E’ passato più di un mese dal mio ultimo post e le cose sono decisamente andate peggiorando.
L’epidemia si è trasformata in pandemia e Samuel Pepys è diventato virale sui social media, anche con aforismi falsi coniati ad hoc.
In Italia, la popolazione è in quarantena da molto più tempo di noi, che, in terra angla, siamo ad appena 16 giorni di confinamento.
Il Governo avrebbe potuto prendere esempio da quei paesi, che già fronteggiavano l’emergenza con misure restrittive e di prevenzione, ed attuare una strategia efficace, o, almeno, una strategia; invece, si è tergiversato, per almeno due settimane.
Boris Johnson, che, inizialmente, paventava un’immunità di gregge, avvisando che bisognava abituarsi a perdere molte persone care, ha poi deciso di seguire il trend dell’auto-isolamento obbligatorio, specialmente dopo che un weekend di sole e tepore primaverile, aveva fatto assembrare miriadi di incoscienti al mare, nei parchi e nelle riserve naturali fuori città. Suddetto premier pro-Brexit, che era andato in giro spavaldo, anche per ospedali, a stringere mani infette, pensando di lasciare tutto com’era e far girare l’economia, ha finito per contrarre lui stesso il virus, ed ora è ricoverato in terapia intensiva, probabilmente curato da medici, infermieri e personale con passaporto europeo, in gran parte lavoratori che il suo governo ha indicato come poco qualificati, in base al nuovo permesso di soggiorno a punti.
Peccato che proprio questi lavoratori low skilled siano quelli che stanno mandano avanti il Regno Unito, tra ospedali, trasporti, uffici postali, supermercati, pulizie, eccetera…
Mentre il premier si trova al St Thomas Hospital, seduto sul letto e “impegnato positivamente” con il team dell’ospedale, a me oggi è arrivata la sua lettera, dove, tra le altre cose, afferma (profetico): “sappiamo che le cose peggioreranno prima di migliorare…”
Prima che le cose peggiorassero, avevo cominciato a praticare distanziamento sociale e cancellare impegni, anche lavorativi, già da quando l’Italia era stata dichiarata zona rossa.
Nel frattempo, nei supermercati cominciavano a sparire la carta igienica, la pasta, i disinfettanti, il paracetamolo, le uova, la farina… Le aziende private avevano già lasciato a casa la maggior parte degli impiegati a fare telelavoro, mentre le persone sopra i 70 anni si erano chiuse in casa. Dato che non potevo fare smart working, avevo optato per viaggiare solo 10 minuti in treno, per fortuna abbastanza vuoto, e proseguire a piedi, attraversando una città deserta e surreale. Finalmente, il 23 marzo, è stato dichiarato il lockdown e alla popolazione è stato ordinato di restare a casa.
E’ permesso andare una volta a settimana a fare la spesa, in zona, ma si consiglia soprattutto di fare acquisti online. Impossibile ordinare la spesa ai supermercati, ma praticabile rivolgersi ai negozianti locali, che, essendo indipendenti, hanno bisogno di supporto in questo momento così particolare.
Una mano lava l’altra, il servizio è cordiale e la spesa mi arriva a casa in meno di 24 ore, oppure, ogni sabato mattina, dal contadino del Kent, che non posso più incontrare di persona al mercatino di zona.
A differenza di altri paesi, qui si può anche uscire una volta al giorno, per massimo un’ora, per fare esercizio fisico, cioè camminare, correre o andare in bicicletta. Fortunatamente, queste attività sono ancora consentite nel raggio di uno o due chilometri, una salvezza per chi ha un appartamento piccolo e non ha un giardino.
La mia passeggiata ha luogo ogni giorno, la mattina presto, verso le 7:30. E’ un’ottima routine.
Riesco a dormire abbastanza bene, ma alle 6 mi sveglio, di solito alla fine di un sogno complicato e assurdo, con un po’ di ansia. Invece di restare stesa a guardare il soffitto, mi alzo, mi vesto, faccio colazione ed esco. Non devo preoccuparmi troppo delle distanze sociali di sicurezza, perché non c’è quasi nessuno.
I corridori e i padroni dei cani arrivano verso le 8, ed io, a quell’ora, finisco il giro e torno indietro.
Ho un parco vicino casa, che mi permette di vedere un po’ di natura e di primavera, e anche i grattacieli della City all’orizzonte. Ogni tanto incontro qualcuno che, come me, fa la sua passeggiata solitaria. Ci si saluta, a oltre due metri di distanza, anche se non ci si conosce. Ci si sorride quando le strade divergono e ci si evita cordialmente.
Prima non capitava, ma adesso ci (ri)conosciamo tutti: isolati/insonni/mattinieri, in cerca di normalità.
Il parco è pieno di uccelli e scoiattoli, e, talvolta, nello stagno, si possono vedere le anatre e persino un airone!
Il verde ed il silenzio fanno da sfondo a questa specie di meditazione camminata, inframezzata dal canto dei merli o dal ronzio degli insetti.
A differenza dell’Italia, non è ancora vietato sedere sulle panchine, ma si consiglia di disinfettarle con delle salviette. Però non vedo nessuno farlo. Io evito accuratamente di sedermi e toccare superfici varie.
Giochi per bambini, campetti da basket o tennis e skateparks sono stati chiusi, anche se poi c’è chi scavalca, sconfina, divelle barriere.
Prima della quarantena obbligata, abbiamo avuto settimane di pioggia, tempeste, vento.
Da quando dobbiamo stare a casa, sole fisso, cielo blu, temperature sui venti gradi.
Perciò, questo weekend passato, parecchi hanno infranto le regole, e, invece di camminare, si sono stesi sui prati a prendere la tintarella, portando il pallone, le racchette o le vivande per un picnic.
Così, il comune di Southwark, uno dei più colpiti dal coronavirus, ha deciso di chiudere Brockwell Park, un polmone verde di quasi 51 ettari, perché era stato invaso da 3000 persone, che, invece di sparpagliarsi a distanza di sicurezza, bivaccavano tutti assieme, senza rispettare le norme.
Anche in SE4 non mancano gli indisciplinati.
Ogni mattina, quando arrivo al parco dietro casa, spero ancora di trovare il cancello aperto…
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