e proliferava nelle botteghe ad esso dedicate. Solo con l’aumento delle importazioni e la riduzione delle tasse, a partire dal 1730 in poi, il tè si diffuse maggiormente, fino ad essere incluso nella dieta delle classi medie, con una spesa media di 7 pence a settimana, assieme allo zucchero (quindi poco meno di una serata passata alla coffee house). A metà del Settecento, perfino le classi meno abbienti, potevano godersi un tè due volte a settimana. Nel 1784, come attesta La Rochefoucauld, il tè era la bevanda più diffusa in Gran Bretagna, e veniva consumato due volte al giorno, sia dai contadini che dai ricchi. Questo successo, che non si registra allo stesso modo in Francia o in Italia, bevitrici di caffè per tutto il XVIII secolo ed oltre, sicuramente fu determinato dalla tassa sul malto, che rendeva più costosa la birra, dall’abitudine degli inglesi a trangugiare bevande calde, come hot ales e punch, e, soprattutto, dall’impulso al commercio del tè determinato dalla East India Company, che ne deteneva il monopolio. Inoltre, le foglie del tè erano leggere da trasportare e semplici da preservare. Erano anche facili da introdurre come merce da contrabbando. Insomma, nel diciottesimo secolo, il tè eguagliò la birra come bevanda nazionale. E, a differenza degli orientali, lo si beveva con latte e zucchero, altro prodotto coloniale. 
Nel primo ventennio del Settecento, il caffè veniva bevuto in maggioranza da uomini ed era una bevanda energetica, che si accompagnava alle discussioni animate ed alla lettura dei giornali, in luoghi pubblici, adibiti alla vendita ed al consumo. Il tè, invece, veniva percepito come un prodotto più delicato e raffinato, adatto alle donne e ad un ambiente familiare e gentile, come le mura di casa o il giardino. La predilezione delle donne per questa bevanda determinò la fortuna di Thomas Twining.  Agli inizi del XVIII secolo, Thomas, che aveva alle spalle il mestiere di tessitore, stava cambiando carriera e si era messo a lavorare per un ricco mercante di tè della East India Company, Mr Thomas D’Aeth.  
Thomas Twining aveva intuito le possibilità offerte da questa bevanda esotica e, nel 1706, acquistò la Tom Coffee House a Strand, per aprire un negozio di tè. L’esercizio commerciale si trovava in posizione strategica tra la City e Westminster e riusciva ad attrarre le classi agiate in cerca di questa bevanda alla moda. Solo i ricchi potevano permettersi di acquistare il tè e le signore, a cui non era ammesso accedere ad ambienti maschili come le botteghe di caffè e il negozio di Thomas, restavano ad aspettare fuori, sedute in carrozza, mentre i loro valletti entravano a comprare le miscele più raffinate. Finalmente, nel 1784, il Commutation Act ridusse le tasse sul tè, rendendolo una bevanda popolare, alla portata di tutti. Nel 1837, la regina Vittoria nominò Twinings fornitore ufficiale della famiglia reale. Fu questa rinomata ditta ad introdurre la comoda bustina, nel 1956. Dopo 300 anni, potete ancora visitare lo storico negozio di Thomas Twining, al 216 di Strand. Una volta varcato l’ingresso, affiancato da colonne e sormontato da un frontone, da cui si stagliano le statue di un leone, e due cinesi, potrete acquistare tè ed infusi, ammirare un piccolo museo o degustare delle miscele interessanti al nuovo Loose Tea Bar.

 

Hot Cross Buns: i panini dolci del Venerdì Santo

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Gli Hot Cross Buns sono dei panini dolci e speziati, segnati da una croce, che vengono tradizionalmente consumati il Venerdì Santo. Le origini di questo dolce sono molto antiche. La marcatura a forma di croce dei pani risalirebbe al mondo classico, quando, sia in Grecia che nell’Impero Romano, le forme contrassegnate in questo modo, consentivano ai commensali di dividere facilmente le pagnotte in quattro pezzi. Tuttavia, l’hot cross bun pasquale è più probabilmente nato in epoca medievale, quando in Inghilterra, in giorni di particolare significato liturgico, tra cui il Venerdì Santo, panini o torte venivano distribuiti ai fedeli, soprattutto a quelli più bisognosi. Mentre gli hot cross buns si trovano al supermercato tutto l’anno, l’antica tradizione rivive a Pasqua, nel cuore della City. La mattina del Venerdì Santo, una piccola moltitudine si riunisce intorno ad una tomba orizzontale, nel sagrato della chiesa di San Bartholomew the Great, la più antica parrocchiale di Londra, risalente agli inizi del XII secolo e miracolosamente sopravvissuta fino ai nostri giorni. L’occasione per questo convegno, si deve all’antica usanza di distribuire hot cross buns e sei pence d’argento alle povere vedove della parrocchia. Nel 1887, l’editore legale Joshua Butterworth creò un’istituzione senza fini di lucro, The Butterworth Charity, per garantire il futuro di questa cerimonia stabilendo, per il Venerdì Santo di ogni anno, la distribuzione del denaro (circa 20 pence odierni) a ventuno vedove povere, e spendere il resto dei dividendi in panini dolci da dare ai bambini della parrocchia. Questa mattina, nuvolosa ma non fredda,  riuniti nel sagrato, abbiamo assistito ad una piccola processione, che includeva i prelati ed i coristi della chiesa. Dopo gli inni, le preghiere, il sermone, e la donazione di 20 pence all’unica vedova presente, si è giunti alla tanto attesa distribuzione degli hot cross buns. Tre ceste di panini, che erano stati tagliati in due ed imburrati su ambo i lati, sono state fatte circolare tra gli astanti e divorate con gusto sia dal clero che dai fedeli.IMG_20150403_173502

Le ricette di Mrs Beeton ed i suoi contemporanei. Una mostra a Londra.

IMG_20150220_140516Isabella Beeton fu una scrittrice vittoriana, nata a Milk Street, nella odierna City of London, il 12 marzo 1836. Proveniente da una famiglia assai numerosa, appena ventenne, andò in sposa a  Samuel Beeton, un editore di successo, per il quale cominciò a scrivere articoli di cucina ed economia domestica.
Questi articoli, che tra il 1859 e il 1861 facevano parte di un supplemento del giornale  illustrato The Englishwoman’s  Domestic Magazine,  furono  poi raccolti nel famoso The Book of Household Management, uno dei più famosi libri di cucina mai pubblicati. Il volume, illustrato con incisioni colorate su quasi ogni pagina, vendette oltre 60.000 copie nel suo primo anno di pubblicazione (1861) e quasi due milioni entro il 1868. Oltre alle ricette (famosa quella del Christmas Pudding)  il libro conteneva consulenze sulla gestione della casa, la cura dei bambini, le norme di galateo e le istruzioni da impartire alla servitù. 150 anni dopo la sua morte, avvenuta il 6 febbraio del 1865, la signora Beeton è ancora una delle figure più importanti nella storia alimentare. Adesso, una bella mostra alla Guildhall Library, esamina il suo impatto sulla cultura e la culinaria di ieri e di oggi.IMG_20150218_090715
Il best seller della Beeton, la quale, più che una brava cuoca, era un’ottima giornalista, attinse a varie fonti, una fra tutte il primo libro di cucina inglese destinato ai lettori piuttosto che ai cuochi professionisti: Modern Cookery for Private Families
di  Eliza Acton. In questo libro, la Acton introdusse per la prima volta la pratica, ormai universale, di elencare gli ingredienti prima del metodo e suggerire i tempi di cottura di ogni ricetta.
La mostra londinese espone diverse copie dei libri di Mrs Beeton ed Eliza Acton, accompagnati da suggestivi utensili di cucina, come stampi, rotelle e teglie per torte, colini di rame, ceramiche ed argenterie da tavola, e un martinetto a bottiglia, costruito a Cheapside, e proveniente dalle cucine del pub The Ship Tavern, a Lime Street.
Un’altra celebrità della prima metà del XIX secolo, fu Alexis Soyer, chef del prestigioso Reform Club di Londra. Soyer era davvero famoso, e lo era in senso moderno.  Amava infatti esibirsi ed autopromuoversi, e seppe commercializzare una vasta  gamma di attrezzature da cucina, salse e condimenti, nonché volumi di ricette. Per celebrare l’ascesa al trono della regina Vittoria, preparò una colazione al Reform Club per oltre 2000 persone!
Tuttavia, Soyer voleva anche migliorare la qualità dell’alimentazione tra i poveri.IMG_20150218_090559
Uno dei suoi libri, A Shilling Cookery for the People, è un manuale pieno di consigli pratici, basato sul presupposto che molti lettori non  avrebbero potuto permettersi di seguire ricette complicate o costose. Nella teca della mostra a lui dedicata, troviamo anche un altro libro, The Modern Housewife, combinazione di ricette e suggerimenti, aperto alla pagina illustrata con due torte di mele: una, perfetta, l’aspirazione di ogni cuoco o massaia, l’altra, miseramente afflosciata all’interno, come spesso succede, anche a chi possiede forni modernissimi.
La mostra si chiude con le ristampe anastatiche del volume della Beeton, assieme a ricettari e compilazioni che, della scrittrice vittoriana, portano solo il nome, fino ai libri di cucina di celebrità moderne come Delia Smith, una delle scrittrici più influenti dagli anni ’70 in poi, meritevole di avere introdotto in Gran Bretagna ingredienti ‘esotici’ come il chorizo e lo sciroppo di glucosio. Tempi recenti hanno visto un aumentato interesse per la storia del cibo e della culinaria e vale la pena ricordare che la Guildhall Library possiede la più grande collezione di libri di cucina del Regno Unito, accessibili  gratuitamente tramite un eccellente catalogo online.

Celebrity Cooks: Mrs Beeton and her Contemporaries è aperta fino al 17 aprile. Ingresso gratuito.

Nei cortili di Fleet Street…

IMG_3575Ora che la primavera è tornata, è un piacere riprendere i miei vagabondaggi. In una calma domenica mattina me ne sono andata in giro con il naso per aria e una guida rossa Ward Lock & Co del 1925-1926 in tasca. La casa editrice Ward, Lock & Co ebbe inizialmente il suo quartier generale a Fleet Street e successivamente a Salisbury Square. Dopo che, nel dicembre del 1940, le bombe avevano distrutto la sede di Warwick House, l’azienda si trasferì a Chancery Lane e poi a Piccadilly. Alla ricerca di atmosfere nascoste, ho peregrinato per quello che, fino al 1980, era il famoso centro giornalistico di Londra. Oggi, Fleet Street racconta la storia della stampa e dell’editoria attraverso targhe sul marciapiede, cartelli fantasma e cimeli dimenticati. Ma il passato non sembra poi così remoto ogni volta che sfoglio la mia guida rossa. La maggior parte dei luoghi di interesse sopravvivono ancora oggi, nonostante la Seconda Guerra Mondiale, opere di riqualificazione urbana e traslochi. I piccoli vicoli immediatamente alle spalle del traffico e del rumore di Fleet Street sono una vera scoperta. Essi accolgono il viandante attraverso aperture strette e scure, sorprendendone i sensi con una sinfonia di vecchi mattoni, bianche cornici e modestia settecentesca. La prima tappa è a Crane Court. Questo vicolo sonnolento, vide le prime riunioni della Royal Society (1710-1780) e fu attraversato dalle menti illuminate di Joseph Banks, Hans Sloane e Benjamin Franklin, che si qui si dilettarono in vivaci dibattiti, contribuendo ai progressi scientifici. Anche il primo quotidiano britannico, il Daily Courant, vide la luce a questo indirizzo, nel 1702. Una caratteristica casa a schiera, con le pareti di mattoni rossi e le bianche finestre arretrate rispetto alla facciata, porta la firma di Nicholas Barbon, speculatore finanziario ed importante costruttore nella Londra del XVII secolo. Più avanti, Red Lion Court è un passaggio tranquillo a pochi passi da Fetter Lane. I suoi edifici in mattoni hanno assistito alla nascita del primo carattere tipografico sans-serif (William Caslon IV, 1816) e alla pubblicazione di periodici classici e traduzioni dal latino e dal greco ad opera di Abraham Valpy (1822 -1837). Seguendo i muri anneriti e poi girando a destra si può raggiungere Gough Square, dove, al n.17, sorge un raffinato esempio di casa di città della fine del XVII secolo. IMG_3580Fu in questo edificio, oggi un museo, che, tra il 1748 e il 1759, visse il dottor Samuel Johnson. La casa è un viaggio in se stessa e merita una visita, con i suoi pannelli scuri, le goffe scale, i manoscritti e i ritratti, le stampe e il servizio da tè, i divisori in legno e la grande soffitta, dove il famoso Dizionario vide la luce. Il dottor Johnson era un appassionato di Londra e della vita, di poesia e letteratura, ma anche del suo gatto, Hodge. James Boswell, biografo di Johnson, ci dice che quell grand’uomo “soleva uscire a comprare ostriche, per timore che i servi avessero qualche problema e dovessero prendere in antipatia la povera creatura”. IMG_3581Hodge è stato immortalato in una statua di bronzo, di fronte alla casa. “Un bel gatto davvero” seduto sul celebre Dizionario, con un paio di gusci di ostriche vuoti al lato. Il dottor Johnson e la sua cerchia probabilmente percorrevano la breve distanza da Gough Square a Wine Court Office, per bersi una pinta al Ye Olde Cheshire Cheese, una taverna costruita nel 1667, immediatamente dopo il grande incendio di Londra. Il pub resta in piedi ancora oggi ed è assai caratteristico, per gli interni cupi e pittoreschi, frequentati nel tempo da avventori del calibro di Charles Dickens e Arthur Conan Doyle. Un’altro personaggio la cui memoria si lega al locale, fu Polly, un pappagallo grigio. Il pennuto, all’inizio del secolo scorso, era celebre per le battute insolenti e l’impareggiabile imitazione dell’esplodere di tappi di bottiglia. Morì quarantenne di polmonite, nel 1926, anno in cui la mia guida rossa usciva in libreria. E il cerchio si chiude.