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La biblioteca post-moderna

BritishLibraryInteriorNell’immaginario collettivo la parola ‘biblioteca’ fa venire in mente un posto chiuso, pervaso da un caratteristico odore di polvere, carta macera e pergamena, pieno di libri e gente china su di essi in religioso silenzio; un qualcosa di dislocato dalla vita di tutti i giorni, un luogo della tradizione, riservato a pochi, anche se aperto a tutti. Ma le cose cambiano, si parla ormai del concetto di biblioteca post-moderna, dove all’utente son concessi nuovi stimoli e servizi come prestito di materiali audiovisivi, spazi culturali con iniziative di vario genere, uso di computer, internet e documenti informatici, nonché personale disponibile ad insegnare l’uso dell’archivio a chi non ne ha dimestichezza.

Non so come sia la situazione italica al momento, ricordo che quanto sopra era sicuramente valido per la biblioteca di quartiere nella mia città natale, dove andavo a studiare e leggere con piacere, ma se ora mi stendessi sul lettino dello psicoanalista e Sigmund pronunciasse la parola “BIBLIOTECA NAZIONALE” avrei i sudori freddi e mi aggrapperei al sofà in preda all’ansia. Io spero tanto che, anche in quell’ambito, qualcosa sia cambiato, lo spero soprattutto per i poveri studenti e studiosi che ci devono sudare sangue… anche se, le ultime notizie ufficiali (gennaio 2009) parlavano di disservizi, personale ridotto, decremento dei volontari del servizio civile e prestito pomeridiano sospeso. Ai tempi della tesi, andarvi a fare ricerche equivaleva ad un viaggio dantesco nei gironi delle lungaggini e della burocrazia, nonché quotidiana esposizione all’amianto (bonificato solo a 3 mesi dalla mia laurea, con i disservizi che potete immaginare)…
Poi, son venuta qui, in terra angla, e, studiando per il Master, mi si è aperto un mondo: bellissime biblioteche post-moderne, con film, computer nuovi, scanner, stampanti, corsi di lingue, laboratori, prestiti possibili. Non importa se si è studiosi o no, qui è pratica assai comune andare in biblioteca per usare internet, prendere libri in prestito, far giocare i bambini, partecipare a dibattiti. C’è però una biblioteca angla, anzi LA biblioteca per eccellenza, che ha vinto il mio cuore e mi sta curando dal trauma di gioventù. La BRITISH LIBRARY, in quel di Euston, è il mio rifugio dai mali dell’inverno, pioggia, buio, stanchezza e povertà.
Ci vado spesso, tanto che ormai gli steward alla porta mi riconoscono senza batter ciglio (haha). Mi aggiro qua e là in questo edificio modernissimo (la biblioteca originale faceva parte fino a una decina di anni fa del British Museum, dove ancora restano gli spazi della Reading Room e della Kings Library) e vedo studenti e studiosi col laptop e la cup of tea. Sono così sereni da suscitare invidia, loro forse non sanno niente di lungaggini e decrementi del personale e libri spariti chissà dove.
Vado alla British Library e mi vedo gratis “I Tesori”, in una galleria aperta gratuitamente al pubblico, dove ci sono opere e documenti imperdibili, tra cui la preziosissima copia in greco onciale della Bibbia (codex sinaiticum – IV secolo d.C.), dei bellissimi evangeliari miniati (famoso quello di Lindisfarne – IX secolo d.C), la Magna Carta, l’unica copia manoscritta del Beowulf, il Sutra del Diamante (il più antico libro a stampa del mondo), il diapason di Beethoven, l’atto di nozze di Mozart, le lettere di Jane Austen e le canzoni autografe dei Beatles.
Ci sono poi mostre temporanee su vari argomenti. Ad esempio, al momento in cui scrivo, ce n’è una, totalmente gratuita e di grande interesse, sulla fotografia del XIX secolo, dal titolo “Points of View” (http://www.bl.uk/pointsofview/).
Ma ci si può altrettanto immergere in percorsi sonori, organizzati per tema, dove si può ascoltare di tutto, dalla voce di Florence Nightingale (The Sound and the Fury: The Power of Public Speaking) agli album di Jimi Hendrix (1968 on Record: a Year of Revolution). Per accedere alle sale di lettura basta un pass di accesso che viene rilasciato con facilità (basta esibire un documento di riconoscimento), e non bisogna essere laureandi o laureati. Ognuno ha diritto a studiare e fare ricerche.
A me, quello che stupisce ogni volta che mi siedo a bere un caffè, è la torre d’oro con tutti i volumi, i manoscritti e le mappe provenienti dalla King’s Library. Un monumento all’amore per il sapere.
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PMS

Ritorno a Londra e piombo nella sindrome degli ormoni, che, spietati, non mi fanno godere del sole, dei parchetti in fiore, del giorno di San Giorgio, e invece mi fanno dormire, poltrire, agonizzare, pensare di sparire. 
E’ normale: le donne, si sa, hanno questo umore altilenante, che le rende affascinanti. Io però, di questo su e giù emotivo, farei benissimo a meno. Poi penso ai massimi sistemi e mi convinco che, se alla fine non siamo contenti, è tutta colpa dello stress metropolitano e dell’iperbenessere della civiltà dei consumi. C’è molto, troppo in offerta e non ce ne accorgiamo, o comunque, non ci accontentiamo. Io no che non mi accontento! 
E la maionese impazzisce, i capelli non tengono la piega e le piante si seccano…
Cammino col broncio e mi fermo davanti alla vetrina del librivendolo. Siamo noi a trovare i libri o sono loro a trovare noi? 
Che importa? Per sole £3.50 la copia anastatica del diario vittoriano di Adelaide Pountney è mia. 
Nel diarietto, datato 1864/65, ogni giorno dell’anno è illustrato da vividi schizzi, l’immediatezza dei disegni di Adelaide, corredata da poche parole di commento, ci riporta ad un mondo e ad un’epoca lontani, in cui non esistevano il femminismo e gli antibiotici, le gonne ampie, limitando i movimenti, si inzaccheravano di pioggia e fango e un raffreddore banale poteva trasformarsi in una malattia invalidante.
Come viveva Adelaide, una ventitreenne di buona famiglia? Niente ipod, internet, discoteche o palestra. I pomeriggi piovosi si passavano in casa a dipingere, leggere, scrivere, fare marmellate o ricevere ospiti per il tè. Le pubbliche uscite erano dedicate ai corsi di disegno, tedesco e greco (!) e alle infinite visite ad amici, vicini, conoscenti e vecchie zie. Ogni tanto qualche festa, qualche concerto d’organo o pianoforte, un salto in città per un taglio di capelli (giusto le punte), una visita dal dentista o dal dottore per farsi sentire i polmoni, l’acquisto di nuovo cappellino, un libro in prestito dalla biblioteca o una lettera da imbucare. Quotidianamente, salvo maltempo, Adelaide faceva una passeggiata, dopo pranzo o dopo cena, al mare, nei boschi, in campagna oppure fino al parco, per sentire la banda suonare. E, qualche volta, lei o le sue sorelle, prendevano un treno sferragliante, da sole, per andare ospiti da qualche amica. Una specie di avventura: lo scompartimento scomodo ed angusto e il giro dei saluti a chi restava, come se si andasse lontanissimo.
Infine, di domenica, la nostra eroina andava in chiesa, anche due volte, con la stesso entusiasmo con cui oggi si va allo stadio o ad un concerto, perché, per i vittoriani, ascoltare sermoni di oltre 40 minuti era non solo un dovere per l’anima, ma anche un piacere per le orecchie, specie quando l’oratore era carismatico e capace. E per godersi meglio lo spettacolo si pagava una quota, riservando il proprio banco, o il proprio palchetto, come a teatro.
Giornate di altri tempi, che con il nostro metro di valutazione moderno si potrebbero definire lente, ripetitive e monotone, ma in cui forse si apprezzavano di più le cose di ogni giorno che noi diamo per scontate. E magari, una tisana di melissa bastava a calmare il malumore.

adelaide pountney

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The Da Vinci Gate

da_vinci_cod_arundelLa British Library ha pubblicato online una versione digitale dei taccuini di Leonardo, nello specifico il Codice Arundel e il Codice Leicester.

Ma… la suddetta versione è accessibile solo ed esclusivamente agli utenti della nuova piattaforma Microsoft Vista.
L’impopolare scelta è dovuta al fatto che, mentre il Codice Arundel è di proprietà della British Library, quello Leicester è stato acquistato nel 1994 da Bill Gates, co-fondatore e chairman di Microsoft.
Gates ha acconsentito alla pubblicazione digitale del Codice Leicester, ma solo per una durata di 6 mesi e in cambio della possibilità da parte di Microsoft di utilizzare gli spazi della British Library per il lancio della nuova piattaforma di Windows.
Da ciò ne consegue che entrambi i manoscritti sono ora accessibili online dagli utenti di Vista, tramite un software sviluppato dal museo e sponsorizzato da Microsoft.
Molte le polemiche, come potete immaginare.
Martin Kemp, professore di storia dell’arte alla Oxford Unversity, si è dichiarato sorpreso nell’apprendere che anche il Codice Arundel è disponibile online solo per chi possiede le versioni più avanzate del sistema operativo Microsoft.
Impedire l’accessibilità dei contenuti non solo agli utenti Mac, come me, ma anche agli stessi user di Windows 2000 e Windows Xp, non mi sembra una mossa etica, trattandosi oltretutto di un’iniziativa culturale di portata mondiale e rivolta – in teoria – ad un largo pubblico.
Il bello è che nel comunicato stampa della British Library si annunciava l’iniziativa elogiando Microsoft quale “worldwide leader in software, services and solutions that help people and businesses realize their full potential”…