L’immaginario sistematico di Nicholas Hawksmoor, in una mostra a Londra

Christ Church, Spitalfields ©Hélène Binet

Christ Church, Spitalfields ©Hélène Binet

Nicholas Hawksmoor (c.1661-1736) ha da sempre sofferto il privilegio di essere stato allievo e collaboratore di Sir Christopher Wren. Per molti anni, la critica ha sottovalutato le straordinarie capacità e l’inventiva di uno dei più raffinati architetti del Barocco inglese. Come se l’ala protettiva del maestro Wren si fosse tramutata in una lunga e pesante ombra,  Hawksmoor è stato spesso accusato di mancare di purezza architettonica, proprio per quei tratti che, invece, ne dimostrano il genio: la versatilità dello stile, i sapienti giochi di luce, geometria e scala, l’approccio né pedissequamente classicista né eccessivamente barocco. A differenza di molti suoi agiati contemporanei, Hawksmoor non aveva mai viaggiato in Italia. Tutta la sua conoscenza di forme e stili, l’aveva appresa dai libri. Era un massone e non disdegnava di attingere ispirazione da quegli elementi di architettura religiosa che gli paressero suggestivi. Dall’antico Egitto alla Grecia, dalle moschee al tempio di Salomone, è così che i suoi edifici si popolano di simboli elaborati: obelischi, piramidi, rosette, elementi pagani. L’eccentrico architetto fu artefice della costruzione di sei nuove chiese a Londra, nate per servire le periferie in espansione della città. Ognuno di questi edifici è diverso, ognuno unico nel suo genere. Tutti sono caratterizzati da campanili, le cui guglie sono disegnate in un fantasioso stile classicheggiante, e  tradiscono nei volumi l’interazione dinamica tra esterno ed interno, di impronta borrominiana.  Le chiese di Hawksmoor  hanno temperamento ed elevazione, tramutandosi in esperienze cinetiche e articolate. A volte, gli edifici nascono all’incrocio di strette viuzze, scorci barocchi generati per essere visti ed apprezzati, grazie ai movimenti limitati di chi è in strada; meraviglie che richiedono al pedone di soffermarsi a guardare in alto, e stupirsi, cosa purtroppo sempre più rara di questi tempi. Il contrasto architettonico si dirama in tutte le direzioni e prepara alla transizione da esterno a interno, mentre le guglie punteggiano il panorama della città, assurgendo a pietre miliari e punti di riferimento.

Alle Terrace Rooms di Somerset House, fino al 1 settembre, una mostra gratuita si concentra proprio sulle chiese di Nicholas Hawksmoor. L’esposizione vuole supplire alla mancanza di documentazione visiva e fornire al contempo un’analisi dell’opera di questo valente architetto, in chiave urbanistica. La mostra è stata curata da Mohsen Mostafavi, decano della Harvard University Graduate School of Design, ed espone il lavoro della fotografa di architettura Hélène Binet. Le suggestive immagini in bianco e nero, unite a modelli in resina elaborati al computer, tentano di reintegrare le chiese di Hawksmoor al tessuto cittadino, investigandone l’ideazione all’interno di un progetto urbanistico più ampio.

 

Gli ugonotti di Spitalfields

silk weaverOggi, mi sono recata a Spitalfields, per approfittare della speciale atmosfera dell’Huguenot in Spitalfields Festival. Quest’anno, infatti, segna il 250° anniversario della morte di Anna Maria Garthwaite (1763), celebre designer di tessuti, che visse in Princelet Street, collaborando con i tessitori di seta ugonotti. Gli ugonotti, protestanti francesi di confessione calvinista, si erano rifugiati a Spitalfields, a causa delle persecuzioni religiose attuate nel loro paese, e avevano da subito stabilito importanti filande, modificando, con grandi lucernai, gli ultimi piani delle abitazioni, così da adibirle a laboratori tessili. Anna Maria Garthwaite si distinse proprio nel settore della seta inglese, grazie ai suoi bellissimi motivi floreali, e visse e lavorò a Spitalfields, dal 1730 fino alla sua morte. Christ Church Spitalfields, aperta al pubblico in occasione del festival, fu costruita tra il 1714 e il 1729, ed è una delle chiese più belle progettate da Nicholas Hawksmoor. Una legge del Parlamento nel 1711 aveva costituito una Commissione speciale, per la costruzione di cinquanta chiese che servissero i nuovi insediamenti di Londra. La parrocchia di Christ Church si installò su quella medievale di Stepney, in un territorio dominato dagli ugonotti, come dimostrazione dell’autorità anglicana. Sebbene alcuni ugonotti utilizzassero la chiesa per battesimi, matrimoni e funerali, per il culto di tutti i giorni, essi preferivano affidare le proprie anime a delle cappelle dallo stile piano e semplice, molto lontano dall’elaborato barocco inglese di Hawksmoor.christ church ceiling L’intonaco del soffitto della Christ Church è un tripudio di fiori e merlature. I fiori sono tutti diversi, e simboleggiano l’unicità delle anime che circolano sotto le volte. Proprio accanto alla chiesa, al numero 5 di Fournier Street, si trova Town House, un edificio dei primi anni del XVIII secolo. Tessitori di seta vissero qui fino al 1820 circa. Si possono visitare tre aree distinte della casa: la sala principale è un negozio di antiquario, arredato con mobili, tappezzerie e oggetti curiosi; sul retro del giardino, vi è uno spazio adibito a mostre temporanee e laboratorio di artisti contemporanei di passaggio; infine, al piano inferiore, c’è una cucina, dove non solo si vendono vecchie porcellane, bicchieri e piatti da portata, ma si possono gustare buonissime torte, alcune realizzate secondo antiche ricette, sorseggiando una tazza di tè o caffè, circondati da un’atmosfera di altri tempi.
IMG_1453Poco più in là, superata l’area del mercato, al numero 18 di Folgate Street, ci si trova davanti ad una casa in mattoni rossi, su quattro piani e con un seminterrato. Davanti all’uscio si nota, ancora danzante, la fiammella di un lampione a gas. Stiamo per entrare a Dennis Severs’ House, un edificio del 1724, che era del tutto fatiscente, quando fu acquistato da Dennis Severs, nel 1979. Sedotto dalla fredda luce inglese, l’eccentrico artista americano visse in questa casa georgiana fino al 1999, anno della sua morte, e a poco a poco, collezionando antichità e oggetti curiosi, ne ridecorò le stanze, ognuna in un diverso stile storico. Gli ambienti della casa, ora aperti al pubblico, costituiscono una speciale macchina del tempo, in cui si è voluta immaginare la vita in una  famiglia di tessitori di seta ugonotti, tra il 1725 e il 1919. Le diverse camere appaiono disposte come se fossero ancora in uso, e gli occupanti della casa le avessero appena lasciate, per far spazio alla curiosità dei visitatori. Si circola in silenzio, ben attenti a non inciampare o danneggiare qualcosa, in una concentrazione che è attesa, gioco, meditazione, scoperta, penetrando in ambienti caldi e soffusi di aromi dolci e speziati, dove il tè è il caffè riempiono per metà delle tazze di porcellana, il cordiale rosseggia nei bicchierini di vetro, il fuoco scoppietta nei vecchi caminetti, animando i disegni di piastrelle bianche e blu. Giù in cucina, i dolci sono appena addentati nei piattini, mentre, in tutta la casa, candele e lampade a gas restano accese a rischiarare penombre fatte di pannelli di legno scuro, stucchi, stampe, cineserie, ritratti, vestiti abbandonati sulle sedie, gioielli riposti sulla toilette, e letti a baldacchino, appena disfatti… Più su, l’ultimo piano si fa povero e desolato, e l’aria fredda, che penetra dai vetri rotti della soffitta, è pervasa di odori rancidi di stracci, telai, polvere, scartoffie, pitali e panni appesi ad asciugare. Dennis Severs’ House è un’esperienza unica, immersiva, un viaggio immaginario in cui gli oggetti, i suoni, gli odori, sono frammenti di memoria struggente, che raccontano storie, trasportando il visitatore in un sogno ad occhi aperti.

Album