Buon 2021?

 

happy man treeIl primo post dell’anno, e il primo post dell’era Brexit.
Che dire?
Siamo al terzo lockdown, con variante inglese del virus che impazza. 
Un londinese su trenta ce l’ha.
Il sindaco ha dichiarato lo stato di emergenza, bisogna stare a casa il più possibile, perché gli ospedali sono ingolfati. 
Arte, cultura e tutto quello che mi capita a Londra… Difficile mantenere fede al sottotitolo di questo blog.
I musei sono chiusi, la cultura è per lo più digitale, ma non vi si accede dal vivo; l’arte, ormai, la faccio io, prendendo spunto dalla natura e dalle passeggiate al parco e seguendo una classe di disegno in streaming. 
Mi diletto con le effemeridi della storia e le conferenze online, però mi piacerebbe leggere di più quest’anno… Chissà se ci riuscirò. 
Mi mancano i miei giretti da flâneuse, che tanto hanno ispirato i miei post.
Continuo a camminare, esplorando la zona e la serie di parchi, boschi e spazi verdi della Green Chain.
La posta arriva in ritardo, perché i postini sono malati. Le spedizioni dall’Europa idem, perché, adesso, per inviare qualcosa, bisogna compilare una dichiarazione doganale. E molte imprese e corrieri britannici hanno ridotto o sospeso le consegne nell’UE, mentre le aziende sono alle prese con i nuovi controlli alle frontiere e tasse di importazione. Prima di Natale c’è stato un mega-ingorgo a Dover, file di camion bloccati. Gli inglesi si sono fatti prendere dal panico e hanno fatto incetta di lattuga. I porri e le patate, per fortuna, li hanno lasciati.
Un antico platano di Hackney, soprannominato ‘The Happy Man Tree”, che era stato votato albero dell’anno nel 2020, è stato tagliato poco prima della Befana. Dava fastidio al progetto di riqualificazione di Berkeley Homes. Non sono servite proteste e petizioni, ormai era troppo tardi per alterare il progetto di costruzione di nuovi appartamenti ( 58% privati e di lusso e solo 20% popolari) e risparmiare la vita al platano, che aveva la bella età di 150 anni. Anche volendo apporre delle modifiche, si sarebbe verificato un ritardo di quindici mesi sui lavori.
Decisamente troppo, sia per i costruttori che per il municipio.
A Londra il tempo è denaro, anche quando il tempo sembra essere sospeso da una pandemia.  
E, quindi, per qualsiasi lieto fine, bisognerà aspettare ancora…

 

Una mela al giorno

La maturazione naturale delle mele avviene tra agosto e ottobre.
Non a caso, qui in UK si celebra da oltre un ventennio, Apple Day, una giornata dedicata a mele e frutteti, che si tiene tradizionalmente il 21 ottobre. Quest’anno, però, la National Farmers’ Union ha reso noto che milioni di mele sono state lasciate marcire nei frutteti del Regno Unito, a causa dell’incertezza sulla Brexit e alla conseguente carenza di manodopera dall’Unione Europea.
Al di là di queste notizie spiacevoli, c’è da dire che, il frutteto britannico tradizionale, è ormai divenuto una risorsa preziosa e fragile, dall’importante valore ecologico.
Proprio perché rischia di scomparire del tutto, da circa una decina di anni, il National Trust e Natural England si adoperano a conservare e ripristinare i frutteti tradizionali, caratteristici delle campagne inglesi almeno fin dalle conquiste normanne.
Inoltre, Il gruppo ambientalista Common Ground, fondatore dell’Apple Day, ha dato vita ad un vero e proprio movimento per la salvaguardia dei frutteti.
Si stima che, negli ultimi 50 anni, a causa dell’agricoltura intensiva e degli standard della grande distribuzione, che richiedono sempre più perfezione cosmetica, la superficie coltivata a frutteto tradizionale è andata costantemente diminuendo (addirittura, in Devon, le perdite sono arrivate fino al 90%).
L’intensificazione agricola è stata la principale causa. I frutteti tradizionali sono economicamente insostenibili, poiché i grandi alberi richiedono molta manodopera e producono meno. Inoltre, molti agricoltori, per ricevere i sussidi dell’Unione Europea, hanno abbattuto i frutteti per seminare qualcos’altro.
Da qualche anno, si registra, però, un’inversione di tendenza.
Alberi di mele vengono piantati in orti, giardini e scuole. Molti progetti coinvolgono gruppi di volontari locali nel restauro, conservazione o  creazione di frutteti, e sono nate associazioni benefiche, con l’obiettivo comune di promuovere il patrimonio e la conoscenza dei frutteti tradizionali. E di salvare mele a rischio di estinzione, o che ormai si credevano estinte, come la gialla Bringewood pippin, creata agli inizi del XIX secolo da Thomas Andrew Knight, e riscoperta, fortuitamente, in un frutteto abbandonato dello Shropshire.
Tra le varietà di mele che hanno radici vittoriane, la più famosa la Cox Orange pippin, una piccola mela, ottima da mangiare fresca, ma eccellente anche cotta. E’ una mela da sidro e un ingrediente comune nelle conserve di inglesi. Si trova facilmente nei farmers’ market londinesi, e ve la consiglio.

Brexit Beatles

Beatles pro Brexit © Gut Feelings Zine

In una recente intervista a BBC Newsnight, Ringo Starr ha elogiato la Brexit, definendola “una grande mossa”, sollecitando il Primo Ministro, Theresa May , ad andare avanti.
Il batterista dei Beatles ha anche affermato di trovare ridicola la richiesta da parte dei remainers di ripetere il referendum. Jonathan Isaby, direttore del sito Brexit Central, ha preso la palla al balzo ed ha proposto ai suoi seguaci di dare alle canzoni dei Beatles una connotazione politica.
Subito la rete si è scatenata e su Twitter gli utenti (sia pro che contro Brexit), hanno dato sfogo alla loro creatività e senso dell’humour, parafrasando celebri canzoni dello storico quartetto di Liverpool, e pubblicando il tutto con l’hashtag #BrexitBeatlesSongs.
Già lo scorso giugno, il presidente dell’Unione Europea, Donald Tusk, aveva citato il brano di John Lennon, “Imagine” , nella speranza che la Brexit potesse essere revocata.

Keep calm and carry on… 

“L’uomo ha snaturato molte cose per meglio convertirle a proprio uso.” Jean-Jaques Rousseau

Non ho scritto qui da molto tempo. Volevo farlo, avevo alcune idee, non mi mancavano gli spunti. Tuttavia, eventi di varia portata mi hanno, in un certo senso, tolto le parole. Dal lato personale, oltre a combattere una brutta infezione bronchiale, che mi ha praticamente “steso” per alcune settimane, nello spazio di due mesi ho perso tre amici a causa di un male incurabile, percui è stato un susseguirsi di addii più o meno improvvisi, anche se non del tutto inaspettati, con conseguenti lutti, che non credo di aver completamente elaborato. Tra una notizia e l’altra, ho vissuto con apprensione gli ennesimi attentati, così efferati e così insensati, che hanno nuovamente insaguinato la città, di cui uno in un’area a me cara e familiare, dove spesso mi trovo a camminare, incontrare amici, fare una pausa. E come non restare turbati e indignati dal doloroso e incredibile epilogo dell’incendio di un grattacielo popolare, che, in primis, poteva essere evitato o, quantomeno, contenuto, e, che, invece, ha raggiunto dimensioni catastrofiche, reclamando vite e disgregando un’intera comunità? Una cappa pesante aleggia sulla città e, forse, sul resto del Paese. Una coltre di interrogativi, che chiamano in causa ideologie criminali e scenari geopolitici, ed un malessere interno, costellato da evidenti mancanze, da parte di una classe politica, che, pensando al profitto, non si è preoccupata di smantellare istituzioni e professioni, congelare salari per quasi un decennio, stritolare i meno abbienti nella morsa dell’austerity, demonizzare gli immigrati (le cui tasse e il cui lavoro pur servono) e la membership in Europa, subappaltando servizi, tagliando aiuti, ignorando cinicamente i più poveri, i disabili, gli indigenti. Gente che non vive sulla luna, ma in seno a quartieri dove vengono tollerati, fianco a fianco con i ricchi, i benestanti, quelli che si possono comprare una casa per investimento e lasciarla sfitta, che non devono fare trafile perché usufruiscono del dottore o dell’asilo privato, e che non temono il rialzo dei prezzi del mangiare o del riscaldamento. Divisioni ed ineguaglianze da epoca vittoriana, dove lo stato è quasi assente e gli enti benefici faticano a riempire i vuoti. È difficile vivere con leggerezza o noncuranza tempi come questi, che arrivano a colpire il nostro quotidiano, eppure bisogna stoicamente andare avanti. Keep calm and carry on, certo, ma, più di tutto, bisogna restare umani, o re-imparare ad esserlo, perché rinchiudersi nel proprio cortile (o  bunker), alle lunghe, rende sempre più cinici, impauriti, aridi ed alienati.

Brexit: riflessioni del giorno dopo

Fonts: Domenico Rosa per Il Sole 24 ore

Fonts: Domenico Rosa per Il Sole 24 ore

Ho aperto questo blog nove anni fa (ne sostituiva un altro, dallo stesso titolo, creato agli esordi della mia avventura londinese, nel 2004, dove abbozzavo pensieri vari). Gli ho dato il nome del quartiere dove abito, che negli anni è divenuto casa. Il blog, invece, si è trasformato: meno diario e più contenitore di articoli e recensioni. Del resto, i siti, portali e blog di italiani a Londra, si sono via via moltiplicati, e io sono stata ben contenta che la discussione si allargasse, e chi fosse appena arrivato o stesse per arrivare, potesse trovare riferimenti e consigli pratici (che non è mai stato il mio scopo). Sono passati 12 anni e mi sono integrata, pur restando italiana e cittadina europea. Il mio passaporto EU era sufficiente, i servizi di cui ho usufruito, saltuariamente, nel tempo, non mi sento di averli “rubati” perché ho sempre pagato le tasse e non ho mai chiesto un pound di benefits. Ho studiato in un’università inglese, ho ottenuto una qualifica professionale nella City e ho lavorato per istituzioni culturali britanniche, con i miei soli meriti, capacità e soldi. Non sempre ho dovuto sborsare: grazie ai fondi stanziati dalla tanto denigrata EU, ho potuto seguire, gratuitamente, un corso di inglese, per conseguire il diploma IELTS, e vari corsi di business per piccole imprese. Dopo una campagna elettorale demonizzante e bigotta, si è arrivati alla Brexit e io mi ritrovo oggi “extra-comunitaria” e consapevole di non essere gradita al 51% di questo Paese. Per fortuna, abitando a Londra, ho incontrato ed incontrerò solo una piccola percentuale di questi individui, ma tant’è, ho potenzialmente meno diritti di prima. Sono qui da tanto e non ho remore o impedimenti nel chiedere di essere naturalizzata. Se io mi ritrovo “aliena”, un 48% di persone, per la maggior parte sotto i quarant’anni, si sono risvegliate alienate dal proprio Paese. Mi dispiace per loro, e per moltissimi miei amici e colleghi. Londra è sempre stata un magnete, anche quando io ero adolescente, i voli erano proibitivi, ed il Regno Unito era segnato dal liberismo della Thatcher (che, ricordiamolo, fu strenuamente anti-europeista), gli scioperi dei minatori, la guerra delle Falklands e gli attentati dell’IRA. Non sarà la fine. Tuttavia, per tanta gente che ho incontrato in questi anni, è come se il British Empire non fosse mai tramontato, e questo rigurgito di “splendid isolation” non mi sorprende affatto. Mi preoccupa però il serpeggiare trionfante di certe destre xenofobe e populiste, la guerra dei poveri fomentata da divisioni ed ineguaglianze, e il rifiuto di vivere ed accettare un ventunesimo secolo sempre più globalizato, con tutto il buono e cattivo che questo implica. È presto per sapere come andrà e non mi improvviso economista, avendo dedicato i miei studi alla storia e all’arte. Sicuramente accordi verranno fatti per rendere lo strappo meno doloroso. Il processo sarà molto più lungo di quello che si pensa e gli stessi Brexiteers ne ignorano le conseguenze (anche se, pare, alcuni si siano già pentiti di aver votato Leave). Staremo a vedere…