Quota 100

Una settimana fa, il Regno Unito ha raggiunto un triste record: primo Paese europeo, e quinto nel mondo, per numero di decessi a causa del coronavirus.
100.000 morti è una cifra che fa impressione. E’ come cancellare in un attimo tutto il pubblico dell’arena di Campovolo, a Reggio Emilia, oppure tutti gli spettatori del Wembley Stadium di Londra, e ne avanzano 10.000.
Siamo pure al terzo lockdown, tier 5, praticamente un equivalente surreale di zona rossissima, che però non prevede gente tappata in casa, parchi giochi transennati, mascherine anche in strada, coprifuoco.
Non sto qui a polemizzare sulle colpe e le ragioni, sarebbe noioso…
Mi è dispiaciuto leggere sul giornale di oggi che Captain Sir Tom Moore è morto di coronavirus. Sembra una beffa crudele, proprio ora che stavano facendo i vaccini agli ultra-ottuagenari.
Questo anziano veterano di guerra, era diventato famoso nel primo lockdown, dopo essere riuscito a raccogliere oltre 30 milioni di sterline per aiutare l’NHS, il servizio sanitario nazionale britannico. Per fare ciò, l’8 aprile aveva lanciato una sfida: avrebbe fatto 100 giri a piedi, aiutandosi con il deambulatore, nel suo giardino, sperando di riuscire a raggiungere la cifra di 1000 sterline prima del suo centesimo compleanno, il 30 aprile.
I soldi si erano moltiplicati, e per gli ultimi venti passi, la TV aveva organizzato per lui un picchetto d’onore, con i soldati del suo ex reggimento.
Ormai era divenuto una celebrità, tutta la nazione gli aveva mandato biglietti di auguri per i suoi 100 anni, e la Regina lo aveva fatto Baronetto.
Sir Moore si era ritrovato anche ad essere l’artista più anziano con un disco primo in classifica, dopo aver inciso, assieme a Michael Ball, una cover di You’ll Never Walk Alone, i cui proventi erano andati anch’essi in beneficenza.
Insomma, Tom Moore è stato un gentiluomo di altri tempi, vero rappresentante del Blitz spirit, che , con il suo stoicismo e determinazione, e il suo sorriso garbato, aveva mostrato come reagire di fronte ad un nemico invisibile, in un momento tanto critico e spaventoso per tutti.
Che se lo sia portato via proprio il virus, lascia tanta tristezza.

 

Sanità Angla – 2

walk_in_centre©LondonSE4In questi grigi giorni di gennaio, Londra sembra un lazzaretto. Ovunque, nei negozi, negli uffici, nei vagoni della metro, per strada, è tutto un risuonare di starnuti, colpi di tosse di varie tonalità e grassezze, tirar su di nasi colanti, conversazioni in semi-apnea. Impossibile sfuggire all’invasione degli ultracorpi, per quanto uno faccia l’impossibile. E così, anch’io sono stata falciata, inizialmente da un subdolo mal di gola, tramutatotosi ben presto in raffreddore ed odiosa laringite acuta. Dopo due giorni di totale e frustrante afonia, non avendo tempo e modo di prenotare un appuntamento con il GP (equivalente del nostro medico di famiglia), mi sono, per la prima volta, affidata al famoso walk in centre dell’NHS. Trattasi di ambulatorio con personale medico e infermieristico, dove non serve appuntamento, registrazione e indirizzo fisso. Per la maggior parte, i centri sono aperti tutto l’anno, anche fuori orario o prestissimo di mattina.  Mi sono dunque recata al walk in centre di zona, comodamente locato davanti al capolinea della Overground. Arrivata alla reception, ho sibilato: “I need to see someone.” Haha! Forse la richiesta sarebbe stata meglio formulata al passivo, dato che ero io la casualità (afona). Comunque, l’infermiera non si è minimamente scomposta, e m’ha piazzato davanti il solito form da compilare. Che io ho diligentemente riempito, con tanto di motivazione scientifica: “laryngitis”. “Please, take a sit”, ha suggerito la nurse, per niente impressionata dalle mie conoscenze ippocratiche. E io, ubbidiente, mi sono seduta, in posizione strategica. Sono scorsi solamente venti minuti (una buonissima media), prima che sullo schermino delle visite comparisse il mio nome. Nel frattempo, mi sono guardata intorno. Le utenze variavano dalla vecchietta con problemi oculistici, alle mamme coi bambini malaticci, appena prelevati da scuola, passando per i tipi sospetti, quelli da stazione, probabilmente con postumi da sbronza o allucinogeni, e lo studente povero, coi capelli impastati, e i sandali, con i talloni dei calzini bucati. Ma ci sono  state anche la bionda ossigenata e la donna in carriera con il tacco a spillo, proprio come in certi vecchi noir di Hollywood. A tutti è stato consegnato il famigerato modulo da compilare e una sedia su cui aspettare. La bionda ossigenata, quella no, non si è seduta. L’infermiera le ha dato un gettone da inserire in una macchina avveniristica parlante, dove bisognava salire, senza sciarpa, borsa e cappotto. L’aggeggio, molto simile ad un ibrido tra la bilancia della farmacia e il distributore dei caffè, in un nano secondo l’ha misurata e pesata, le ha monitorato i battiti cardiaci e, una volta infilato il braccio nell’apposito foro, le ha pure misurato la pressione. Mentre ero ancora stupefatta dalla tecnologia salva-tempo/denaro del servizio sanitario inglese, ecco che compare il mio nome lampeggiante. Sala 4.

Busso e trovo un medico ermetico. Saluto mimando e gli propino un’anamnesi di sintomi e rimedi, che avevo vergato su un foglietto, mentre aspettavo di là. Lui nemmeno ci butta l’occhio, mi infila al volo il termometro nell’orecchio, due secondi di luce in gola, poi mi ausculta i polmoni. Alla fine, non mi prescrive niente di nuovo, a parte stare zitta per altri cinque giorni, continuando a bere gli intrugli che già provvedo a scolarmi (primo in classifica: infuso di miele, limone e zenzero), conditi da  paracetamolo, suffumigi e riposo. “L’antibiotico non serve, è una faringite virale, che deve fare il suo corso…”.  Mi piace l’approccio naturale della sanità angla, così in contrasto con la nostra medicina rimediale del tutto e subito, (“signora,  vuole la voce indietro per domani? Allora, si prenda pure ‘sto cortisone in compressine, a scalare, o, meglio, in comoda fiala da aerosol”). Il dottore mi congeda stanco, lavandosi le mani alla Ponzio Pilato, e in meno di cinque minuti sono già fuori dal centro. La supremazia del “virale” sul “batterico” mi ha riassicurato, vado subito dal turco a comprare le cipolle, le mele, il limone e lo zenzero. Tutti emollienti, espettoranti e antisettici naturali. Per meno di due sterline.

E’ un peccato che i tagli del presente governo al servizio sanitario nazionale stiano facendo sparire molti walk in centres. In poco tempo sono stata visitata, e non ho fatto perdere tempo né al personale del pronto soccorso né al mio medico, che probabilmente ha l’agenda appuntamenti piena fino alla prossima settimana, tra pazienti vittime di tosse canina e norovirus. Secondo il sito NHS, i walk in centres sono stati utilizzati da più di tre milioni di persone l’anno scorso e “hanno dimostrato di essere un servizio di successo complementare al tradizionale GP e al pronto soccorso ospedaliero”. Eliminare del tutto questi centri, sarebbe una mossa sbagliata, tanto che, a quest’ora, potrei essere ancora a ciondolare nei corridoi di un A&E, con un codice bianco, afona…

Sanità Angla

Le mie recenti vicissitudini mi hanno portato lontano da questo blog, ma ora mi forniscono utili spunti per dei post di servizio.

Poniamo il caso che il vostro soggiorno londinese (o britannico) si estenda per più di qualche mese e la vostra situazione si evolva da semplice visitatore/turista a quello di immigrato/residente. Auguriamoci che la salute vi assista e che non vi capiti nulla di rilevante che non sia un mal di testa o un raffreddore dovuto al clima infausto. Ma la fortuna, si sa, è cieca e volubile. La cosa piu logica da fare è quella di iscriversi alla surgery (cioè all’ambulatorio) del vostro quartiere. Potete trovare gli indirizzi sul sito dell’NHS (il Servizio Sanitario Nazionale inglese). Una volta compilato il solito form e consegnata magari una provetta con le vostre preziose urine, sarete assegnati ad un GP (general practitioner – un equivalente del medico di famiglia) e vi sarà data una card col vostro numero NHS.
Il GP è colui (o colei) al quale vi rivolgerete in caso di bisogno. E’ il GP che vi prescrive farmaci o vi scrive la richiesta per una visita specialistica.
Se avete bisogno di vedere un medico as soon as possible, potete andare all’ambulatorio senza appuntamento, ma potreste essere visitati da un altro GP.
I GP hanno a disposizione 10 minuti a paziente e, per evitare sprechi, non sono cosi solleciti ad elargire medicinali o visite specialistiche se non in caso di vero bisogno (la visita con un consultant, cioè con lo specialista, puo’ richiedere fino a 13 settimane di attesa, a meno che il vostro caso non sia davvero urgente).
I GP potrebbero sorvolare su una congiuntivite, sorridere ad una banale richiesta di esami del sangue giusto a titolo preventivo, essere reticenti a prescrivervi dei medicinali se non siete proprio malatissimi.
Insomma, la mentalità qui è un po’ diversa dal continente.
Se non siete soddisfatti o volete vedere uno specialista a tutti i costi, vi conviene andare nel privato, che è generalmente accogliente ed efficiente. Ma, a quel punto, dovete avere una certa disponibilità economica o essere coperti da un’assicurazione.
Insomma, leggendo sui giornali qua e là, tra ritardi, infezioni da clostridium difficilis e varie eventuali, la sanità pubblica angla, a parte alcune aree felici, non sembrerebbe godere di una buona reputazione, ma i contributi per le spese sanitarie sono piu’ bassi nel Regno Unito che in Italia e poi ci sono polizze salute che richiedono una infima spesa mensile.

Per quanto concerne la scelta del GP, vi consiglio di dare un’occhiata ai siti web delle surgeries di zona (le trovate sul sito NHS). La visita virtuale vi offre la possibilità di conoscere il personale e i servizi a disposizione. Alcuni ambulatori vi permettono anche di prenotare la visita medica su internet, risparmiandovi tempo e attese telefoniche.
Il bello di una citta cosmopolita come Londra è che ci sono GP di tutte le nazionalità e culture, e questo rende il servizio all’utente in un certo senso agevolato. Fa piacere per chi magari viene da un continente lontano, poter parlare con un medico che parla la nostra lingua o condivide uno stesso orientamento religioso.
Per concludere questo primo excursus in materia medica, citerò una cosa che non manca mai in nessuna casa italica e che, pur vivendo altrove, non manca nella mia: il famigerato armadietto dei medicinali (nel mio caso, cassetto). Una simpatica collezione di cerotti, pomate varie, antidolorifici, antipiretici, gocce, sciroppi e compresse per raffreddori, garze e termometro, di cui i miei amici angli spesso ridacchiano divertiti (magari scambiando la ipeprevidenza italiota per eccentrica ipocondria), finendo poi per apprezzare il ritrovato last minute per quel doloretto muscolare o la puntura d’insetto…