Cucina Regency

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Ieri pomeriggio, mi sono recata nuovamente alla Guildhall Library per il primo Open Day, che, speriamo, non resti un felice, isolato esperimento. Durante la giornata, era possibile partecipare a visite guidate, conferenze, dimostrazioni di restauro del libro e proiezioni di documentari storici sulla City, in collaborazione con i London Metropolitan Archives. Era stata inoltre allestita una piccola mostra con i tesori della biblioteca e alcune selezioni di libri e microfilm a tema.

La Guidhall Library, di antica fondazione, è una biblioteca specializzata nella storia della City of London ed ospita la più grande collezione al mondo dedicata alla storia di una singola città. Le raccolte spaziano dai manoscritti, mappe, stampe e disegni, alle cronache cittadine, dai libri mastri di vascelli mercantili, ai resoconti di viaggio del Sette e Ottocento, fino ai manuali di giardinaggio e a quelli di cucina. La biblioteca possiede la più vasta collezione pubblica di libri di culinaria ed enogastronomia, oltre 10.000, con titoli originali a partire dal 1531. A catturare la mia attenzione, però, sono stati i libri di cucina dell’epoca Regency. E’ infatti tra il 1811 e il 1820 che l’influenza della cuisine italiana e, soprattutto, francese si fa largo nei piatti dell’aristocrazia inglese. Molti chef francesi, fuggiti o rimasti disoccupati in seguito alla Rivoluzione, si erano trasferiti a Londra in cerca di impiego.
caremeLa personalità più in vista all’epoca fu Antonin Carême, cuoco e pasticcere, famoso per gli elaborati e stupefacenti pièces montées: costruzioni di zucchero e marzapane che riproducevano templi, archi di trionfo ed architetture varie in grande scala. Carême lavorò per Talleyrand e Napoleone, anche se Bonaparte, a dir la verità, non era un buon intenditore in fatto di cucina (notoriamente i suoi pranzi e cene ufficiali duravano non più di venti minuti, seguiti da una tazza di caffè freddo e senza zucchero). Fu però al servizio dell’imperatore che Carême allargò le sue competenze dalla pasticceria alle portate principali, creando menù per banchetti diplomatici, tutti diversi tra loro e tutti basati su prodotti di stagione. Caduto Napoleone, Carême, come molti altri prima di lui, si trasferì a Londra, e divenne chef de cuisine per il principe reggente, il futuro re Giorgio IV. Il cuoco francese fu impiegato nelle magnifiche cucine del Padiglione Reale a Brighton e le sue torte glassate divennero il dessert più popolare dell’Inghilterra del primo Ottocento. La Guildhall library conserva quello che si può considerare capolavoro e testamento del grande chef, L’Art de la Cuisine Français au Dix-Neuvième Siècle, in tre tomi, con belle tavole illustrate. Accanto a questa elaboratissima raccolta di ricette, si trovano altri libri interessanti.

nuttLa cucina Regency era molto ricca e impiegava notevoli quantità di burro, uova e zucchero, che, grazie alla manodopera schiavile nelle piantagioni, era divenuto un prodotto a buon mercato. La presentazione del cibo era molto importante e i piatti dovevano sembrare un’opera d’arte, come si evince dal libro di Frederic Nutt, The Complete Confectioner (1789). Il manuale spiega non solo come preparare magnifici dolci, ma anche come decorare la tavola con stile ed eleganza. All’epoca, si utilizzavano stampi complessi per realizzare dolci e budini decorativi, come gelatine e blancmanges, che erano assai popolari. Forme e colori dovevano completarsi l’un l’altro sulla tavola e i piatti venivano disposti simmetricamente per ottenere il massimo effetto (ovviamente, sulle tavole dei ricchi si utilizzavano piatti d’argento e porcellane raffinate) Poiché, nelle classi agiate, si usava svegliarsi e fare colazione parecchio tardi, il Luncheon era un momento della giornata snobbato dai gentiluomini inglesi, che spesso si trovavano fuori casa per molte ore. Per chi avesse comunque dovuto soddisfare un momentaneo languore o un più sostenuto appetito, si potevano consultare esaurienti guide ai ristoranti e caffè londinesi.roylance
Nel 1815, Ralph Roylance pubblicò The Epicure’s Almanack o Guida al Buon Vivere, un elenco di oltre 600 stabilimenti alimentari, trattorie, alberghi, locande ecc, a Londra e dintorni.La guida rimase ineguagliata fino al 1968, quando Good Food Guide to London venne dato alle stampe. Per chi mangiava fuori (ma anche a casa propria), era sempre in agguato l’intossicazione alimentare, se non l’avvelenamento, a causa di adulterazioni o metodi errati di conservazione dei cibi. Ecco allora entrare in scena, nel 1820, il manuale del chimico tedesco Fredrick Accum: Treatise on Adulteration of Food.

accum2 Questo lavoro pionieristico, in cui l’autore denunciava l’uso di additivi chimici per alimenti, segnò l’inizio della consapevolezza in materia di sicurezza alimentare. L’anno successivo, Accum diede alle stampe anche un manuale di principi scientifici di culinaria ed economia domestica, con istruzioni accurate per la preparazione di marmellate, sottaceti e conserve. Per quanto riguarda le bevande alcoliche, invece, rum e vini fortificati con il brandy, come Porto e Madeira, erano bevuti in larga quantità dai ricchi, mentre i poveri si rivolgevano a birra e gin. I rinomati vini francesi, a causa della Rivoluzione, e poi delle guerre Napoleoniche, erano divenuti difficili da reperire e, quindi, molto cari. Tuttavia, dopo il 1815, le tasse su vino, brandy e rum rimasero sostanzialmente invariate, continuando ad impedire l’importazione di qualità più economiche di vini francesi per almeno un cinquantennio.

Gli ugonotti di Spitalfields

silk weaverOggi, mi sono recata a Spitalfields, per approfittare della speciale atmosfera dell’Huguenot in Spitalfields Festival. Quest’anno, infatti, segna il 250° anniversario della morte di Anna Maria Garthwaite (1763), celebre designer di tessuti, che visse in Princelet Street, collaborando con i tessitori di seta ugonotti. Gli ugonotti, protestanti francesi di confessione calvinista, si erano rifugiati a Spitalfields, a causa delle persecuzioni religiose attuate nel loro paese, e avevano da subito stabilito importanti filande, modificando, con grandi lucernai, gli ultimi piani delle abitazioni, così da adibirle a laboratori tessili. Anna Maria Garthwaite si distinse proprio nel settore della seta inglese, grazie ai suoi bellissimi motivi floreali, e visse e lavorò a Spitalfields, dal 1730 fino alla sua morte. Christ Church Spitalfields, aperta al pubblico in occasione del festival, fu costruita tra il 1714 e il 1729, ed è una delle chiese più belle progettate da Nicholas Hawksmoor. Una legge del Parlamento nel 1711 aveva costituito una Commissione speciale, per la costruzione di cinquanta chiese che servissero i nuovi insediamenti di Londra. La parrocchia di Christ Church si installò su quella medievale di Stepney, in un territorio dominato dagli ugonotti, come dimostrazione dell’autorità anglicana. Sebbene alcuni ugonotti utilizzassero la chiesa per battesimi, matrimoni e funerali, per il culto di tutti i giorni, essi preferivano affidare le proprie anime a delle cappelle dallo stile piano e semplice, molto lontano dall’elaborato barocco inglese di Hawksmoor.christ church ceiling L’intonaco del soffitto della Christ Church è un tripudio di fiori e merlature. I fiori sono tutti diversi, e simboleggiano l’unicità delle anime che circolano sotto le volte. Proprio accanto alla chiesa, al numero 5 di Fournier Street, si trova Town House, un edificio dei primi anni del XVIII secolo. Tessitori di seta vissero qui fino al 1820 circa. Si possono visitare tre aree distinte della casa: la sala principale è un negozio di antiquario, arredato con mobili, tappezzerie e oggetti curiosi; sul retro del giardino, vi è uno spazio adibito a mostre temporanee e laboratorio di artisti contemporanei di passaggio; infine, al piano inferiore, c’è una cucina, dove non solo si vendono vecchie porcellane, bicchieri e piatti da portata, ma si possono gustare buonissime torte, alcune realizzate secondo antiche ricette, sorseggiando una tazza di tè o caffè, circondati da un’atmosfera di altri tempi.
IMG_1453Poco più in là, superata l’area del mercato, al numero 18 di Folgate Street, ci si trova davanti ad una casa in mattoni rossi, su quattro piani e con un seminterrato. Davanti all’uscio si nota, ancora danzante, la fiammella di un lampione a gas. Stiamo per entrare a Dennis Severs’ House, un edificio del 1724, che era del tutto fatiscente, quando fu acquistato da Dennis Severs, nel 1979. Sedotto dalla fredda luce inglese, l’eccentrico artista americano visse in questa casa georgiana fino al 1999, anno della sua morte, e a poco a poco, collezionando antichità e oggetti curiosi, ne ridecorò le stanze, ognuna in un diverso stile storico. Gli ambienti della casa, ora aperti al pubblico, costituiscono una speciale macchina del tempo, in cui si è voluta immaginare la vita in una  famiglia di tessitori di seta ugonotti, tra il 1725 e il 1919. Le diverse camere appaiono disposte come se fossero ancora in uso, e gli occupanti della casa le avessero appena lasciate, per far spazio alla curiosità dei visitatori. Si circola in silenzio, ben attenti a non inciampare o danneggiare qualcosa, in una concentrazione che è attesa, gioco, meditazione, scoperta, penetrando in ambienti caldi e soffusi di aromi dolci e speziati, dove il tè è il caffè riempiono per metà delle tazze di porcellana, il cordiale rosseggia nei bicchierini di vetro, il fuoco scoppietta nei vecchi caminetti, animando i disegni di piastrelle bianche e blu. Giù in cucina, i dolci sono appena addentati nei piattini, mentre, in tutta la casa, candele e lampade a gas restano accese a rischiarare penombre fatte di pannelli di legno scuro, stucchi, stampe, cineserie, ritratti, vestiti abbandonati sulle sedie, gioielli riposti sulla toilette, e letti a baldacchino, appena disfatti… Più su, l’ultimo piano si fa povero e desolato, e l’aria fredda, che penetra dai vetri rotti della soffitta, è pervasa di odori rancidi di stracci, telai, polvere, scartoffie, pitali e panni appesi ad asciugare. Dennis Severs’ House è un’esperienza unica, immersiva, un viaggio immaginario in cui gli oggetti, i suoni, gli odori, sono frammenti di memoria struggente, che raccontano storie, trasportando il visitatore in un sogno ad occhi aperti.

Album

Gabinetti Vittoriani

se4_toiletsFu solo in epoca vittoriana che i bagni pubblici apparvero in gran numero per le strade di Londra, grazie ad una legge di sanità pubblica emanata nel 1848.

Alla Great Exhibition (Grande Esposizione Universale), tenutasi a Hyde Park, nel 1851, i visitatori poterono usufruire dei servizi igienici  installati da George Jennings, un idraulico di Brighton. Il primo gabinetto pubblico, inaugurato in città, il 2 febbraio 1852, era per soli uomini, e si trovava al 95 di Fleet Street. Un altro, per “signore”, venne aperto l’11 febbraio dello stesso anno, al 51 di Bedford Street, a Strand. Quasi tutti i bagni pubblici vittoriani erano per gli uomini, pochissimi per le donne. La logica era che gli uomini si intrattenevano più delle donne  lontano da casa, sia per lavoro che per piacere. Gli orinatoi erano anche più economici da costruire e installare. Lo scrittore socialista George Bernard Shaw avviò una campagna per aumentare il numero di strutture destinate alle donne. Queste, in realtà, si moltiplicarono solo con i cambiamenti sociali del secolo successivo. Geoffrey Fletcher, rinomato artista, autore e conoscitore di una Londra non convenzionale, dedicò un capitolo del suo libro,  The London Nobody Knows (1962), ai bagni pubblici londinesi, in particolare quello per “signori” di High Holborn, tutto in marmi e ferro battuto, le cui cisterne in vetro trasparente, erano abitate da pesci rossi. Questi bagni furono immortalati nel documentario che porta lo stesso titolo, presentato da James Mason, e realizzato nel 1967.

Non sono molti i gabinetti vittoriani  che sopravvivono oggi a Londra. Veri gioielli di architettura urbana, si segnalano per le fantasiose ringhiere in ferro battuto, con i gradini che conducono sotto il livello stradale. In SE4 e dintorni, resta poco o niente:  in tempi recenti, sono stati incredibilmente rasi al suolo i bagni pubblici di New Cross, un progetto originale dell’architetto scozzese Alexander Greek Thomson (1897), con bella colonnina di aerazione, a motivi egizi. Tuttavia, di quelle toilets che ancora sopravvivono in città, alcune stanno rinascendo a nuova vita.
A Kennington, un comitato di cittadini si è riunito per salvare le “gentlemen toilets” vittoriane, costruite nel 1898, e farne  “ArtsLav“, circolo culturale, con spazi per eventi, mostre e incontro di tipi creativi.
Invece, due giorni fa, a Fitzrovia, al 27a di Foley Street, un altro gabinetto per gentiluomini vittoriani è stato riaperto, in una nuovissima veste. In “The Attendant“, questo il nome del locale, le ceramiche vittoriane e gli accessori originali costituiscono l’ambientazione eccentrica per un bar espresso e tavola calda indipendente.

I Buongustai dell’Arte: cibo e cultura, in giro per l’Italia

italyunpacked-1Andrew Graham-Dixon è uno dei critici d’arte più importanti della scena anglosassone. Ha presentato per la BBC svariate serie televisive sull’arte, ha scritto recensioni per giornali come The Independent e The Sunday Telegraph, e ha all’attivo numerosi libri di successo. Giorgio Locatelli è considerato uno dei migliori chef italiani nel Regno Unito. Anche lui ha collaborato con la tv,  in programmi e rubriche di cucina, e il suo ristorante londinese, la rinomata Locanda Locatelli, premiata con una stella Michelin nel 2003, serve piatti della tradizione italiana, specialmente regionale, con ricette tipiche del Nord e del Sud. Italy Unpacked è un programma della BBC in tre puntate, basate tutte su regioni del nord Italia: L’Emilia Romagna, la Lombardia ed il Piemonte. In questa guida artistico-gastronomica, condotta in zone spesso snobbate dal turismo di massa, lo spettatore può seguire i due insoliti compagni di viaggio, Andrew & Giorgio, mentre visitano luoghi più o meno noti, incontrando personaggi differenti, unendo le loro passioni, conoscenze e idiosincrasie, condividendo con entusiasmo e vivacità le esperienze fatte lungo strada. Così, tra un affresco di Lorenzo Lotto e un culatello, un palco alla Scala e un risotto d’oro, tra una corsa in Ferrari e un salto in pinacoteca, innalzando gli spiriti tra guglie gotiche e vero ragù all’Artusi (con licenza poetica di due cucchiai di salsa di pomodoro), l’unione tra sublime e materico, tra Arte e Culinaria, non appare più impresa impossibile. Quello che si apprezza del programma, non è solo la commistione tra cultura e gastronomia, il corrispondersi della bellezza (sia essa racchiusa in pennellate manieriste o nidi di tagliatelle fumanti), ma anche la spontaneità dei protagonisti, che, sebbene – è ovvio – seguano una struttura e un copione stabiliti a priori, riescono tuttavia a meravigliarsi, ad appassionarsi, a prendersi in giro. Perché, e forse questo resta difficile da comprendere a fondo, tanto per chi si ciba di “spaghetti bolognese” quanto per chi ignora i tesori che si celano dietro le mura di casa propria, il cibo e la cultura, soprattutto in Italia, sono entità indissolubilmente legate…
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Neve a Londra 2013

Snow Capped Muffins with Chocolate Chips  ©LondonSE4

Snow Capped Muffins with Chocolate Chips ©LondonSE4

L’avevano annunciata le previsioni, sarebbe caduta di venerdì. Anche se, quella mattina, quando mi sono affacciata alla finestra, non si vedeva nulla che volteggiasse nell’aria fredda, per adagiarsi sull’asfalto ghiacciato. Questione di poche ore. Il tempo di arrivare al lavoro, che fioccava con brio e i  giardini di Bloomsbury Square avevano già tutto il vialetto imbiancato. E’ un rapporto ambivalente, quello che ho con la neve. Da un lato, venendo da regioni più calde, una nevicata equivale per me ad una sorta di incantesimo. La neve costituisce sempre una novità, che merita di essere immortalata, sfidando il gelo e i disagi. E poi ha il privilegio di coprire le brutture e attutire i rumori. D’altrocanto, però, se uno deve spostarsi oltre i confini del proprio quartiere, andare in giro con la neve equivale al peggior incubo. E non parlo solo di coprirsi di strati, camminare irrigiditi e cercare di stare attenti a dove si mettono i piedi. Infatti, basta poco per mandare in tilt il sistema ferroviario e i tratti di metropolitana con i binari all’aperto. E non è piacevole aspettare un mezzo al freddo e al gelo, magari mescolati ad una folla di malcapitati, tutti intirizziti, stanchi, di malumore, e che sgomitano per assaltare quell’unico treno o bus che li riporterà a casa. La neve nel weekend regala almeno la libertà di scegliere se rimanere a casa o avventurarsi per le vie della città. Significa anche decidere di non perdersi in derive casuali, ma di passare del sano tempo in cucina, a sfornare muffins soffici, con il ripieno di gocce di cioccolato fondente, e una suggestiva copertura di zucchero ‘a neve’.

Ricetta dei Muffins ricoperti di neve

Ingredienti: 2 uova, 240ml latte di soia, 120ml olio di semi, 100g zucchero raffinato bianco, 100g zucchero scuro di canna, morbido, 375g di farina per dolci, 4 cucchiai di lievito, una presa di sale, il succo di 4 mandarini, una confezione di gocce di cioccolato fondente, zucchero a velo.

Procedimento: Riscaldare il forno a 180 gradi. Mischiare in una ciotola il lievito, la farina, il sale, lo zucchero. Mescolare a parte, in un’altra terrina, le uova, l’olio, il succo di mandarino e il latte, poi unire il tutto, poco alla volta, al composto secco. L’impasto dovrà risultare bene amalgamato, ma non troppo liscio. Unire le gocce di cioccolato all’impasto e riempire gli appositi stampini, in cui saranno state posizionate le pirottine di carta. Cuocere per 20-25 minuti, lasciar riposare in forno per altri 5. Una volta sfornati, coprire i muffins con zucchero a velo.

Eggs, Bacon and Chips

699089-great-breakfast-of-egg-bacon-and-toastLa fine delle Feste significa per molti affrontare la stessa realtà: i risparmi intaccati pericolosamente, la depressione di gennaio, i propositi del nuovo anno già falliti, il giro vita espanso. Si calcola che il Britannico medio abbia consumato più del suo fabbisogno giornaliero di calorie solamente con il pranzo di Natale e, per eliminare il peso in eccesso accumulato nelle Feste, ci vorranno almeno tre mesi di sacrifici. “A moment on the lips, a lifetime on the hips” recita un vecchio adagio.

Eppure, secondo una ricerca dell’Università dell’Alabama, il famigerato English Breakfast, colazione a base di uova fritte, pancetta, fagioli, pomodori e salsiccia, per il suo contenuto di grassi, sarebbe in grado di aumentare il metabolismo (a patto che poi ci si moderi nei pasti principali) e quindi aiutare nelle diete post natalizie. Mito o realtà, è un dato di fatto che oggi sono pochissimi gli inglesi che si siedono a tavola ogni mattina per regalarsi una colazione tradizionale. Il full English Breakfast è un lusso della domenica o delle vacanze. C’è chi però ne ha fatto una specie di missione. Russell Davies, un account planner che si occupa di brands e marketing, da anni recensisce tutti quei caffè di Londra (ma anche del Regno Unito) dove sia possibile fare colazione o bere una tazza di tè in completo relax, magari scambiando due chiacchiere. Le sue recensioni sono dettagliate e corredate da numerose fotografie. Particolare curioso, come si evince anche dal titolo del suo blog gastronomico (eggbaconchipsandbeans), Russell, quando entra in un caffè, ordina sempre un English Breakfast, indipendentemente dalle origini etniche del locale, e su questo, ed il servizio in generale, basa la sua recensione. Oltre al blog, Russell è l’autore di un libro che recensisce ben 50 caffè.

Sconfinamenti

teaIn una metropoli come Londra, esistono molte frontiere. Quella più antica, tra la riva nord e quella sud del Tamigi, e poi i confini tra Est e Ovest, e quelli tra la City of London e Westminster.
La città si è talmente espansa, che ci sono luoghi lungo le linee metropolitane in cui difficilmente ci si avventura.
I confini londinesi rappresentano uno spazio identitario, che spesso si confonde e si stempera, tra fessure e smagliature, in cui flussi in movimento penetrano e modificano la percezione dell’altro da sé, dell’oltre frontiera.  Ogni volta che mi reco ai margini occidentali della città, provo un senso di avventura, di curiosità e dislocamento, che solo l’andare oltre i soliti  scenari può dare.

L’occasione per l’ennesimo sconfinamento, mi è stato offerto da un invito della Gatta, food blogger in London TW7, la quale mi ha proposto una merenda da lei. Isleworth, che non avevo mai visitato, ha conservato l’atmosfera del villaggio rurale, con i giardini chiusi da muretti, dritti filari di alberi vetusti e piccole botteghe d’altri tempi: quella del macellaio, il forno, ed un surreale negozio di petardi. La zona è davvero molto antica, corrisponde infatti ad un insediamento sassone (ancor prima romano), menzionato nel Domesday Book (1086) con il nome di Gistelesworde. Nei secoli Isleworth fu, di volta in volta, baronia normanna, ducato di Cornovaglia, possedimento del monastero di Syon ed infine, dopo la dissoluzione degli ordini, patrimonio del duca di Somerset. Passò poi ad altre nobili casate, fino al XVIII secolo, quando venne trasformata in frutteti e giardini, per il rifornimento dei mercati londinesi. Caratteristica di questo periodo fu la costruzione di molte dimore e case di grandi dimensioni, principalmente destinate ad aristocratici e ceti alti. Tra gli agiati residenti, spiccano alcuni personaggi illustri.
Nel 1779, Joseph Banks, naturalista e botanico inglese, stipulò un contratto di locazione, e poi acquistò, una bella casa con 34 acri di terra, lungo il lato settentrionale di quella che ora è la London Road. Questa residenza, Spring Grove House, esiste ancora. Banks si dedicò alla realizzazione di un giardino botanico nella sua tenuta, grazie alla grande varietà di piante esotiche, raccolte nei suoi viaggi intorno al mondo, in particolare durante le spedizioni in Australia e nei mari del sud, al seguito del capitano Cook.  Alla morte di Banks, la casa passò ad altri proprietari, mentre, gran parte delle piante, venne trasferita a Kew Gardens.
Anche il pittore William Turner visse a Isleworth per un breve periodo. Nel 1804, lo troviamo a Syon Ferry House, luogo pittoresco, che gli fu d’ispirazione per la veduta di Hampton Court dal Tamigi. Persino Vincent Van Gogh soggiornò a Isleworth, lavorando per un breve periodo (1876) come supplente di studi biblici, in un collegio, gestito dal reverendo Slade-Jones.
Per tornare al presente, vi interesserà forse sapere che, la merenda a casa della Gatta, consisteva in una sfornata di meravigliose crostatine di farro alla nutella, realizzate seguendo la ricetta della crostata di marmellata di arance della zia, con l’accorgimento, però, di lasciare uno spessore di pasta di almeno mezzo centimetro, perché non si seccasse troppo. L’impasto, può essere preparato in largo anticipo e congelato, così da essere disponibile all’occorrenza.
Alle crostatine, abbiamo anche unito, con successo, direi, le tonalità calde e distinte di un tè alla violetta di Tolosa.

Il sabato del villaggio

Jubilee_cupcakes_©LondonSE4Si respira un’aria strana, questo sabato, in SE4. C’è attesa, silenzio, bandierine, odore di barbecue e l’inconfondibile profumo dei cespugli di rose tutti fioriti. Molti sono andati via, approfittando dei 4 giorni di ferie. Non si odono macchine, sterei, bambini giocare a pallone. Chi è rimasto starà organizzandosi per la giornata di domani e quelle a venire. E’ il Giubileo di Diamante, 60 anni di regno di Elisabetta II, da festeggiare negli street parties, al pub o con amici. La sovrana campeggia dalle prime pagine dei giornali fuori dal supermarket, bimbetti si aggirano sventolando l’union jack, massaie organizzano in cucina le scorte per la scampagnata di domani. Il tempo sembra reggere, per ora. Anche se non fa più caldo come prima e ogni tanto scende qualche goccia di pioggia. Si va al Broca cafè a fare colazione. E’ quasi deserto, ma sempre accogliente, con quella congerie di mobilio raccattato, i divani con la lampada del nonno, i libri da prendere in prestito, le tazze e i piattini tutti diversi, un po’ vintage, un po’ seconda mano. Alla solita, generosa offerta, di muffins, torte e croissants, oggi si accompagnavano delle meravigliose Jubilee Cupcakes, che non avrebbero affatto sfigurato su un vassoio regale, in quel di Buckingham Palace.  La tappa successiva è stata poi immergersi nei colori e negli aromi del Brockley market. Un mercato piccolo, ma soddisfacente, che si svolge ogni sabato mattina. Vi si può trovare tutto il meglio dei prodotti della campagna del Kent, dalle verdure, alla frutta, dai latticini alle carni, al pesce, per passare alle conserve, al miele, alle marmellate.

Brockley_Market_©LondonSE4Tra le bancarelle spicca qualche nota estera accattivante (salsicce francesi, formaggi spagnoli, panini con la lingua dall’Italia) mentre l’aria si riempie dei fumi e degli aromi di gustoso take away cucinato da produttori di zona. Qua e là si intravedono mazzi dell’ultimo rabarbaro di stagione, con cui fare torte e confetture. Si gironzola e si pilucca qualcosa (la marmellata al ginger, il formaggio di capra, l’insalatina selvatica, le olive), mentre la borsa di tela si riempie di quello che necessita. Poi si va al parchetto deserto, a fare l’antipasto, prima di tornare a casa a cucinare dei Diamond Jubilee Special burger, biologici e saporiti.

A Londra, una torta per la Regina

Diamond Jubilee cakeL’offerta di dolciumi e prodotti da forno, a Londra, non lascia insoddisfatti i palati più esigenti. Negli ultimi anni, si sono moltiplicate e diversificate le proposte e le golosità, spaziando da tradizionali victoria sponge a coloratissime cupcakes, passando per muffins di tutti i tipi e gli immancabili brownies al cioccolato, fino a prelibatezze d’oltremanica, come pain au chocolat, chausson pommes o italici tiramisu. Tra le varie pasticcerie, non può proprio mancare una visita a Konditor & Cook, nella storica sede di Borough Market o nelle varie succursali del centro città. Gerhard Jenne, maestro pasticcere di origine tedesca, ha pensato di creare un dolce  tributo in occasione del Giubileo di Diamante della Regina. Per le celebrazioni, che avranno luogo a Battersea Park, il 3 giugno prossimo, Gerhard ha ideato un’ambizioso ritratto della sovrana, pixelato in 3.120 tortine individuali, corrispondenti al totale delle settimane di regno di Sua Maestà Elisabetta II. Per realizzare questo progetto, saranno necessarie 1000 uova, 200 panetti di burro, 150 chili di zucchero, 36 chili di marzapane e una copertura dolce in svariate colorazioni. Il ritratto finale misurerà 9 metri quadrati, ed ogni tortina individuale sarà venduta al prezzo popolare di una sterlina (una parte del  ricavato delle vendite è inoltre destinato in beneficienza).  Nel frattempo, è stata presentata alla stampa un’appetibile e soddisfacente versione ridotta del progetto, un ritratto di 500 tortine, fatte di Victoria sponge al limone, ricoperta di marmellata di albicocca, marzapane e glassa colorata. Si prevede che la versione finale avrà anche una cornice di torta decorata con frutta e biscotti a forma di… Diamante!

La Londra di Jack Lo Squartatore

jack_the_ripper_walk©LondonSE4Il tour su Jack lo Squartatore è sicuramente quello di maggior successo, nella vastissima offerta di escursioni turistiche londinesi.  Nata una trentina di anni fa, la visita speciale ai luoghi degli orrendi delitti, rimasti impuniti dopo oltre 100 anni, si è moltiplicata in varie versioni. Basta inserire ‘Jack the Ripper tour’ in un qualsiasi motore di ricerca, per accorgersi di quante agenzie ed associazioni turistiche propongano questa escursione di gran successo. Certamente, i diversi film e libri sull’argomento, hanno contribuito ad alimentare l’interesse per una delle pagine di storia londinese, tra le più oscure e raccapriccianti. Anni fa, avevo seguito una valida London Walk dal titolo ‘Jack The Ripper Haunts’.  Ieri sera, grazie al mio amico Paul, una guida autorizzata, ho ripetuto il tour, questa volta basato più sulla storia sociale dell’area in cui il serial killer condusse  indisturbato i suoi misfatti, e corredato da documenti e fotografie dell’epoca. Generalmente, ma non sempre, le escursioni sull’argomento partono  da Tower Hill e si addentrano nell’East End, tra Spitalfields e Whitechapel, ripercorrendo i terribili delitti dello Squartatore. Noi abbiamo, invece, camminato a ritroso, partendo dall’arco che conduce fino a Gunthorpe Street. Il pub sulla sinistra – The White Hart – è stato in questo luogo per oltre 250 anni ed alcuni pensano che Jack lo Squartatore possa essere stato uno degli avventori.  La zona ha subito nel tempo degli stravolgimenti edilizi e, dove prima si snodava un ammasso di viuzze maleodoranti e case fatiscenti e sovraffollate, ora ci sono banche , uffici e edifici abitativi moderni. Inoltre, in Mitre Square, nel punto esatto in cui fu ritrovata Elisabeth Stride, con la gola tagliata e il corpo orrendamente mutilato, oggi troviamo aiuole ed innocue panchine (tuttavia, la polizia continua a chiamare questo punto, ‘The Ripper’s corner’).  Proseguendo oltre, al di là di cemento, grattacieli e vetrine di ristoranti, si ritrovano immutate  le forme di un tempo, edifici dimessi, vecchie insegne, ex work-houses riconvertite in appartamenti, case degli ugonotti rimaste immutate dal XVIII secolo, una cappella in Fournier street, poi sinagoga ai tempi di Jack the Ripper ed ora moschea, e il vecchio mercato di Spitalfields. L’oscurità aiuta a ricreare l’atmosfera e, con un po’ di fantasia, alimentata dai racconti della valida guida, si riesce davvero ad essere catapultati nel 1888…  Tra i vari siti, sono rimasti miracolosamente intatti dei pub, quelli frequentati dalle prostitute e dalle sfortunate vittime del serial killer. Ye Olde Frying Pan è ancora là, in Thrawl Street, all’angolo con Brick Lane, ma ora si chiama Sheraz Balti House ed è  un ristorante indiano. Il Ten Bells pub, in 84 Commercial Street, che con i suoi interni rimodernati, in falso stile vittoriano, rappresenta ormai una mera attrazione per turisti (pare che anche Johnny Depp ci sia passato per una birra, anche se il film ‘From Hell’ venne girato a Praga) si trova  vicinissimo a Dorset Street, dove la povera Mary Jane Kelly, l’ultima e più giovane vittima, fu brutalmente assassinata. Di fronte al pub, c’è una delle più belle chiese di Londra. Christ Church risale alla fine del XVIII secolo e fu progettata da un allievo di Christopher Wren, sir Nicholas Hawksmoor. ChristchurchIl sagrato è stato descritto da Jack London nei suoi racconti sull’East End (The People from Abyss – 1903) e, tra la gente del posto, i giardini adiacenti alla chiesa, erano denominati ‘Itchy park’, per essere noto ritrovo di vagabondi e mendicanti.