La Cerimonia delle Chiavi alla Torre di Londra

wp-1481051599538.jpgOgni volta che mi aggiro tra gli scaffali di librerie antiquarie o di seconda mano, ma anche quando mi ritrovo a curiosare tra i titoli di bancarellari e bouquinistes, mi capita spesso di non essere io a scegliere il libro, ma che sia quest’ultimo a scegliere me. Chiamatela legge dell’attrazione, destino, colpo di fortuna, eppure è così.
A meno di una settimana dalla mia visita notturna alla Torre di Londra, mentre rimuginavo sul post da scrivere, ecco che mi capita tra le mani un librino dall’anonima copertina blu, una ristampa del 1932 di The Spell of London, scritto da H. V. Morton e pubblicato da Methuen, casa editrice storica, della quale serbo altri titoli.
Henry Canova Vollam Morton era stato un valente giornalista ai tempi d’oro di Fleet Street, quando le rotative dei quotidiani facevano tremare le strade. Nel 1923, in veste di reporter del Daily Express, riuscì ad assistere in esclusiva all’apertura della tomba di Tutankhamon.
Da quel momento, la sua carriera, anche come scrittore di viaggi, era decollata. Il suo primo libro su Londra, The Heart of London, fu pubblicato nel 1925. Si trattava di un’antologia di articoli apparsi sulle colonne del Daily Express, una formula fortunata, seguita da altre due raccolte. Apparso nel 1926, The Spell of London, fu scritto per fare da pendant al primo libro. Lo stile immediato e sincero di H.V.Morton, non risente affatto dei novant’anni passati nel frattempo. L’occhio acuto del reporter, unito ad un certo gusto per le derive metropolitane, ci restituiscono intatte le sensazioni e gli umori della città, per mezzo di aneddoti agili ed infusi di ironia. “The Keys” è uno di questi brevi capitoli, in cui il protagonista ferma un taxi nell’umida notte londinese, nei pressi di Piccadilly, e domanda all’autista di portarlo alla Torre di Londra. Il tassista, sorpreso, chiede al cliente “Right up to the gate, Sir?”
“Si, fino al cancello.” risponde Morton, aggiungendo di aver avuto il permesso di assistere alla Cerimonia delle Chiavi.
wp-1481051612839.jpgUna settimana fa, in una fredda e buia serata londinese, mi sono trovata anch’io al cancello principale della Torre di Londra. La storica fortezza si profilava come una massa scura e silenziosa, dove il tempo sembrava essersi fermato. Il Ravenmaster ci ha dato il benvenuto e ci ha condotto all’interno del maniero, guidandoci in un tour special, attraverso porte, torrette, spiazzi, mura vetuste e percorsi tortuosi, sul cui acciottolato hanno risuonato i passi di re, regine, condannati a morte, soldati in armatura e anche quelli del primo duca di Wellington, Constable della Torre dal 1826 fino al 1852, anno della sua morte. Fu lui ad ordinare di svuotare il vecchio fossato, pieno di liquami e rifiuti malsani, e di constuirne uno asciutto, quello che ancora oggi circonda le mura, Fu sempre lui a far costruire una caserma, a nord della White Tower, quella dove sono esposti i gioielli della corona. Il Ravenmaster con competenza ed ironia ci ha illustrato i vari punti della torre, svelando segreti e curiosità. Ci ha anche portato a vedere i suoi pupilli, i famosi corvi, che però, a quell’ora, dormivano tranquilli nei loro quartieri speciali. Quando eravamo ormai intirizziti ed incapaci di porre altre domande, siamo stati accompagnati allo Yeoman Warder’s Club. Bisogna essere una Guardia della Torre oppure un invitato per entrare in questa esclusiva clubhouse, decorata da distintivi, targhe ed altre onorificenze. Qui non si può accedere in jeans e scarpe da ginnastica, ma ben vestiti, il che ha, in un certo senso, contribuito al semi-congelamento di noi signore, durante la visita alla Torre. Per fortuna abbiamo potuto rifocillarci con un’ottima cena, un buffet servito sotto archi normanni, in una piccola cella suggestiva, e ci siamo riscaldati con un po’ di vino, prima di rimettere i cappotti e seguire il Ravenmaster fino al Traitor’s Gate, per assistere, finalmente, alla tanto attesa Ceremony of the Keys.
Un evento che si ripete ogni sera, da oltre 700 anni. Alle 21:53, il Chief Yeoman Warder, vestito di un’uniforme rossa, in stile Tudor, incontra la scorta militare, con cui deve assicurare le porte principali della Torre. Un soldato prende la sua lanterna ed la Guardia, ben scortata, si reca a chiudere il cancello esterno. Al suo ritorno, lungo Water Lane, l’uomo viene fermato dalla sentinella, nei pressi della Bloody Tower, ed invitato ad identificarsi:

“Altolà! Chi viene?”
“Le Chiavi”
“Quali Chiavi?”
“Le Chiavi della Regina Elisabetta”.
“Passate pure Chiavi della Regina Elisabetta. Tutto a posto”.

Gli uomini con le Chiavi della Regina marciano su per il pendio, attraverso il varco oscuro della Bloody Tower, fino al corpo di guardia disposto sulla terrazza. In cima alle scale, il Chief Yeoman Warder solleva il suo cappello, esclamando: “Dio preservi la regina Elisabetta!”
Le Chiavi della Regina vengono prese in custodia, mentre risuonano le note di “The Last Post”, che, da tempi immemori, segnala che il posto di guardia finale è stato ispezionato, e la Torre è sicura per la notte.
wp-1481051748251.jpgE così, proprio come H.V Morton (che assistette alla Cerimonia delle Chiavi di Re Giorgio V) una volta uscita nello spiazzo vuoto, antistante la Torre, anch’io mi sono sentita di aver fatto parte di un sogno, effimero e senza tempo.

Se volete assistere solo alla Cerimonia delle Chiavi, i biglietti sono gratuiti, con un costo di transazione di una sterlina per le le prenotazioni online. I biglietti sono disponibili in numero limitato (massimo 4), e solo per prenotazioni individuali, dodici mesi in anticipo (ma sono già esauriti per i prossimi nove). Non c’è una lista d’attesa, bisogna arrivare puntualissimi e non si possono scattare fotografie durante la cerimonia.

 

Nei cortili di Fleet Street…

IMG_3575Ora che la primavera è tornata, è un piacere riprendere i miei vagabondaggi. In una calma domenica mattina me ne sono andata in giro con il naso per aria e una guida rossa Ward Lock & Co del 1925-1926 in tasca. La casa editrice Ward, Lock & Co ebbe inizialmente il suo quartier generale a Fleet Street e successivamente a Salisbury Square. Dopo che, nel dicembre del 1940, le bombe avevano distrutto la sede di Warwick House, l’azienda si trasferì a Chancery Lane e poi a Piccadilly. Alla ricerca di atmosfere nascoste, ho peregrinato per quello che, fino al 1980, era il famoso centro giornalistico di Londra. Oggi, Fleet Street racconta la storia della stampa e dell’editoria attraverso targhe sul marciapiede, cartelli fantasma e cimeli dimenticati. Ma il passato non sembra poi così remoto ogni volta che sfoglio la mia guida rossa. La maggior parte dei luoghi di interesse sopravvivono ancora oggi, nonostante la Seconda Guerra Mondiale, opere di riqualificazione urbana e traslochi. I piccoli vicoli immediatamente alle spalle del traffico e del rumore di Fleet Street sono una vera scoperta. Essi accolgono il viandante attraverso aperture strette e scure, sorprendendone i sensi con una sinfonia di vecchi mattoni, bianche cornici e modestia settecentesca. La prima tappa è a Crane Court. Questo vicolo sonnolento, vide le prime riunioni della Royal Society (1710-1780) e fu attraversato dalle menti illuminate di Joseph Banks, Hans Sloane e Benjamin Franklin, che si qui si dilettarono in vivaci dibattiti, contribuendo ai progressi scientifici. Anche il primo quotidiano britannico, il Daily Courant, vide la luce a questo indirizzo, nel 1702. Una caratteristica casa a schiera, con le pareti di mattoni rossi e le bianche finestre arretrate rispetto alla facciata, porta la firma di Nicholas Barbon, speculatore finanziario ed importante costruttore nella Londra del XVII secolo. Più avanti, Red Lion Court è un passaggio tranquillo a pochi passi da Fetter Lane. I suoi edifici in mattoni hanno assistito alla nascita del primo carattere tipografico sans-serif (William Caslon IV, 1816) e alla pubblicazione di periodici classici e traduzioni dal latino e dal greco ad opera di Abraham Valpy (1822 -1837). Seguendo i muri anneriti e poi girando a destra si può raggiungere Gough Square, dove, al n.17, sorge un raffinato esempio di casa di città della fine del XVII secolo. IMG_3580Fu in questo edificio, oggi un museo, che, tra il 1748 e il 1759, visse il dottor Samuel Johnson. La casa è un viaggio in se stessa e merita una visita, con i suoi pannelli scuri, le goffe scale, i manoscritti e i ritratti, le stampe e il servizio da tè, i divisori in legno e la grande soffitta, dove il famoso Dizionario vide la luce. Il dottor Johnson era un appassionato di Londra e della vita, di poesia e letteratura, ma anche del suo gatto, Hodge. James Boswell, biografo di Johnson, ci dice che quell grand’uomo “soleva uscire a comprare ostriche, per timore che i servi avessero qualche problema e dovessero prendere in antipatia la povera creatura”. IMG_3581Hodge è stato immortalato in una statua di bronzo, di fronte alla casa. “Un bel gatto davvero” seduto sul celebre Dizionario, con un paio di gusci di ostriche vuoti al lato. Il dottor Johnson e la sua cerchia probabilmente percorrevano la breve distanza da Gough Square a Wine Court Office, per bersi una pinta al Ye Olde Cheshire Cheese, una taverna costruita nel 1667, immediatamente dopo il grande incendio di Londra. Il pub resta in piedi ancora oggi ed è assai caratteristico, per gli interni cupi e pittoreschi, frequentati nel tempo da avventori del calibro di Charles Dickens e Arthur Conan Doyle. Un’altro personaggio la cui memoria si lega al locale, fu Polly, un pappagallo grigio. Il pennuto, all’inizio del secolo scorso, era celebre per le battute insolenti e l’impareggiabile imitazione dell’esplodere di tappi di bottiglia. Morì quarantenne di polmonite, nel 1926, anno in cui la mia guida rossa usciva in libreria. E il cerchio si chiude.

120 Fleet Street

120fleetstreetDa vent’anni, London Open House è un appuntamento da non mancare, se si vogliono scoprire i tesori nascosti della città. Il festival, nello spazio di un weekend, offre l’opportunità di sbirciare dietro le porte di luoghi speciali, di cui spesso si ignora l’esistenza: case private o altri edifici non accessibili al pubblico, come uffici governativi, sedi istituzionali o altri siti di interesse storico o architettonico. Cosi, ieri, nonostante la pioggia battente, la scelta è caduta sulla ex sede del Daily Express, in quella Fleet street, che un tempo fu il regno del giornalismo britannico e, fino agli anni ottanta, sede delle maggiori testate nazionali.  Il palazzo in questione, al numero 120, si distingue già all’esterno per le linee art deco e l’utilizzo di cemento, vetriolite scura e acciaio. Progettato da Sir Owen Williams e descritto come il più moderno edificio della Gran Bretagna, il quartier generale del Daily Express fu completato nel 1932. La lobby, in avveniristico stile hollywoodiano, rutilante di oro, argento, marmi e travertino, fu disegnata da Robert Atkinson. Questo spazio, è oggi inaccessibile, non solo al pubblico, ma anche agli impiegati della Goldman Sachs (proprietaria dell’edificio), che difatti entrano da un ingresso secondario. La hall scintillante, comprende un pavimento a onde blu e verdi, ed è decorata sui lati da due rilievi, in ​​gesso dorato e argentato, disegnati da Eric Aumonier, che rappresentano la Gran Bretagna e l’impero. Il soffitto stellare si conclude in bel lampadario, mentre l’ingresso, corredato da corrimano a forma di serpente, conduce agli ascensori e ad una scala ovale. Uno degli esempi più importanti di architettura art-deco a Londra, la lobby è registrata come edificio di interesse artistico o storico di secondo grado.