Quarantena Londinese #4

Quella appena passata, è stata una settimana molto particolare.

Mercoledì il totale delle morti in UK per coronavirus ha superato quello dell’Italia e con le attuali 31.855 il Regno Unito è il paese europeo con il più alto numero di decessi.
Tuttavia, sulle prime pagine dei tabloid britannici, si sono visti dei titoli surreali: è tempo di picnic, viva la libertà, fine della quarantena, tana libera tutti. Questo in previsione del discorso del premier Boris Johnson, in programma la domenica sera.
tabloids uk coronavirusMolta gente, evidentemente, non ha minimamente esercitato prudenza e, invece di aspettare, ha cominciato ad uscire, come se nulla fosse.
Durante la mia passeggiata mattutina, giovedì alle 7:30, c’era un traffico di macchine mai visto ed erano esponenzialmente aumentati i pedoni e quelli che correvano.
Venerdì e sabato il tempo era quasi estivo, ma io sono rimasta a casa bloccata dalla sciatica.
L’8 maggio si celebrava il VEDay75, i 75 anni della vittoria in Europa nella Seconda Guerra Mondiale, e, anche se le raccomandazioni ufficiali erano ancora quelle di far festa in casa, o sulla soglia di casa, ma comunque nei limiti della quarantena, le strade si sono riempite di gente e di festaioli, che, complice l’alcool, non hanno nemmeno aderito alle regole di distanziamento sociale.
Molto scalpore ha suscitato il filmato di un gruppo di abitanti di Warrington, impegnati allegramente a ballare la conga, una line dance cubana, molto in voga in America tra il 1930 e il 1950.
E le feste sono proseguite il giorno dopo, con persone in tenuta estiva che si sono riversate nei parchi a fare grigliate, picnic e a prendere il sole, senza che la polizia locale potesse o volesse fare qualcosa. Senza menzionare altri, che hanno organizzato cene e feste a casa propria.
Alla fine, ci ha pensato il clima a mettere una specie di freno a questo delirio, con un abbassamento repentino di 10 gradi, nuvole e vento forte.
Poi, ieri sera, l’atteso discorso di Boris, che, francamente, mi è sembrato abbastanza azzardato e contraddittorio.
Innanzitutto il cambio di slogan, da State a Casa a State all’Erta, come se questo virus si potesse vedere, sentire, annusare, toccare.
Inoltre, varie e vaghe indicazioni: state a casa, ma anche no; uscite a lungo, uscite più volte al giorno, però per la maggior parte state a casa; incontrate gli amici, ma anche i genitori, due alla volta, uno per volta, basta che restiate a due metri di distanza; vi potete sedere al parco e sulle panchine (che nessuno disinfetta da illo tempore); potete andare al lavoro, ma se siete in grado di lavorare da casa, state a casa; però, se andate al lavoro, dovreste andare in macchina, a piedi o in bicicletta (si aspetta di sapere, a parte lavoratori edili e manifatturieri, chi altro rientri nelle categorie di quelli che possono tornare al lavoro, e, soprattutto, come farlo in modo sicuro per tutti) e così via.
Ci ha anche mostrato una formuletta e dei grafici, che sono stati subito trasformati e fatti circolare, in versione esilarante, sui social.

Covid Graph

Johnson’s Covid Graph in full © Happy Toast

La mia sciatica è in via di risoluzione, perciò da domani cercherò di riprendere le mie passeggiate mattutine e si vedrà quante persone incontrerò sulla mia strada e se le distanze di sicurezza saranno rispettate.
Seguo con affetto e apprensione i timidi tentativi dell’Italia di tornare ad una normalità, riaprendo negozi, parchi, musei, col terrore di una seconda ondata di infezioni e decessi. Qui non abbiamo nemmeno ancora assistito ad un calo significativo dei numeri di malati o dei morti, e però si parla già di fase 2.
Per quanto mi riguarda, credo che continuerò a stare a casa, salvo l’ora d’aria del mattino. Non penso di essere affetta dalla sindrome della capanna, mi è capitato un decennio fa di dover restare tappata in casa per oltre due mesi a causa di un’operazione. Psicologicamente e fisicamente, mi sentivo molto più vulnerabile allora, quando sono dovuta uscire fuori e mi è toccato lavorare in un evento affollatissimo, tenendo a bada comprensibili attacchi di panico. No, non ho paura di riprendere i ritmi di prima (che come prima, non saranno) e di girare per la città.
Solo che non è possibile farlo senza delle regole chiare, perché il virus è ancora qui, invisibile, inodore e insapore, proprio come i sintomi che lascia a quelli più fortunati, che lo superano senza andare a finire in terapia intensiva o, peggio, al cimitero.

Quarantena Londinese #2

Sono in quarantena da quasi un mese.

Il tempo vola, anche quando si resta a casa.
E’ vero che siamo tutti un po’ intrappolati in una specie di eterna domenica o, comunque, di ripetitivo ciclo temporale, alla Groundhog Day.
Se non avete visto questo film, uscito in Italia con il titolo Ricomincio da capo, beh, è il momento di farlo, se non altro per come va a finire la storia (e non vi rovino la sorpresa).

Suddividendo il mese in quattro settimane, posso individuare per ciascuna delle fasi distinte:

  1. la fase dell’emergenza, in cui si cerca di organizzare la vita da isolati, cercando di calmare il tumulto interiore, tra pulizie, eliminazione di scartoffie, rinvaso piante, ordini online e brevi escursioni nel quartiere, cercando qua e là di sentire gli amici per sapere come va, e dormendo malissimo la notte;
  1. la fase sperimentale, in cui si provano nuovi percorsi, spesso con l’aiuto del digitale: le lezioni di yoga su laptop, la visita virtuale ad una mostra che avrei dovuto visitare dal vivo, i webinar per reinventarsi il proprio lavoro, che, nella versione reale,non può più sussistere, e le video-conferenze a tre o a cinque, che, per un’introversa (espressiva, come dice Fabio) sono sempre una sfida; e poi eliminare il caffè, così la notte si dorme, magari continuando a fare dei sogni assurdi. Ci si sveglia presto, ma forse, più che l’ansia, adesso sono i ritmi circadiani a farci aprire gli occhi;
  1. quella della routine, perché, per stare meglio, bisogna crearsi delle mini certezze e dei rituali: ecco allora la benefica passeggiata la mattina presto, che mi impone di fare colazione, lavarmi e vestirmi, le ricette dai libri vintage, che ho collezionato nel tempo, per mettersi ai fornelli in maniera rispettosa e creativa, perché mangiare bene, in questo momento, è importante. E poi le piante da annaffiare, quel poco lavoro rimasto da fare in modalità remota, gli appuntamenti fissi qua e là per fare due chiacchiere e, magari, vedersi, tutti un po’ stanchi, spettinati, con la tazza di tè in mano. E l’applauso a dottori e infermieri il giovedì sera alle 8. Perché la gente continua ad ammalarsi, e, purtroppo, a morire. Il silenzio è squarciato dalle sirene delle ambulanze, e il personale sanitario, in questo Paese, combatte con protezioni davvero inadeguate e risorse ridotte al lumicino. Sui vetri delle finestre appaiono qua e là gli arcobaleni disegnati dai bambini inglesi, perché, come quelli italiani, anche loro hanno bisogno di sicurezza, e la promessa dei grandi, che andrà tutto bene;
  1. infine, la fase costruttiva. Perché un giorno questa quarantena finirà, e, timidamente, torneremo a salire su un treno, andremo al lavoro, incontreremo gli amici, e prenderemo un aereo, più costoso del solito, per riabbracciare i genitori, anche a costo di isolarci per altre due settimane (o più). Saremo ancora distanti, forse indosseremo delle mascherine, continueremo a lavarci le mani e ad usare il disinfettante sulle nostre scrivanie. Speriamo che un vaccino arrivi presto. Chi dice che si tornerà alla vita di prima, sbaglia. Io, personalmente, non penso che il prima fosse totalmente giusto. La frenesia, la fretta, le cose fatte, vissute e ingurgitate senza veramente assaporarle, apprezzarle, sentirle. Il tempo libero consumato compulsivamente, mai paghi. Folle di turisti che rubavano un selfie, senza davvero vedere o capire cosa avevano davanti, gente che si lamentava per cose futili, come un evento cancellato, un ritardo del treno, il prezzo di un biglietto. Persone ridotte a vivere per strada, ignorate, così come si trascura una cartaccia o una cicca sui marciapiedi (che ora sono pulitissimi). Ineguaglianze, che restano tali in quarantena. Perché chi è privilegiato e non ha perso il lavoro, può stare a casa, al sicuro, col frigo pieno. Altri, invece, rischiano di non avere più un tetto sulla testa oppure devono continuare ad andare al lavoro, per pulire, guidare mezzi, riempire scaffali, servire alle casse, portare via la spazzatura. Allora sì, bisogna essere grati per quello che abbiamo ogni giorno e cercare di costruire il nostro domani. Reinventarsi il lavoro, portarsi dietro gli insegnamenti di cui abbiamo fatto tesoro, scoprire i nostri talenti, seguire dei corsi online, sistemare la casa, per troppo tempo trascurata, eliminando quello che crea solo confusione e ingombro, essere ancora più attenti a noi stessi e agli altri.