Buon 2021?

 

happy man treeIl primo post dell’anno, e il primo post dell’era Brexit.
Che dire?
Siamo al terzo lockdown, con variante inglese del virus che impazza. 
Un londinese su trenta ce l’ha.
Il sindaco ha dichiarato lo stato di emergenza, bisogna stare a casa il più possibile, perché gli ospedali sono ingolfati. 
Arte, cultura e tutto quello che mi capita a Londra… Difficile mantenere fede al sottotitolo di questo blog.
I musei sono chiusi, la cultura è per lo più digitale, ma non vi si accede dal vivo; l’arte, ormai, la faccio io, prendendo spunto dalla natura e dalle passeggiate al parco e seguendo una classe di disegno in streaming. 
Mi diletto con le effemeridi della storia e le conferenze online, però mi piacerebbe leggere di più quest’anno… Chissà se ci riuscirò. 
Mi mancano i miei giretti da flâneuse, che tanto hanno ispirato i miei post.
Continuo a camminare, esplorando la zona e la serie di parchi, boschi e spazi verdi della Green Chain.
La posta arriva in ritardo, perché i postini sono malati. Le spedizioni dall’Europa idem, perché, adesso, per inviare qualcosa, bisogna compilare una dichiarazione doganale. E molte imprese e corrieri britannici hanno ridotto o sospeso le consegne nell’UE, mentre le aziende sono alle prese con i nuovi controlli alle frontiere e tasse di importazione. Prima di Natale c’è stato un mega-ingorgo a Dover, file di camion bloccati. Gli inglesi si sono fatti prendere dal panico e hanno fatto incetta di lattuga. I porri e le patate, per fortuna, li hanno lasciati.
Un antico platano di Hackney, soprannominato ‘The Happy Man Tree”, che era stato votato albero dell’anno nel 2020, è stato tagliato poco prima della Befana. Dava fastidio al progetto di riqualificazione di Berkeley Homes. Non sono servite proteste e petizioni, ormai era troppo tardi per alterare il progetto di costruzione di nuovi appartamenti ( 58% privati e di lusso e solo 20% popolari) e risparmiare la vita al platano, che aveva la bella età di 150 anni. Anche volendo apporre delle modifiche, si sarebbe verificato un ritardo di quindici mesi sui lavori.
Decisamente troppo, sia per i costruttori che per il municipio.
A Londra il tempo è denaro, anche quando il tempo sembra essere sospeso da una pandemia.  
E, quindi, per qualsiasi lieto fine, bisognerà aspettare ancora…

 

Quarantena Londinese #5

spazzatura

Si prevedeva che il bel tempo questo weekend avrebbe attirato molte persone verso riserve ed aree naturali, dopo che il governo del Regno Unito ha autorizzato viaggi illimitati per attività fisica all’aperto o per prendere il sole.
Secondo le previsioni, 15 milioni di persone avrebbero dovuto mettersi in viaggio, ma il traffico è aumentato solo del 3% rispetto allo scorso weekend, non si sa se perché ci si è attenuti alle indicazioni o perché  affetti da quella che è stata definita Coronafobia, la paura di tornare alla normalità. Una normalità che non esiste per tutti.
Mentre in Inghilterra le regole sono cambiate, nelle altre nazioni del Regno Unito (Galles, Scozia e Irlanda del Nord) il messaggio alla popolazione è rimasto sostanzialmente invariato: restate a casa.
Così, le comunità che vivono nelle aree rurali e le autorità delle nazioni che non hanno aderito alla fase due, hanno cercato di scoraggiare la gente di città a mettersi in viaggio, per paura di nuovi focolai di infezione.
Alcuni parchi, incluso il Lake District, hanno ripetutamente sollecitato i visitatori a stare alla larga, mentre il Peak District National Park ha twittato che “i parcheggi sono già pieni”. Ma anche Brighton, località balneare molto popolare tra i londinesi, aveva chiesto alle persone di stare lontane dal suo lungomare. La polizia ha istituito dei posti di blocco per impedire ai gitanti di accorrere a frotte nelle località off limits.
Per quelli che non hanno la macchina, la soluzione più accessibile e logica, sono rimasti i parchi e le attrazioni dietro casa.
Il Regno Unito attualmente è al secondo posto nel mondo per numero di morti per coronavirus. Che non accennano a diminuire.

Mentre scrivo, ad Hyde Park si sta svolgendo una protesta (un assembramento di gente e di polizia senza mascherine e guanti) contro il lockdown, le restrizioni e la soppressione dei diritti civili a causa di un virus, che i manifestanti considerano falso.
In tutto questo, io ho proseguito la mia quarantena, concedendomi le solite passeggiate di mattina presto.
Generalmente è più facile mantenere il distanziamento sociale prima delle nove, anche se c’è stato un lieve incremento nel numero di persone che camminano o corrono di buon ora. Non so come sia la situazione nella tarda mattinata e nel pomeriggio, perché io, fuori dal coro, resto a casa. Suppongo, dai resti di lattine di birra, cartoni di pizza e take away, che ci siano tante persone che si incontrano al parco per socializzare e prendere il sole. Non sono veramente convinta che mantengano le distanze sociali. Le mascherine sono praticamente delle perfette sconosciute, e, quando vado a fare la spesa, sono di solito l’unica ad indossarla.
Molti avventori non hanno la minima cognizione di che cosa sia il distanziamento sociale, nonostante i segni in terra e i messaggi all’ingresso del negozio. Il personale non dà indicazioni particolari e non controlla il corretto comportamento dei clienti. Non vedo mai un’offerta di salviette monouso per le mani e per carrelli e cestini all’ingresso, come succede in Italia.
Sembra, comunque, che sia stato molto più difficile trasmettere un messaggio chiaro su cosa si può o non si può fare in questa fase di allentamento, rispetto al lockdown di prima (che, comunque, al confronto di altri paesi, era già rilassato).
Boris Johnson ha chiesto ai Britannici, specialmente quelli che da mercoledì sono dovuti tornare al lavoro, di evitare di prendere i mezzi pubblici, e di andare invece a piedi, in bicicletta o in automobile.
Per molti, questi consigli sono impossibili da seguire.
C’è chi non ha la macchina, chi abita troppo lontano dal luogo di lavoro per poterci andare con mezzi alternativi e chi ha una disabilità o condizioni fisiche particolari, che ne limitano i movimenti.
Per chi è costretto ad usare bus, treno o metropolitana, il consiglio è quello di indossare la mascherina, tenersi a distanza dai compagni di viaggio e cercare di evitare l’ora di punta.
Purtroppo, le cose non hanno funzionato come previsto.
Mercoledì mattina gli autobus e i vagoni delle metropolitane erano pieni zeppi e non tutti i viaggiatori indossavano protezioni adeguate. Sembra poi del tutto irrealistico pensare che chi lavora con tempi e impegni definiti, possa permettersi il lusso di viaggiare fuori orario, cosa che, magari, riuscirebbe meglio ad un libero professionista.

Grafico a cura del CBRE

Esistono anche delle differenze sostanziali tra Londra e il resto dell’Inghilterra. Nella capitale, la rete di trasporti pubblici è capillare ed il servizio abbastanza buono, perciò, prima del coronavirus, tanti ne facevano uso. Al contrario, la maggior parte delle città inglesi, non dispone di altrettanti servizi di qualità, e quindi moltissime persone usano la macchina. Io stessa, se volessi camminare fino a London Bridge, che è a poco più di 7 km dalla mia abitazione, impiegherei un’ora e mezza (sola andata); disponendo di una bicicletta, mezz’ora (ma dovrei affrontare un paio di arterie molto trafficate e pericolose)…

Quarantena Londinese #4

Quella appena passata, è stata una settimana molto particolare.

Mercoledì il totale delle morti in UK per coronavirus ha superato quello dell’Italia e con le attuali 31.855 il Regno Unito è il paese europeo con il più alto numero di decessi.
Tuttavia, sulle prime pagine dei tabloid britannici, si sono visti dei titoli surreali: è tempo di picnic, viva la libertà, fine della quarantena, tana libera tutti. Questo in previsione del discorso del premier Boris Johnson, in programma la domenica sera.
tabloids uk coronavirusMolta gente, evidentemente, non ha minimamente esercitato prudenza e, invece di aspettare, ha cominciato ad uscire, come se nulla fosse.
Durante la mia passeggiata mattutina, giovedì alle 7:30, c’era un traffico di macchine mai visto ed erano esponenzialmente aumentati i pedoni e quelli che correvano.
Venerdì e sabato il tempo era quasi estivo, ma io sono rimasta a casa bloccata dalla sciatica.
L’8 maggio si celebrava il VEDay75, i 75 anni della vittoria in Europa nella Seconda Guerra Mondiale, e, anche se le raccomandazioni ufficiali erano ancora quelle di far festa in casa, o sulla soglia di casa, ma comunque nei limiti della quarantena, le strade si sono riempite di gente e di festaioli, che, complice l’alcool, non hanno nemmeno aderito alle regole di distanziamento sociale.
Molto scalpore ha suscitato il filmato di un gruppo di abitanti di Warrington, impegnati allegramente a ballare la conga, una line dance cubana, molto in voga in America tra il 1930 e il 1950.
E le feste sono proseguite il giorno dopo, con persone in tenuta estiva che si sono riversate nei parchi a fare grigliate, picnic e a prendere il sole, senza che la polizia locale potesse o volesse fare qualcosa. Senza menzionare altri, che hanno organizzato cene e feste a casa propria.
Alla fine, ci ha pensato il clima a mettere una specie di freno a questo delirio, con un abbassamento repentino di 10 gradi, nuvole e vento forte.
Poi, ieri sera, l’atteso discorso di Boris, che, francamente, mi è sembrato abbastanza azzardato e contraddittorio.
Innanzitutto il cambio di slogan, da State a Casa a State all’Erta, come se questo virus si potesse vedere, sentire, annusare, toccare.
Inoltre, varie e vaghe indicazioni: state a casa, ma anche no; uscite a lungo, uscite più volte al giorno, però per la maggior parte state a casa; incontrate gli amici, ma anche i genitori, due alla volta, uno per volta, basta che restiate a due metri di distanza; vi potete sedere al parco e sulle panchine (che nessuno disinfetta da illo tempore); potete andare al lavoro, ma se siete in grado di lavorare da casa, state a casa; però, se andate al lavoro, dovreste andare in macchina, a piedi o in bicicletta (si aspetta di sapere, a parte lavoratori edili e manifatturieri, chi altro rientri nelle categorie di quelli che possono tornare al lavoro, e, soprattutto, come farlo in modo sicuro per tutti) e così via.
Ci ha anche mostrato una formuletta e dei grafici, che sono stati subito trasformati e fatti circolare, in versione esilarante, sui social.

Covid Graph

Johnson’s Covid Graph in full © Happy Toast

La mia sciatica è in via di risoluzione, perciò da domani cercherò di riprendere le mie passeggiate mattutine e si vedrà quante persone incontrerò sulla mia strada e se le distanze di sicurezza saranno rispettate.
Seguo con affetto e apprensione i timidi tentativi dell’Italia di tornare ad una normalità, riaprendo negozi, parchi, musei, col terrore di una seconda ondata di infezioni e decessi. Qui non abbiamo nemmeno ancora assistito ad un calo significativo dei numeri di malati o dei morti, e però si parla già di fase 2.
Per quanto mi riguarda, credo che continuerò a stare a casa, salvo l’ora d’aria del mattino. Non penso di essere affetta dalla sindrome della capanna, mi è capitato un decennio fa di dover restare tappata in casa per oltre due mesi a causa di un’operazione. Psicologicamente e fisicamente, mi sentivo molto più vulnerabile allora, quando sono dovuta uscire fuori e mi è toccato lavorare in un evento affollatissimo, tenendo a bada comprensibili attacchi di panico. No, non ho paura di riprendere i ritmi di prima (che come prima, non saranno) e di girare per la città.
Solo che non è possibile farlo senza delle regole chiare, perché il virus è ancora qui, invisibile, inodore e insapore, proprio come i sintomi che lascia a quelli più fortunati, che lo superano senza andare a finire in terapia intensiva o, peggio, al cimitero.

Gessetti colorati al tempo del Coronavirus

La quarantena ci ha confinato tra le quattro mura, sebbene ci sia rimasta la valvola di sfogo dell’ora d’aria consentita per fare esercizio; proprio durante i rituali di allenamento quotidiano, ci si imbatte in soluzioni interessanti.
Approfittando del bel tempo, alcuni residenti stanno reagendo creativamente alla realtà ripetitiva del lockdown e all’ansia da pandemia, sbizzarrendosi con i gessetti colorati.
Grazie a questo materiale economico, facilmente lavabile, che non macchia e non lascia segni permanenti, sono comparsi sui marciapiedi nomi di alberi e piante, fantasiose corse ad ostacoli per stimolare l’attività fisica, ringraziamenti e positività al personale NHS ed ai lavoratori chiave, aforismi e auguri d’incoraggiamento, e, soprattutto, il gioco della campana, che credevo fosse caduto per sempre nel dimenticatoio.
Sono tanti i genitori che, in questi giorni, hanno cercato di rallegrare e distrarre i bambini trasformando per loro l’asfalto davanti casa con arcobaleni, animali e personaggi di fantasia.
Tuttavia, artisti, botanici e bene auguranti al tempo del covid-19 rischiano di dover affrontare una multa e un’azione legale, poiché, nel Regno Unito, è vietato scrivere o disegnare con il gessetto qualsiasi cosa, anche se a fini educativi o edificanti.
Ultimamente, Sarah Webb, che, nella Piazza del Mercato di Wallingford, nell’Oxfordshire, aveva disegnato un albero e aggiunto alle foglie dei messaggi di speranza, amore e ringraziamento, è stata denunciata dal consiglio comunale, in quanto si trattava di un “danno criminale”. Egualmente, Lilly Allen, una bambina di Ramsgate, in Kent, è stata redarguita dalla polizia per aver disegnato una campana sul marciapiede.
Insomma, anche se costituisce un modo semplice, economico e divertente per regalare un sorriso ai propri bimbi e alla gente del quartiere, segnare muri o marciapiedi con il gesso è illegale.
Se non si ha un permesso o una ”scusa lecita”, si può venire multati fino a 2.500 sterline.

La Cultura in Quarantena

MuseumofCroydonFin dalla chiusura forzata, a causa della pandemia di Covid-19, i musei hanno lavorato dietro le quinte per definire strategie e per coinvolgere il pubblico attraverso il digitale. In pochi giorni, è comparso un hashtag sui social: #MuseumFromHome.  Questo hashtag ha rappresentato la volontà e la necessità di continuare ad educare, stimolare ed ispirare la gente durante un periodo difficile come quello della quarantena.

Senza che questo fosse pianificato, mi sono trovata coinvolta anch’io nel progetto di fare ed offrire qualcosa di diverso in risposta ad una situazione senza precedenti.
A novembre 2019, stavo cercando un’opportunità di volontariato, possibilmente in un museo locale, sia per  rendere le collezioni più accessibili, sia per migliorare le mie capacità nell’interpretazione degli oggetti.
Quando ho visto che il Museo di Croydon stava cercando qualcuno che potesse lavorare con la loro collezione e  curare una selezione di oggetti da impiegare in esperienze sensoriali tattili, ho fatto subito domanda!
Il Museo possiede un’interessante collezione di circa 300 oggetti (dal periodo vittoriano in poi) che avevano  bisogno di essere raggruppati e organizzati in scatole a tema, per offrire sessioni in gallerie o prestiti alle scuole. Ho iniziato il mio volontariato a gennaio, ed è stata un’esperienza appagante. Ho svolto ricerche sulla collezione, e, durante lo sviluppo del database, ho collegato gli oggetti a temi specifici. Tutte le scatole a tema che ho creato (e creerò in futuro), contengono una selezione di oggetti e schede informative, con un’immagine dell’oggetto, il numero di catalogo e un breve contenuto.
Ero molto entusiasta alla prospettiva di inaugurare la mia prima valigetta a tema in un evento speciale che doveva tenersi il 27 marzo. Purtroppo, questa serata non ha potuto aver luogo, a causa dell’emergenza Covid-19. Tuttavia, mentre il Museo è chiuso al pubblico, questa selezione di oggetti è ora disponibile in forma digitale, così come la mostra a cui sono legati.
Fortunatamente, posso continuare a svolgere il mio volontariato da casa e creare altre scatole virtuali, fino a quando il Museo non riaprirà e i visitatori avranno l’opportunità di manipolare gli oggetti che ho selezionato. Questa esperienza virtuale ovviamente non può sostituire quella tattile sensoriale, ma è comunque un modo intelligente per esplorare il ricco patrimonio di Croydon, coinvolgendo il pubblico da casa, che può anche contribuire con storie e riflessioni personali.

Quarantena Londinese #3

giardini in SE4“Il giardino, con la sua immagine, è una forma di conoscenza inseguita e indagata fin dall’antichità, in un percorso metaforico, per ogni spazio e tempo fino al nostro mondo.” Massimo Venturi Ferriolo – Oltre il Giardino (Einaudi 2019)

Dopo aver sofferto di un grave caso di coronavirus, il Primo Ministro Boris Johnson è tornato al lavoro e ha detto che il lockdown proseguirà, nonostante l’impazienza e l’ansia dei cittadini (e delle imprese), semplicemente perché siamo ancora in un momento di massimo rischio e nel weekend passato si è superata la soglia di 20.000 decessi, solo negli ospedali
Restare a casa non mi pesa particolarmente, anche se mi mancano alcuni elementi della vita precedente (riabbracciare mia madre, incontrare gli amici per un caffè, esplorare Londra, visitare mostre e collezioni, viaggiare, e il mio lavoro di guida, che non riprenderà tanto presto…); penso tuttavia che, la possibilità di uscire una volta al giorno per una passeggiata regolamentata, abbia contribuito alla mia salute, anche mentale.
La ricerca in un campo scientifico in crescita, chiamato ecoterapia, ha dimostrato che il contatto con la natura non solo fa sentire meglio emotivamente, ma contribuisce al benessere fisico, riducendo la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca, la tensione muscolare e la produzione di ormoni dello stress. Non è chiaro esattamente perché le escursioni all’aperto abbiano un effetto mentale così positivo, ma io stessa ne sto sperimentando i benefici durante questa quarantena. Il mio tempo con la natura è molto semplice, ogni mattina esco molto presto (anche per garantirmi al massimo il distanziamento sociale) e faccio una passeggiata in uno degli spazi verdi dietro casa. Sono molto fortunata a vivere in questa zona. Non ho un giardino, ma nel raggio di un chilometro ho tanti parchi e anche il cimitero monumentale di Nunhead, che dal 2004 è in gran parte designato come riserva naturale. All Saints Cemetery, così si chiama, era rimasto chiuso dal 23 marzo, ma è stato riaperto al pubblico questo weekend per decisione del governo, dato che i parchi (e i cimiteri storici iscritti nel Registro dei parchi e giardini) devono essere accessibili per “la salute della nazione”.
Anche se i percorsi sono più o meno gli stessi, la natura lentamente cambia, si evolve e ci dà il senso del tempo che passa: una corolla che lascia posto ad un piccolo frutto, una gemma che si apre e rivela foglie nuove, che presto cresceranno a fare ombra, il coro di piante selvatiche che cambiano colori e strutture, l’aroma delle fioriture e le voci degli uccelli. Sto approfittando di questo periodo di pausa necessaria e imposta, per approfondire le mie conoscenze di botanica, grazie anche ad un corso online. Piano piano è più facile riconoscere una pianta, distinguerne le parti (sperimentando con semi vari e germinazioni), identificare le varie specie, sapere che di denti di leone ce ne sono tantissimi e che non si chiamano tutti, indistintamente, tarassaco officinale. E poi, riuscire anche a dare un nome agli alberi.
Qualche appassionato nel quartiere si è spinto oltre, e, sull’esempio di Rachel Summers, una maestra di Walthamstow, che aveva cominciato a tracciare sul marciapiede, con il gessetto, i nomi degli alberi che incontrava durante la sua passeggiata quotidiana, ha deciso di scrivere le specie di alcune piante di SE4, per aiutare i meno esperti a guardare più attentamente, a riconoscere un noce da un ippocastano, e diventare più consapevoli della natura che si annida nelle strade londinesi.

Quarantena Londinese #2

Sono in quarantena da quasi un mese.

Il tempo vola, anche quando si resta a casa.
E’ vero che siamo tutti un po’ intrappolati in una specie di eterna domenica o, comunque, di ripetitivo ciclo temporale, alla Groundhog Day.
Se non avete visto questo film, uscito in Italia con il titolo Ricomincio da capo, beh, è il momento di farlo, se non altro per come va a finire la storia (e non vi rovino la sorpresa).

Suddividendo il mese in quattro settimane, posso individuare per ciascuna delle fasi distinte:

  1. la fase dell’emergenza, in cui si cerca di organizzare la vita da isolati, cercando di calmare il tumulto interiore, tra pulizie, eliminazione di scartoffie, rinvaso piante, ordini online e brevi escursioni nel quartiere, cercando qua e là di sentire gli amici per sapere come va, e dormendo malissimo la notte;
  1. la fase sperimentale, in cui si provano nuovi percorsi, spesso con l’aiuto del digitale: le lezioni di yoga su laptop, la visita virtuale ad una mostra che avrei dovuto visitare dal vivo, i webinar per reinventarsi il proprio lavoro, che, nella versione reale,non può più sussistere, e le video-conferenze a tre o a cinque, che, per un’introversa (espressiva, come dice Fabio) sono sempre una sfida; e poi eliminare il caffè, così la notte si dorme, magari continuando a fare dei sogni assurdi. Ci si sveglia presto, ma forse, più che l’ansia, adesso sono i ritmi circadiani a farci aprire gli occhi;
  1. quella della routine, perché, per stare meglio, bisogna crearsi delle mini certezze e dei rituali: ecco allora la benefica passeggiata la mattina presto, che mi impone di fare colazione, lavarmi e vestirmi, le ricette dai libri vintage, che ho collezionato nel tempo, per mettersi ai fornelli in maniera rispettosa e creativa, perché mangiare bene, in questo momento, è importante. E poi le piante da annaffiare, quel poco lavoro rimasto da fare in modalità remota, gli appuntamenti fissi qua e là per fare due chiacchiere e, magari, vedersi, tutti un po’ stanchi, spettinati, con la tazza di tè in mano. E l’applauso a dottori e infermieri il giovedì sera alle 8. Perché la gente continua ad ammalarsi, e, purtroppo, a morire. Il silenzio è squarciato dalle sirene delle ambulanze, e il personale sanitario, in questo Paese, combatte con protezioni davvero inadeguate e risorse ridotte al lumicino. Sui vetri delle finestre appaiono qua e là gli arcobaleni disegnati dai bambini inglesi, perché, come quelli italiani, anche loro hanno bisogno di sicurezza, e la promessa dei grandi, che andrà tutto bene;
  1. infine, la fase costruttiva. Perché un giorno questa quarantena finirà, e, timidamente, torneremo a salire su un treno, andremo al lavoro, incontreremo gli amici, e prenderemo un aereo, più costoso del solito, per riabbracciare i genitori, anche a costo di isolarci per altre due settimane (o più). Saremo ancora distanti, forse indosseremo delle mascherine, continueremo a lavarci le mani e ad usare il disinfettante sulle nostre scrivanie. Speriamo che un vaccino arrivi presto. Chi dice che si tornerà alla vita di prima, sbaglia. Io, personalmente, non penso che il prima fosse totalmente giusto. La frenesia, la fretta, le cose fatte, vissute e ingurgitate senza veramente assaporarle, apprezzarle, sentirle. Il tempo libero consumato compulsivamente, mai paghi. Folle di turisti che rubavano un selfie, senza davvero vedere o capire cosa avevano davanti, gente che si lamentava per cose futili, come un evento cancellato, un ritardo del treno, il prezzo di un biglietto. Persone ridotte a vivere per strada, ignorate, così come si trascura una cartaccia o una cicca sui marciapiedi (che ora sono pulitissimi). Ineguaglianze, che restano tali in quarantena. Perché chi è privilegiato e non ha perso il lavoro, può stare a casa, al sicuro, col frigo pieno. Altri, invece, rischiano di non avere più un tetto sulla testa oppure devono continuare ad andare al lavoro, per pulire, guidare mezzi, riempire scaffali, servire alle casse, portare via la spazzatura. Allora sì, bisogna essere grati per quello che abbiamo ogni giorno e cercare di costruire il nostro domani. Reinventarsi il lavoro, portarsi dietro gli insegnamenti di cui abbiamo fatto tesoro, scoprire i nostri talenti, seguire dei corsi online, sistemare la casa, per troppo tempo trascurata, eliminando quello che crea solo confusione e ingombro, essere ancora più attenti a noi stessi e agli altri. 

Consegne di Pasqua

Sabato, il contadino del Kent mi ha portato la selezione di frutta e verdura dei suoi campi.
Oltre ai prodotti di stagione, biologici e biodinamici, c’è sempre una piccola aggiunta esotica, ad esempio qualche banana. Stavolta, oltre alle barbabietole, agli spinaci, alle carote e alle mele, c’erano sei kiwi, fantastici frutti, con alti contenuti di vitamina C, minerali e folati. Peccato che io sono intollerante, e non li posso proprio mangiare.
Questa quarantena mi ha dato il tempo per rispolverare i libri di cucina, riciclare creativamente gli avanzi, inventare ricette con quello che c’è in frigo o nella dispensa.
Ha anche rinforzato il principio, che è in me, di non sprecare il cibo.
Ho fatto una foto ai kiwi e l’ho postata sulla pagina Facebook di quartiere. Li avrei recapitati durante la mia passeggiata mattutina a coloro che fossero stati interessati, secondo il criterio di precedenza “first come first served”. Se li sono aggiudicati una gentile signora, in una casa vittoriana con la porta grigia, che me ne ha timidamente chiesti solo due, e una reduce del punk anni settanta, dal front garden rivoluzionario.
La mattina presto della domenica di Pasqua ho fatto il mio giro nel silenzio costellato di canti di uccelli, ronzii di insetti e raggi di sole, per recapitare i kiwi. Li ho lasciati sulle rispettive soglie di casa, e, alla fine, sembravano delle uova un po’ insolite. Mi ha fatto piacere regalarli, sapendo che qualcuno li apprezzerà in queste giornate di festa non proprio allegre…

Quarantena Londinese #1

telegraph hill parkE’ passato più di un mese dal mio ultimo post e le cose sono decisamente andate peggiorando.
L’epidemia si è trasformata in pandemia e Samuel Pepys è diventato virale sui social media, anche con aforismi falsi coniati ad hoc.
In Italia, la popolazione è in quarantena da molto più tempo di noi, che, in terra angla, siamo ad appena 16 giorni di confinamento.
Il Governo avrebbe potuto prendere esempio da quei paesi, che già fronteggiavano l’emergenza con misure restrittive e di prevenzione, ed attuare una strategia efficace, o, almeno, una strategia; invece, si è tergiversato, per almeno due settimane.
Boris Johnson, che, inizialmente, paventava un’immunità di gregge, avvisando che bisognava abituarsi a perdere molte persone care, ha poi deciso di seguire il trend dell’auto-isolamento obbligatorio, specialmente dopo che un weekend di sole e tepore primaverile, aveva fatto assembrare miriadi di incoscienti al mare, nei parchi e nelle riserve naturali fuori città. Suddetto premier pro-Brexit, che era andato in giro spavaldo, anche per ospedali, a stringere mani infette, pensando di lasciare tutto com’era e far girare l’economia, ha finito per contrarre lui stesso il virus, ed ora è ricoverato in terapia intensiva, probabilmente curato da medici, infermieri e personale con passaporto europeo, in gran parte lavoratori che il suo governo ha indicato come poco qualificati, in base al nuovo permesso di soggiorno a punti.
Peccato che proprio questi lavoratori low skilled siano quelli che stanno mandano avanti il Regno Unito, tra ospedali, trasporti, uffici postali, supermercati, pulizie, eccetera…
Mentre il premier si trova al St Thomas Hospital, seduto sul letto e “impegnato positivamente” con il team dell’ospedale, a me oggi è arrivata la sua lettera, dove, tra le altre cose, afferma (profetico): “sappiamo che le cose peggioreranno prima di migliorare…”
Prima che le cose peggiorassero, avevo cominciato a praticare distanziamento sociale e cancellare impegni, anche lavorativi, già da quando l’Italia era stata dichiarata zona rossa.
Nel frattempo, nei supermercati cominciavano a sparire la carta igienica, la pasta, i disinfettanti, il paracetamolo, le uova, la farina… Le aziende private avevano già lasciato a casa la maggior parte degli impiegati a fare telelavoro, mentre le persone sopra i 70 anni si erano chiuse in casa. Dato che non potevo fare smart working, avevo optato per viaggiare solo 10 minuti in treno, per fortuna abbastanza vuoto, e proseguire a piedi, attraversando una città deserta e surreale. Finalmente, il 23 marzo, è stato dichiarato il lockdown e alla popolazione è stato ordinato di restare a casa.
E’ permesso andare una volta a settimana a fare la spesa, in zona, ma si consiglia soprattutto di fare acquisti online. Impossibile ordinare la spesa ai supermercati, ma praticabile rivolgersi ai negozianti locali, che, essendo indipendenti, hanno bisogno di supporto in questo momento così particolare.
Una mano lava l’altra, il servizio è cordiale e la spesa mi arriva a casa in meno di 24 ore, oppure, ogni sabato mattina, dal contadino del Kent, che non posso più incontrare di persona al mercatino di zona.
A differenza di altri paesi, qui si può anche uscire una volta al giorno, per massimo un’ora, per fare esercizio fisico, cioè camminare, correre o andare in bicicletta. Fortunatamente, queste attività sono ancora consentite nel raggio di uno o due chilometri, una salvezza per chi ha un appartamento piccolo e non ha un giardino.
La mia passeggiata ha luogo ogni giorno, la mattina presto, verso le 7:30. E’ un’ottima routine.
Riesco a dormire abbastanza bene, ma alle 6 mi sveglio, di solito alla fine di un sogno complicato e assurdo, con un po’ di ansia. Invece di restare stesa a guardare il soffitto, mi alzo, mi vesto, faccio colazione ed esco. Non devo preoccuparmi troppo delle distanze sociali di sicurezza, perché non c’è quasi nessuno.
I corridori e i padroni dei cani arrivano verso le 8, ed io, a quell’ora, finisco il giro e torno indietro.
Ho un parco vicino casa, che mi permette di vedere un po’ di natura e di primavera, e anche i grattacieli della City all’orizzonte. Ogni tanto incontro qualcuno che, come me, fa la sua passeggiata solitaria. Ci si saluta, a oltre due metri di distanza, anche se non ci si conosce. Ci si sorride quando le strade divergono e ci si evita cordialmente.
Prima non capitava, ma adesso ci (ri)conosciamo tutti: isolati/insonni/mattinieri, in cerca di normalità.
Il parco è pieno di uccelli e scoiattoli, e, talvolta, nello stagno, si possono vedere le anatre e persino un airone!
Il verde ed il silenzio fanno da sfondo a questa specie di meditazione camminata, inframezzata dal canto dei merli o dal ronzio degli insetti.
A differenza dell’Italia, non è ancora vietato sedere sulle panchine, ma si consiglia di disinfettarle con delle salviette. Però non vedo nessuno farlo. Io evito accuratamente di sedermi e toccare superfici varie.
Giochi per bambini, campetti da basket o tennis e skateparks sono stati chiusi, anche se poi c’è chi scavalca, sconfina, divelle barriere.
Prima della quarantena obbligata, abbiamo avuto settimane di pioggia, tempeste, vento.
Da quando dobbiamo stare a casa, sole fisso, cielo blu, temperature sui venti gradi.
Perciò, questo weekend passato, parecchi hanno infranto le regole, e, invece di camminare, si sono stesi sui prati a prendere la tintarella, portando il pallone, le racchette o le vivande per un picnic.
Così, il comune di Southwark, uno dei più colpiti dal coronavirus, ha deciso di chiudere Brockwell Park, un polmone verde di quasi 51 ettari, perché era stato invaso da 3000 persone, che, invece di sparpagliarsi a distanza di sicurezza, bivaccavano tutti assieme, senza rispettare le norme.
Anche in SE4 non mancano gli indisciplinati.
Ogni mattina, quando arrivo al parco dietro casa, spero ancora di trovare il cancello aperto…