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Can he swing on a web, no he can’t, he’s a pig

Volano le renne di Babbo Natale, la stella cometa, la Befana, gli angioletti, il folletto Jack Frost, che stanotte ci ha lasciato un bel po’ di brina… ma ieri, tra le colonne della Battersea Power Station volava qualcos’altro…

Battersea non è solo un esempio di architettura industriale, ma un simbolo.
La più grande centrale elettrica del Paese, fu costruita a sud del fiume negli anni Trenta e la sua massiccia struttura in ferro e mattoni, corollata da quattro imponenti ciminiere, a forma di colonne bianche, racchiudeva una potentissima turbina a vapore. Abbandonata e negletta dalla fine degli anni Settanta, Battersea è oggi un’affascinante rovina, dal futuro incerto. Se non è stata demolita come tanti altri edifici, lo si deve anche al fatto che la sue linee moderniste, da cattedrale dell’industria, oltre ad interessare gli studiosi di architettura, da tempo attraggono gli appassionati del rock. E’ proprio Battersea Power Station l’edificio immortalato dai Pink Floyd, nel 1977, come immagine di copertina dell’album "Animals".
Nella suddetta cover, tra le bianche ciminiere, si librava un maiale gonfiabile. 

animals

Durante la sessione fotografica per la realizzazione dell’album, si verificò anche un incidente: il suino pneumatico ruppe il cavo che lo teneva ancorato a terra e si librò nel cielo, fino ad interferire con le rotte aeree per Heatrow e creare il caos!
Da un trentennio Battersea è i Pink Floyd. Qualunque turista utilizzi un treno che passa per Victoria (come il Gatwick Express) non può ignorare le grandiose vestigia di questo edificio e, se vagamente appassionato di rock-progressive, far riferimento al binomio.
Tuttavia ieri, chi passava di là, avrà pensato anche ad un’allucinazione o ad un déjà vu. Infatti, c’era davvero un maiale gonfiabile tra le ciminiere della centrale, proprio come su quella copertina di tanti anni fa. Ma non era un maiale qualsiasi: era Spiderpig, il pork addomesticato, protagonista dell’ultimo film dei Simpsons.

spiderpig

Per l’uscita del DVD, la Fox ha pensato bene di ispirarsi ai Pink Floyd e liberare nel cielo un gigantesco Spiderpig gonfiabile, che ha gongolato nell’aria fredda londinese per tutta la giornata, guardato a vista da un addetto del Special Air Service Regiment, pronto a sparare e abbattere il pupazzo svolazzante, in caso di fuga.

battersea spiderpig 

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Cold Wind

brmc

Fa freddino nella notte londinese, ma nulla passa attraverso il giubbotto di pelle e il berretto di lana. Un’impercettibile ronzio nelle orecchie, voglia di raccontare qui, prima che le impressioni si perdano. Sono reduce dal concerto dei Black Rebel Motorcycle Club alla Roundhouse ed è stata una bella performance, superiore alle mie aspettative e protrattasi per oltre due ore.Più di un centinaio di minuti elettrizzanti, l’acustica tagliente e la coreografia scarna, lo shoegazing e i giri di basso sporchi, da cantina. Qua e là suggestioni che ricordano i Jesus & Mary Chain, sebbene più rock’n’roll…ma in fondo, che male c’è?Tra un brano e l’altro mi sono soffermata a guardare l’architettura particolarissima della Roundhouse, con le 24 colonne di ferro e gli archetti svettanti a sostenere il tetto rotondo, un capolavoro dell’ingegneria civile vittoriana. L’edificio ne ha viste delle belle in 161 anni di storia. Utilizzato in origine come rimessa per locomotive, nel 1869 divenne un deposito di gin, per la ditta W S Gilbey. Successivamente, verso il 1940, cadde in disuso e infatti, quando Geoffrey Fletcher ne scrisse, nel 1962, nel libro "The London Knobody Knows", la Roundhouse era ormai un vuoto scheletro, malinconica testimonianza dei fasti delle ferrovie fin de siècle. Tuttavia, sul finire degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta, lo spazio venne reimpiegato come sala da concerti e laboratorio artistico. Vi suonarono Otis Redding, Jimi Hendrix, i Doors, i Led Zeppelin e i Pink Floyd. Vi furono rappresentate tragedie di Shakespeare e opere liriche, vi lavorarono anche Julien Beck con il Living Theatre e attori del calibro di Vanessa Redgrave ed Helen Mirren. Dopo oltre due decenni di decadenza e abbandono, nonché numerosi tentativi di acquisto e restauro mai concretizzati, finalmente l’edificio è stato ristrutturato e convertito in centro multiculturale. Un esperimento felicemente riuscito.Mentre i B.R.M.C. si esibivano in schitarramenti e distorsioni amplificate, pensavo a tutto quello che è passato sotto al tetto conico della Roundhouse, dalle locomotive ai barili di gin, dai figli dei fiori agli amanti del teatro, e mi sembrava di vedere emergere dalla nebbia quegli ingegneri vittoriani, col cilindro e i basettoni, e quegli operai accaldati nelle fonderie del nord, intenti a forgiare colonnine e volute, tutti fieri di far parte della rivoluzione industriale e del progresso. 

roundhouse 

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“London is drowning/And I live by the river”

Giorni fa è venuta giù tanta acqua, ma tanta, che il cielo era nero e a mezzogiorno sembravano le cinque di un pomeriggio di mezzo inverno. Sabato, invece, il sole splendeva, ma giusto il tempo per un’occhiata a dei kimono d’artista e una bibita a C’est Ici! che io e il Di Garbo siamo rimasti bloccati mezz’ora da un improvviso acquazzone. Pioveva ancora quando in serata mi sono recata al redivivo Millennium Dome, che ora si chiama O2, come la formula dell’ossigeno diatomico, o come un noto operatore di telecomunicazioni, fate vobis. La tenda-mostro con le zeppe ha riaperto i battenti come centro di intrattenimento multifunzione. Un passaggio coperto la connette alla stazione dei taxi, dei bus e della metropolitana. All’interno bar, ristoranti, cinema multisala, uno spazio per le mostre (che prossimamente ospiterà King Tut ) un’area concerti da 2.300 posti e l’Arena stessa, da 20.000. Quest’ultima l’ho testata per voi, assistendo al concerto pop senza chitarre dei Keane, anch’essi redivivi, dopo che lo scorso anno avevano dovuto interrompere il tour perché il cantante si era chiuso in clinica per problemi di droga (e Liam Gallagher, frontman degli Oasis, dall’alto dei suoi abusi criticò la scelta come poco rock’n’roll). Concertino carino, condito da vista spettacolare da vertigini, belle luci, simpatici effetti e acustica di qualità – trattandosi comunque di una tenda. 
Ma, intanto, piove, e la pioggia viene giù, anche ora, mentre vi scrivo, mettendo le mie manacce sulla nuova creatura, un MacBook bianco, con il corpo da giovine e la memoria da vecchio.
Ho deciso che lo chiamerò Mac Senjiro Shiba, come il padre di Hiroshi in Jeeg Robot (non so se siete pratici di cartoni giappi anni ’80), perché costui aveva riversato la sua coscienza in un elaboratore elettronico, e così non era proprio morto.
Come il mio defunto computerino, che non è proprio morto, perché la sua memoria mi parla ancora, da uno schermo più largo.
In terra angla piove ormai da un mese, e tutti si lamentano e un sacco di zone sono alluvionate. 
La mia abbronzaturina italiana si è ormai sbiadita, cammino ingiacchettata come a ottobre e non riesco proprio a credere che a due ore e mezzo di aereo da qui possa esserci della gente sudata, accaldata, avvinghiata al condizionatore, sbragata sul bagnasciuga, colpita dalla sete e dalla calura, che si lamenti del clima e dell’effetto serra. 
Anche qui ci si lamenta, sì, ma perché l’acqua è ormai alle porte di casa e quella del rubinetto bisogna bollirla e pure nel museo ci piove dentro. E l’Evening Standard dice che Londra non è al sicuro, che domani pure il Tamigi strariperà, perciò si salvi chi può.

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À Rebours

Non avrei mai pensato che la mia giovinezza fosse ormai datata…magari un pochino vintage, ma certo non da museo o retrospettiva. Eppure, in soli 2 giorni, mi son rivissuta infanzia e adolescenza, tuffi al cuore e mille ricordi provocati da brandelli di storia esibiti in una vetrina o appesi al muro con una targhetta vicino!
Ieri, ad esempio, sono stata con una mia amica al V&A Museum of Childhood. Il pretesto era quello di vedere la mostra di incisioni di Picasso, poi però abbiamo passato ben 2 ore ad entusiasmarci tra giochi e giocattoli di altri tempi.
C’era un pò di tutto, bambole del settecento, orsetti di pezza vittoriani… ma anche cose più recenti, come i playmobil, il meccano, il piccolo chimico, i pupazzetti della fisherprice, il mastermind e… 

kermit
Kermit!
Oggi, invece, sono uscita da lavoro che c’era il sole ed ho pensato che era un peccato tornarsene subito a casa, perciò mi son fatta una passeggiata fino all’ICA, per andare a vedere una mostra sull’Inghilterra Tatcheriana dal titolo: The Secret Public (The Last Days of the British Underground 1978 – 1988).
Girovagando tra grafica, fotografie, installazioni e video, ho trovato e ritrovato alcune chicche, come le lastre incise da Peter Saville per la stampa della copertina del disco dei Joy Division (quando il binomio vinile/arte era ancora possibile), un filmato dei Duvet Brothers con la colonna sonora dei New Order [che mi son vista 2 volte con cuffie premute sui timpani] e un video documento di Hey! Luciani: The Life and Codex of John Paul I, opera teatrale con testi e musiche dei The Fall messa in scena nel 1986 (ho ancora il 45 giri di quella canzone).
E a vedere il video ho pensato che sì, anche se non ho mai suonanto la chitarra, a 18 anni ero proprio come Brix Smith, acerba, platinata, nera e borchiata!
Prima di lasciare la galleria, mi sono fermata a leggere i frammenti di vita narrati nella ormai polverosa installazione di Stephen Willats, Living like a Goya (1983). Quelle facce gothic nelle foto potrebbero essere degli amici perduti, quei pizzi e quelle collane sono gli stessi che vorrei ancora portare, che comunque non riesco a buttare. Perchè se il guardaroba si è colorato nel tempo, il nero è ancora una dominante, un lascito difficile da ignorare, un’impronta nel cuore.
Il succo di anni vissuti contro, arte e vita confusi assieme, come in un gioco, l’ho scoperto in questa frase:
"I look a lot better if I’m really dressed up and you can become more outrageous in every way and you seem to be able to get away with doing more things when you’re dressed up as well…"