Suffragette a Londra

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Oggi esce nelle sale britanniche Suffragette, film drammatico di Sarah Gavron, che ripercorre i momenti salienti della lotta per l’emancipazione e per il diritto di voto per le donne all’inizio del XX secolo. Nel cast, attrici del calibro di Carey Mulligan, Helena Bonham Carter, e Meryl Streep, quest’ultima nei panni di Emmeline Pankhurst, attivista e guida del movimento suffragista. Agli inizi del XX secolo, solo il 60% dellla popolazione maschile aveva diritto di voto, e questo era stabilito in base al reddito, al salario e alla proprietà. Al voto non avevano accesso i poveri, i malati di mente, gli assassini e le donne. Nel 1906 il Women Social Political Union (WSPU), fondato a Manchester tre anni prima, si trasferì a Londra per essere più visibile. Il quartier generale del WSPU si stabilì ai numeri 3 e 4 di Clement’s Inn, a ovest delle Royal Courts of Justice, una delle corti di giustizia più grandi d’Europa. Il Clement’s Inn non esiste più, fu demolito negli anni Settanta, ma si può prenotare un tour alla Corte d’Appello e al Tribunale, nel vicino e maestoso edificio neo-gotico, per saperne di più sul sistema giudiziario britannico (London@nccl.org.uk).
Il WSPU fu accusato di essere un organizzazione che esisteva per servire le classi medie e alte, ma c’era una filiale nell’East End di Londra, creata appositamente per convincere le donne della classe operaia ad aderire al movimento delle suffragette.
I media, però, non avevano molto interesse nella lotta per i diritti delle donne, quindi il WSPU decise di utilizzare metodi diversi per ottenere visibilità e promuovere il suffragio universale femminile.
Ad esempio, al British Museum, si può osservare un centesimo del 1903 timbrato con lo slogan “suffragette voto alle donne”. Deturpare una moneta non era solo un atto di disobbedienza civile ma un reato grave, per cui si rischiava una pena detentiva. Gli spiccioli diffondevano efficacemente il messaggio ed avevano meno probabilità di essere tolti dalla circolazione rispetto ad altre coniature.
Altri metodi, erano decisamente più cruenti, come rompere le finestre degli edifici governativi. Nell’estate del 1908, alcune suffragette marciarono a Downing Street e cominciarono a lanciare pietre di piccole dimensioni attraverso le finestre della casa del Primo Ministro. Una trentina di donne furono arrestate e inviate alla prigione di Holloway. Nell’ottobre 1908, ci fu una grande manifestazione a Londra, che portò a violenti scontri con la polizia. Al Museo di Londra, è possibile ammirare oggetti curiosi e interessanti, che raccontano la storia e l’evolversi, a volte drammatico, del movimento. Come, ad esempio, la cintura usata proprio nel 1908 per incatenarsi alle inferriate di edifici governativi. O, ancora, le medaglie conferite alle suffragette che avevano fatto lo sciopero della fame in prigione. Nel giugno 1913, in occasione della gara più importante dell’anno, il Derby, Emily Davison invase la pista e ha tentò di afferrare la briglia di Anmer, un cavallo di proprietà di re Giorgio V. Fu colpita mortalmente ed i suoi funerali si svolsero nella storica chiesa di St George Bloomsbury, progettata da Nicholas Hawksmoor, raffigurata da Hogarth nel suo “Gin Lane” e menzionata da Dickens, che viveva poco lontano. Il 26 luglio 1913 giunsero a Londra le delegazioni che prendevano parte al Grande Pellegrinaggio di suffragette organizzato dalla National Union of Women’s Suffrage Society. Le donne marciarono da tutti gli angoli di Inghilterra e Galles, alcune per sei settimane di seguito, fino ad Hyde Park, dove si svolse una manifestazione di massa e in cui, da una ventina di piattaforme diverse, gli oratori chiedevano a gran voce l’affrancamento delle donne. Le immagini scattate a questo raduno da Christina Broom, fotografa autodidatta e prima fotoreporter Britannica, si possono ammirare in una bella mostra gratuita, che resta aperta al Museum of London Docklands, fino al 1 novembre. Si stima che, nell’estate del 1914, oltre un migliaio di suffragette erano finite in carcere a seguito di azioni violente, Queste andavano dalle vetrine infrante ai danni a proprietà ed edifici, fino ad atti vandalici contro opere d’arte. Nel 1914, la Venere Rokeby di Velasquez, conservata alla National Gallery, ricevette almeno cinque fendenti con un tritacarne, brandito dalla suffragetta Mary Richardson, che protestava contro l’arresto di Emmeline Pankhurst.

Il 4 agosto 1914 l’Inghilterra dichiarò guerra alla Germania, ed ogni attività politica delle suffragette fu sospesa, per aiutare lo sforzo bellico. In cambio, il governo britannico cominciò a rilasciare le suffragette ancora in carcere. La legge che diede alle donne gli stessi diritti di voto degli uomini fu finalmente approvata nel 1928.

Meraviglie del Rinascimento al British Museum

'Lyte Jewel' - The British Museum - Waddesdon Bequest M&ME 167 - Room 2a

‘Lyte Jewel’ – The British Museum – Waddesdon Bequest M&ME 167 – Room 2a

Verso la fine del 1880, il barone Ferdinand de Rothschild ordinava la creazione di una nuova Smoking Room in un’ala della sua residenza di Waddesdon nel Buckinghamshire. La sala doveva servire, non solo ad ospitare gentiluomini per il sigaro o la pipa del dopocena, ma, anche, contenere la magnifica collezione di Ferdinand, costituita da oggetti preziosi, sulla falsa riga delle raccolte principesche dei secoli XVI e XVII.
Ferdinand aveva voluto che la sala per fumatori, assieme all’adiacente sala biliardo e corridoio, fossero decorati in stile rinascimentale francese. Le teche di vetro, che custodivano gli oggetti, dovevano essere circondate da tendaggi, mobili e altri arredi sontuosi.
Alla sua morte, nel 1898, Ferdinand lasciò in eredità la maggior parte della sua collezione al British Museum, dove da oggi è in mostra permanente, gratuita, in una nuovissima sala.
Mi ricordo quando, tempo fa, dovevo avventurarmi nei meandri del museo per ammirare i tesori del Waddesdon Bequest. Gli oggetti, una selezione dei 300 che compongono il lascito, si trovavano in una sala buia ed angusta, quasi un cul de sac, che non rendeva piena giustizia ai fantastici pezzi di oreficeria, intaglio, ceramica e vetro. Da oggi, però, la donazione del barone Rothschild si può gustare di nuovo, ampliata ed in un ambiente adeguato, che ne permette una vera fruizione.
Tanti bellissimi pezzi medievali e rinascimentali, oltre, è stato accertato, ad un certo numero di (bei) falsi del XIX secolo. Uno spaccato interessante sul mercato e collezionismo antiquario fin de siècle. Il pezzo forte della collezione è il reliquiario francese del XV secolo, realizzato per Jean, duca di Berry (1340-1416), tutto costruito attorno ad una presunta spina della corona di Cristo. La spina, quasi scompare, circondata com’è da un tripudio di ori e smalti, angeli e santi, raggi e torri, perle e pietre preziose.
Un altro oggetto interessante, è il “Lyte Jewel“, un ciondolo apribile, che serba in sé il ritratto di Giacomo I d’Inghilterra. Il gioiello è ricchissimo e raffinato, decorato con diamanti, smalti ed una perla a goccia. Il ritratto del re, fu realizzato da un miniaturista ed orafo di grido, Nicholas Hilliard, attivo verso la fine del XV e gli inizi del XVI secolo. Il gioiello era stato donato dal sovrano a Thomas Lyte, un genealogista, che aveva tracciato le origini del casato di Giacomo, facendole risalire al Bruto troiano, fondatore della Britannia (pura leggenda, tuttavia politicamente efficace).
La collezione Rothschild è incredibile, comprende non solo gioielli, ma anche capolavori di argenteria, legno intagliato, ceramiche e fragili manufatti di vetro. Uno dei miei oggetti preferiti è un ciondolo d’oro, a forma di ricco paniere di smalti, che pende da tre catenelle ed è decorato con grappoli di rubini e perle. Su questo trespolo elegante, poggia un bellissimo pappagallo verde smaltato, con il dorso incastonato, anch’esso, da rubini.
Mi piace immaginare questo prezioso volatile dondolarsi alla catena di una dama, rilucente alle candele, sfolgorante alla luce del sole. Fu realizzato nel tardo Cinquecento, forse in Spagna. Oggi è alla portata di tutti, grazie al lascito di Ferdinand de Rothschild e al nuovo allestimento espositivo del British Museum.

Pompei ed Ercolano al British Museum

casadelbraccialedoroGrazie ad una stretta collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Napoli e Pompei, al British Museum si inaugura una mostra straordinaria, che, attraverso oltre 250 oggetti, frutto di scavi antichi e recenti, molti dei quali, mai usciti dall’Italia, si propone di raccontare la vita quotidiana dei romani nel 79 d.C. A differenza di altre esposizioni, tutte incentrate sulla visione catastrofica dell’eruzione e delle morti senza scampo, il progetto espositivo del British Museum ricostruisce usi e costumi degli abitanti di Pompei ed Ercolano, prima che le loro vite fossero spazzate via e tutto rimanesse sepolto nell’oblio e nella cenere, per oltre 1600 anni. La mostra, corredata da materiali audiovisivi, ha carattere immersivo: si passa  dalla strada, con le botteghe, i termopoli e le osterie, ai magnifici ambienti di una domus, con l’atrio imponente, il cubiculum nascosto, l’arioso giardino, il tablinum e persino i servizi (culina e latrina). Gli oggetti sono disposti ad hoc e così veniamo a sapere che, nelle due cittadine, dove il 10% della popolazione, di discendenza greca o sannita, era composto da nobili, mentre la gran parte degli abitanti erano schiavi o liberti, la gente spesso si fermava a mangiare fuori casa, condendo il pasto con una salsa a base di avanzi di pesce fermentato (garum), tanto in voga come oggi il nostro ketchup, venduta in speciali anforette, e pubblicizzata da panneli di mosaico. Chi si recava all’osteria, lo faceva per incontrarsi, bere, e giocare a dadi nel retrobottega. Spesso, i fumi dell’alcol infiammavano gli animi e si veniva alle mani, come ci dimostra il colorito affresco proveniente dal Thermopolium di Salvius. Le classi agiate, vivevano in case lussuose e spaziose. Molti degli oggetti in mostra, provengono dalla casa di Lucius Caecilius Iucundus, un banchiere. L’erma, di età augustea, ci riporta, in maniera veritiera ed espressiva, le fattezze dell’avo, con le rughe profonde, la verruca sul naso e lo sguardo furbo e inquisitivo. Dalla stessa casa, proviene anche un rilievo, che ci mostra come la città di Pompei fosse già stata gravemente danneggiata dal terremoto del 62 d.C. Nell’oscuro cubiculum, si possono ammirare gli affreschi erotici con cui l’argentarius Iucundus aveva abbellito il cortile e il tablinum della sua dimora. I romani non avevano tabù, il sesso faceva parte dei cicli naturali della terra e degli animali. Infatti, si adorava il dio Priapo, dal grande fallo, simbolo di fertilità, e ogni anno si celebravano i Lupercalia, in onore del dio Pan, anch’esso simbolo di fertilità, protettore di messi ed alimenti, che qui vediamo unirsi ad una capra, in una raffinata scultura, già oggetto di grande scalpore. Chi aveva le possibilità, passava il tempo circondato da suppellettili preziose. Specchi d’argento, fiale di vetro, spille per capelli in avorio, monili d’oro, recipienti in bronzo mirabilmente cesellati, vasellame pregiato. Dalla casa di Inachus e da quella delle Nozze d’Argento, provengono dei servizi, che, con le loro forme voluttuose ed eleganti, hanno conquistato anche le nostre tavole, in repliche neoclassiche e a seguire. Il vasellame d’argento, esposto al British Museum, comprende anche un bellissimo cantharus, decorato da centauri.  La filosofia dell’epoca era quella di stampo epicureo, per cui la felicità è piacere o assenza di dolore, e, poiché il tempo fugge e la morte è sempre in agguato, bisogna vivere il presente, confidando il meno possibile nel domani. Il motivo del carpe diem trapela lungo tutto il percorso espositivo. L’hortus è un luogo di ristoro e meditazione, e, la stanza adiacente al giardino, è decorata con scene di vegetazione lussureggiante, all’interno della quale orioli gialli piluccano bacche, usignoli si nascondono tra le fronde, piccioni di bosco e gazze ladre svolazzano tra i rami. L’affresco, proveniente dalla Casa del Bracciale d’Oro, è una delle più straordinarie pitture murali del mondo antico, con i colori perfettamente conservati. Anche i graffiti murali citano il poeta Lucrezio, seguace dell’epicureismo. Si è trovato l’incipit del secondo libro del De Rerum Natura (Suave mari magno), ma il carpe diem assume anche significati più basilari, come la firma degli amanti incontratisi nella notte, o sulla panca del giardino (Ephaphroditus cum Thalia hac). Più in là, nella sala da pranzo, i commensali consumavano il banchetto circondati dal lusso, dai sapori esotici di datteri, miele e lingue di fenicottero, e dal ritratto ironico della morte, anch’essa tra gli invitati, in un mosaico bianco e nero,

Quella mattina d’estate del 79 d.C. la fine piombò rapida e impietosa su Pompei ed Ercolano. L’eruzione del Vesuvio si articolò in due fasi: la prima vide la caduta di pomici bianche e grigie; la seconda alternò la fuoriuscita di nubi ardenti e colate piroclastiche. Chi fuggì terrorizzato nell’oscurità soffocante di ceneri e gas, portò con se quello che ritenne più opportuno: l’incasso della giornata, i risparmi di una vita, le chiavi di casa, una lanterna, i ferri del mestiere, i gioielli più cari, l’immagine della dea Fortuna. Alcuni si dimenticarono di sciogliere il cane, altri pensarono di essere al sicuro nelle terme o nel cubiculum della propria casa. Molti, perirono prima di riuscire a mettersi in salvo, seppelliti da ceneri e tetti crollati, o inceneriti da gas bollenti. Nelle ultime sale, la morte è un grido pietrificato, e il gesso e la resina, fissando tuniche scomposte e membra piegate dallo spasmo, raccontano gli ultimi, terribili istanti di Pompei ed Ercolano.

Life and Death in Pompeii and Herculaneum
dal 28 Marzo al 29 Settembre 2013
The British Museum
Great Russell Street, London, WC1B 3DG

Alla mostra si accompagna un fitto ciclo di conferenze, con interventi di archeologi, vulcanologi, latinisti, storici e antropologi, tra cui Mary Beard, già autrice di un documentario, proprio su Pompei (BBC 2 – 2012).

E’ anche possibile scaricare un eBook GratuitoThe Treasures of Pompeii & Herculaneum  a cura di: Mary Beard, Alastair Smart, Joanne Berry, Alex Butterworth, Ray Laurence, Bee Wilson, Tim Auld & Andrew Wallace-Hadrill

Mummie: tra maledizioni e autopsie

king-tut-tomb-2Il 4 novembre del 1922 Howard Carter scopriva l’accesso al sepolcro di Tutankhamon e telegrafava la notizia a Lord Carnarvon, rimasto in Inghilterra. Il 26 novembre, fatto un buco nella parete della camera sepolcrale, Carter scopriva l’eccezionale tesoro del faraone. Quella stessa notte la città del Cairo venne colpita da un misterioso blackout.  Nel 1929 Carter era ancora vivo, ma undici tra le persone coinvolte nella scoperta erano scomparse per cause non naturali o per morte prematura. Lord Carnarvon morì per una banale puntura di zanzara nel 1923. Aubey Herbert, fratellastro di Lord Carnarvon, si suicidò in un accesso di follia; l’archeologo La Fleur, collaboratore di Carter, morì per cause ignote appena giunto in Egitto; Arthur C.Mace, tra i primi a entrare nel sepolcro, fu trovato morto nello stesso albergo di Canarvon; Lady Carnarvon, morì come il marito, in seguito ad una puntura di insetto; l’egittologo Arthur Weigall, fu colpito da una febbre sconosciuta, Arcibald Douglas Reid, morì mentre radiografava la mummia; infine Richard Bethell, segretario di Carter durante gli scavi, perse la vita per cause sconosciute. Tra le altre vittime della maledizione, un miliardario americano amico di Lord Carnarvon, e Alfred Lucas e Douglas Derry, colpiti da infarto poche ore dopo aver eseguito l’autopsia della mummia di Tutankhamon. La maledizione della mummia potrebbe, tuttavia, avere delle cause scientifiche. Si è scoperto infatti che i funghi presenti nelle grotte e nelle tombe (Aspergillus niger, Aspergillus ochracens e Cephalosporium), possono avere effetti letali, specialmente se inalati, e per questo ora gli archeologi indossano sempre mascherine ed abiti protettivi prima di irrompere in una sepoltura.

A parte ciò, prima ancora della sofisticata cerimonia di mummificazione, tanto cara alla civiltà egizia, che non abbandonava mai i propri defunti senza prima averli assicurati con formule magiche, amuleti nonché anatemi, nell’Egitto predinastico (3500 a.C.) i corpi si essiccavano per processo naturale, a causa dalla sabbia rovente del deserto con cui venivano posti direttamente a contatto. Una di queste mummie naturali è il famosissimo uomo di Gebelein, più noto agli inglesi con lo pseudonimo di Ginger. La mummia, scoperta nel 1896, e custodita al British Museum (sala 64), è visitata da miriadi di persone ogni anno. Per oltre un secolo, generazioni di visitatori e curiosi si sono soffermate davanti a questa mummia rossiccia, ripiegata in posizione fetale e con poche suppellettili attorno, senza mai sapere chi fosse Ginger in realtà. Recentemente, però, i resti sono stati sottoposti a studi medico-scientifici moderni, grazie ad una collaborazione anglo-svedese. I raggi x e la tomografia assiale computerizzata hanno rivelato interessanti e drammatici aspetti sulla breve vita di quest’uomo dell’antichità e, fino al 3 marzo 2013, una mostra temporanea interattiva rivelerà al pubblico tutti i dettagli dell’assassinio.

Nei meandri del museo, lontana da occhi curiosi, si trova anche la famosa Mummia Maledetta, un sarcofago donato da Mrs Warwick Hunt di Holland Park, per conto del marito, nel 1889, e inventariato con la dicitura BM.22542. Dagli anni trenta, lo si collega al fantasma della principessa Amen-Ra, che ancora si aggirerebbe urlante nella ormai dismessa British Museum Station, le cui banchine annerite, sono visibili a chi viaggia sulla central line da Tottenham Court Road a Holborn. London Underground ha sempre negato con determinazione l’esistenza di un collegamento segreto tra la stazione non più esistente e i depositi di antichità egizie del Museo Britannico. Per quanto riguarda il sarcofago, i curatori tengono a precisare che si tratta solo di un reperto di valore rimarchevole, risalente alla ventunesima dinastia (950BC) e giunto fino a noi in buone condizioni…

Mary Beard incontra i Romani

mary beard meets the romansDegli antichi Romani, anche se non si è fatto il liceo classico, sappiamo ormai parecchio. Ci hanno trasmesso l’arco, gli acquedotti, la cultura ellenistica, una rete viaria che utilizziamo ancora adesso, un codice legislativo mica male, e, gran parte della lingua in cui vi sto scrivendo, discende direttamente dal latino.
I Romani abitavano in domus lussuose o insulae sovraffollate, l’economia era basata sul lavoro schiavile e le conquiste militari, il tempo libero si svolgeva tra terme, teatro, spettacoli circensi e laute cene. L’immaginario collettivo, tra vestigia cittadine e scavi pompeiani, si è poi nutrito di innumerevoli versioni cinematografiche,  in cui l’eroe o l’antieroe di turno, togato e laureato, nell’arena o in lettiga, prendeva via via le fattezze di Marlon Brando, Charlton Heston, Peter Ustinov, Russel Crowe, Totò e Alberto Sordi.  Tuttavia, sebbene siamo ormai ferrati su grandi nomi di politici, imperatori, nobili e generali dell’Impero, quando pensiamo agli antichi romani ordinari, gente che viveva nelle città, svolgendo i lavori più disparati, soffrendo, ridendo, amando e pagando tributi, proprio come noi, allora la faccenda si fa più nebulosa.
Eppure, se solo si sa dove guardare, le voci lontane di questi antenati si fanno vivide e sonore; ci raccontano piccole storie quotidiane e ci danno la misura di questioni più ampie, gettando luce su una società cosmopolita (non come la intendiamo noi oggi) fatta sì di fasti e lussi, ma anche di ombre e povertà.

Proprio ieri sera, è andata in onda l’ultima puntata di una miniserie della BBC 2, dal titolo “Meet the Romans”. In essa, lo spettatore viene affidato alla guida di Mary Beard, classicista dell’Università di Cambridge, che lo porterà in giro per strade, tombe, fori, musei e depositi di Roma ed altre città, svelando curiosità e segreti degli antichi romani, tra un’epigrafe latina, una tibia consumata, un busto dal naso sbeccato. Niente di noioso ed accademico, come si potrebbe pensare. Mary Beard è una donna pratica, la cui vasta conoscenza ci viene trasmessa con entusiasmo e per mezzo di una comunicativa spumeggiante, scevra da pomposi gerghi e affettazioni.
La Beard è una simpatica eccentrica, che gira in bicicletta per le caotiche strade della Roma odierna o per solitari tratti dell’Appia Antica, discutendo di storia e archeologia con eminenti luminari, davanti ad un cappuccino fumante, al tavolino di un caffè affollato; la seguiamo di buon mattino, mentre va a vedere come si fa il pane in un laboratorio, mettendo le mani in pasta come duemila anni fa; oppure nel dipartimento di antichità romane del British Museum, mentre fa cenno di provarsi l’elmo di un gladiatore. Mary passeggia con gli esperti di turno per le vie di Ostia antica e si aggira tra le pareti di case pompeiane, proprio come faremmo noi in una gita domenicale. Quando occorre, la fida spazzolina ripulisce i marmi dalla polvere, le dita scorrono sicure lungo tituli e tabulae, epitaffi e graffiti. Dal latino oscuro, fuoriescono storie di panettieri parvenu, scolari modello, schiavi affrancati, pettinatrici imperiali, vittime di omicidio, ménages a trois, mercanti di pepe. Coi suoi capelli lunghi e grigi, un po’ da hippie, e le smorfie che tradiscono partecipazione ed entusiasmo, per quello che mano mano ci va svelando, l’illustre studiosa penetra attraverso cancellate solitamente chiuse da pesanti lucchetti, si fa aprire vetrine sigillate, casse di depositi dove dormono piccoli e grandi tesori, come la barbie di Crepereia Tryphaena. Il fatto che una docente universitaria, quasi sessantenne, sappia raccontare fatti storici ed aneddoti con professionalità e vivace ironia, senza tradire alcun cenno di parrucchiere, manicure, trucco o botulino, non è piaciuto ad alcuni noti detrattori. Il critico televisivo A.A. Gill, invece di soffermarsi a recensire il documentario della BBC, ha preferito lanciare invettive contro l’aspetto fisico della Beard, asserendo che è troppo brutta per la TV. Stesso tono per le critiche della bionda Samantha Brick, giornalista del Daily Mail, in un articolo pubblicato stamattina. Al solito, sembra che, per una donna, in Gran Bretagna come in Italia, il requisito essenziale per apparire in video, sia sopra a tutto la bellezza, piuttosto che l’intelligenza. Il pubblico inglese ha largamente gradito il programma e continua a supportare Mary Beard, la quale non si è fatta peraltro sconfiggere dalle critiche al vetriolo. La studiosa,  rispondendo agli attacchi dalle pagine del Telegraph e dello stesso Daily Mail, ha sottolineato con ironia i suoi difetti fisici, dovuti ad anni di studio, un certo patrimonio genetico da cui non è riuscita a sfuggire e i segni di 57 primavere posatesi sulle sue spalle. Avendo, a suo tempo, dovuto lottare contro un mondo accademico, che non privilegiava in alcun modo l’ascesa delle donne, la Beard si è poi definita “too brainy for men who fear clever women”.

Quel dolce odore di libro…

old_booksL’inconfodibile aroma polveroso di vecchi libri è una delle gioie del bibliofilo, lo si repira non solo nelle biblioteche storiche, ma anche nelle librerie antiquarie o di seconda mano. In un mondo che diviene sempre più asettico e informatizzato, presto non saranno in molti a saper riconoscere l’odore agrodolce e ammuffito di una biblioteca storica. Pochi sanno che, questo particolare bouquet, ci può dire anche di cosa  è fatto il patrimonio librario.
La dottoressa Matija Strlic, chimico dell’University College di Londra (Centre for Sustainable Heritage), sta conducendo uno studio mirato su come l’odore di  libri e manufatti antichi, possa rivelare informazioni cruciali sia per gli studiosi, che per i restauratori. L’intensità di odori è un patrimonio genetico, che spesso rivela la velocità di decadimento degli oggetti, e lo sviluppo di etilometri costruiti a questo scopo, può essere utile per la loro conservazione. La Strlic ha deciso di condurre gli studi sulle correlazioni tra la composizione della carta e il suo odore, dopo aver visto un esperto annusare un titolo per valutarne l’età e la qualità. L’odore è parte della storia di un oggetto e anche del nostro modo di godere del patrimonio librario e antiquario. L’equipe della UCL, affiancata da ricercatori olandesi e sloveni, ha studiato 72 libri degli ultimi duecento anni. Attraverso la tecnica ‘degradomica’, si è potuto scompore il complesso profumo  di libri antichi nelle sue varie componenti chimiche, ed individuare i 15 più diffusi composti organici volatili (COV), derivanti dalla carta invecchiata o antica.  L’aroma di libro antico è stato dunque descritto come una combinazione di “note erbacee, con punte acide e un cenno di vaniglia su leggero sfondo di muffa”.  Questo odore inconfondibile, è parte tanto del libro, quanto del suo contenuto (carta, rilegatura, inchiostro). I marcatori di degradazione possono essere utilizzati per monitorare le condizioni di invecchiamento dei libri attraverso l’analisi dei gas COV da essi prodotti, e potrebbero aiutare i restauratori di biblioteche e archivi nel loro lavoro. La dottoressa Strlic parlerà dei risultati di questa interessante ricerca, in una conferenza pubblica gratuita, che si terrà il 21 giugno prossimo al British Museum.