Il curioso collezionismo di Sir Thomas Browne

Thomas Browne era nato a Londra il 19 ottobre del 1605, nella parrocchia di St Michael a Cheapside. Dopo aver studiato ad Oxford, Padova, Montpellier e Leiden, si era laureato in medicina ed aveva fatto ritorno in Inghilterra. Nel 1637 si trasferì a Norwich, dove praticò come medico fino alla sua morte, avvenuta nel giorno del suo settantasettesimo compleanno, nel 1682.
Browne non fu solo uno stimato medico nella seconda città del Regno, ma un fertile autore ed uno studioso dalla curiosità insaziabile. L’educazione europea a cui era stato esposto, lo aveva avvicinato alle teorie più nuove nella pratica medica, e lo aveva formato all’anatomia e alla dissezione. Il suo primo lavoro, Religio Medici (stampato nel 1642, ma scritto nel 1635), divenne praticamente un best-seller dell’epoca e fu tradotto in un gran numero di lingue, anche in italiano. Lo si può considerare una forma di autobiografia spirituale, in cui lo scetticismo dell’uomo di scienza convive con la fede personale, così che il medico viene scagionato dall’accusa di eresia ed i valori protestanti sono difesi, a ricomporre fragilmente quella che sembra ormai l’insanabile frattura tra scienza e religione, in un momento storico in cui correnti settarie dividevano le coscienze. Per i suoi contenuti, l’opera finì nell’elenco papale dei libri proibiti.

In uno studio successivo, Pseudodoxia Epidemica (pubblicato nel 1646 e poi ripubblicato in cinque nuove versioni), Browne passò in rassegna gli “errori volgari”, cioè tutte le astruse credenze popolari circolate fino ad allora sul mondo naturale.
Browne esamina sistematicamente tutti i fatti e le curiosità sul mondo naturale, sulla storia e sulla religione, che erano stati traslati dalla saggezza popolare alle eminenti pubblicazioni scientifiche. Browne, homo novus, amante della libertà di pensiero, si affida a due strumenti: la ragione e l’esperimento. Deduzione o induzione lo guidano nell’opera di smantellamento di sciocche o buffe teorie, come quella che vede l’utilizzo di un martin pescatore morto, appeso ad una corda, quale mezzo per indicare la direzione del vento.
Lo studioso non mancò di interessarsi quasi ossessivamente alla natura, tanto che nell’opera The Garden of Cyrus (1658), arrivò a formulare un ordine ideale, un’idea platonica delle forme, secondo la disposizione a Quinconce, cioè delle cinque unità raffigurate nei dadi o nella monetazione degli antichi romani o ancora nel misticismo pitagorico.
Thomas Browne è probabilmente l’unico, dopo Shakespeare, tra gli autori del XVII secolo, citati dall’Oxford English Dictionary, ad aver coniato tantissime parole insolite.
Browne fu un autore versatile, che nel parlare tanto di scienza quanto di religione, seppe esprimere concetti affascinanti, mediante un vocabolario infarcito di neologismi latini e greci.
Erudito, divertente, mai pedante, a lui si deve la creazione di parole o aggettivi ormai entrati nell’uso comune, tra cui: ambidextrous, anomalous, ascetic, coma, electricity, ferocious, medical e… migrant.
Fino al primo dicembre, si può conoscere meglio questo interessante scienziato, grazie ad una piccola, ma esaustiva mostra, allestita al Royal College of Physicians di Londra. Assieme alle edizioni delle opere di Browne, le teche raccolgono oggetti curiosi, un erbario ed altri materiali, tra cui lettere e quaderni manoscritti, che gettano luce sui diversi interessi del medico inglese e provano a ricostruire quella camera delle meraviglie, che era ospitata nella casa di Norwich. Una casa ed un giardino, che lo scrittore e diarista John Evelyn non esitò a descrivere come “un vero paradiso”, e che fu oggetto di visita anche da parte del re Charles II.
Oltre alla mostra londinese, che si inserisce in un progetto più grande, a cura della Queen Mary University, che mira all’edizione integrale delle opere di Thomas Browne, speciali celebrazioni si terranno a Norwich, domani, giorno di nascita e morte dello scienziato. Lo scopo è quello di raccontare la vita e le opere di uno studioso che fu sempre mosso dalla curiosità e dal desiderio di conoscere e comprendere il mondo che lo circondava, e che seppe rompere le barriere della comunicazione, trasmettendo, a chi lo circondava, le sue scoperte, in una lingua comprensibile a tutti.

Una mostra sulla Grande Peste di Londra

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Tra i vari centenari che cadono quest’anno, a Londra si ricordano anche i 350 anni dalla terribile epidemia di peste, che funestò la città nel 1665. La pestilenza, nota come the Great Plague, fu l’ultima grande epidemia di peste bubbonica ed uccise, in modo rapido e doloroso, circa 100.000 persone, quasi un quarto della popolazione londinese. Alla Guildhall Library, una mostra interessante, mette a disposizione del visitatore svariati documenti e volumi, tra cui i Bills of Mortality, le statistiche di mortalità settimanale di Londra, che servivano a monitorare le sepolture e, dal 161, venivano redatte dalla Worshipful Company of Parish Clerks, la corporazione degli impiegati parrocchiali. La City di Londra non era stata certo immune da episodi di peste, che ricorsero più volte tra la fine del XIV e la prima metà del XVII secolo. Infatti, c’erano stati ben 15 mini epidemie, di cui l’ultima, nel 1625, aveva causato parecchi morti. Tuttavia, la peste del 1665, causata dal batterio Yersinia pestis, ebbe effetti devastanti, anche sull’economia cittadina. Il morbo si diffuse velocemente nei quartieri più poveri di Londra, uccidendo, tra maggio e agosto, il 15% della popolazione. La parrocchia di St. Giles Cripplegate fu una delle aree maggiormente colpite. Chi ne aveva le possibilità, fuggiva dalla città, a piedi, cavallo o via fiume, in cerca di aree più salubri. Per lasciare Londra, bisognava mostrare un certificato di buona salute, rilasciato dalle autorità. Nel suo diario, Samuel Pepys offre un resoconto vivido delle strade vuote di Londra, e di come tutti quelli che potevano, se ne erano andati, nel tentativo di fuggire dalla peste. Anche la famiglia del celebre diarista trovò rifugio altrove, a Woolwhich, raggiunta in barca dal Tamigi. Le vittime della peste erano talmente tante che venivano sepolte in fretta e furia al di fuori delle mura cittadine, in fosse comuni, spesso non consacrate. Si stima che, sotto la stazione della metropolitana di Aldgate, ci sia una enorme fossa di vittime della peste, con più di 1.000 corpi. Nella mostra alla Guildhall Library, oltre alle statistiche e ai registri parrocchiali, si trovano anche libri di medicina e ricettari. Adesso sappiamo che la peste è di solito trasmessa attraverso il morso di un ratto o di una pulce infetta, ma nel 1665, c’era chi riteneva che  fosse stata causata dal passaggio nefasto di una cometa o che si trattasse di una punizione divina. I medici e i farmacisti, di cui l’80% pensò bene di fuggire, pensavano invece che la peste si dovesse a miasmi o a qualche oggetto contaminato proveniente dalla Francia o dall’Olanda. I rimedi anti-peste, atti a purificare l’aria o a tenere a bada il morbo, erano svariati ed eccentrici. Si va dai mazzolini di fiori da mettere sotto al naso, alle misture di erbe da annusare o masticare, tra cui ruta, tabacco, aglio, mirra, assenzio romano e zedoaria, ai portafortuna (Samuel Pepys teneva in tasca una zampa di lepre). Infine, le preghiere (San Rocco era il santo più invocato) e le cerimonie religiose, unica occasione di assembramento che non fosse stata abolita in città. Daniel Defoe, che nel 1722 pubblicò un Diario dell’anno della peste o La peste di Londra (A Journal of the Plague Year), aveva solo 5 anni quando si verificò la terribile epidemia, ma suo zio viveva e lavorava ad Aldgate e forse è proprio quel sellaio, indicato con le iniziali H.F., che nel romanzo narra le vicende in prima persona.
La Grande Peste è stato un evento inquietante nella City: uccise senza pietà migliaia di persone, e, unita al Grande Incendio dell’anno successivo, cambiò per sempre il volto di Londra.
London’s Dreadful Visitation: The Great Plague, 1665 è aperta alla Guildhall Library fino all’11 settembre. Ingresso gratuito.

Gli strani rimedi del dottor Sermon

Sermon, WilliamIl ritratto che vedete è quello di William Sermon, medico e inventore di pozioni, disegnato e inciso da William Sherwin nel 1671. Sermon è raffigurato in toga da dottore, all’età di 42 anni. Il medico inglese si era distinto per aver curato numerosi casi di peste a Bristol, nel 1666, e per aver trattato con successo il duca di Albemarle, George Monck, da un eccesso di liquidi, o idropisia, nel 1669. Il duca, riconoscente, provvide Sermon di un certificato, che, assieme ad una lettera del re Carlo II, gli garantì una laurea in medicina a Cambridge. Sermon si trasferì a Londra e divenne medico personale del re, dedicandosi anche alla pubblicazione di manuali medici su argomenti vari, dalla cura dell’idropisia alle pratiche ostetriche.
Un compendio, dal titolo ‘A Friend to the Sick, fu dato alle stampe nel 1673.  Nel volume, preceduto da esametri latini di P [Ayne] Fisher e da versi di elogio in inglese, scritti da vari amici, tra cui William Winstanley, Sermon dispensa consigli vari, con particolare attenzione alla cura di idropisia, scorbuto, e itterizia. Un raro esemplare, in ottime condizioni, di quest’opera, è riemerso dall’oblio in occasione dello sgombero di una soffitta in Derbyshire. In esso si trovano rimedi più o meno bizzarri: decotto di crescione e vino bianco per il mal di denti, mollica di pane fatto con cumino dei prati da applicare sull’orecchio dolorante, polvere di tabacco per sbiancare i denti (!), rondine carbonizzata nelle sue piume (sìc) e diluita in olio di ricino per curare le infezioni, e un più piacevole bicchierino di liquore per mandar via il mal di testa. Il nobile e onorevole dottor Sermon morì a casa sua, nella parrocchia di St. Bride, nell’inverno del 1679.  Il suo manuale, stimato sulle 500 sterline, sarà battuto all’asta da Charles Hanson Auctioneer, a Derby, il 24 ottobre.

Cervelli alla Wellcome Collection di Londra

Brains:The Mind as MatterSir Henry Solomon Wellcome (1853-1936) fu un pioniere nel campo farmaceutico e anche l’inventore dei medicinali da banco in comode pastiglie (fino al 1880 si trangugiavano solo pozioni, sciroppi e polverine). Nei suoi numerosi viaggi, aveva collezionato circa 125mila oggetti d’arte medica e curiosità varie, tra cui: lo spazzolino da denti di Napoleone, veneri anatomiche, giocattoli erotici giapponesi e una ciocca di capelli di Re Giorgio III. Alla morte, parte del suo patrimonio fu impiegato per la creazione di una società di investimento, dedita alle ricerche in campo biomedico, bioetico e tecnologico, con l’intento di finanziare progetti di ricerca e training. Il Wellcome Trust è anche responsabile del mantenimento della collezione di Sir Henry. Questa mistura particolare, fatta di dipinti, libri, disegni, fotografie e oggetti vari, ha trovato collocazione in un bel museo, al 183 di Euston Road. La Wellcome Collection è uno spazio originale, totalmente gratuito, con tre sale espositive, una fornita biblioteca, un auditorium, un caffè, più guardaroba, libreria e connessione wi-fi. Oltre alla mostra permanente, focalizzata sulla storia della medicina tra ieri e oggi e sulle attività di ricerca del Wellcome Trust, ogni anno si organizzano interessanti esposizioni ed eventi, in cui medicina e arte dialogano assieme. Per chi non è troppo suscettibile, fino al 17 giugno, è in mostra un affascinante escursus sul cervello.

Brains: The mind as matter ci dimostra come, in un’era in cui la scienza sembra aver spiegato quasi tutto, il cervello è ancora un organo, non solo unico e insostituibile, ma assolutamente da esplorare. E’ di certo la forma biologica più complessa dell’universo e la mostra, attraverso oggetti, foto, dipinti, sculture, filmati d’archivio, manoscritti e autentici cervelli sotto vetro (tra cui quelli di un delinquente, una suffragetta e persino un frammento della materia grigia di Einstein!), mira proprio a decifrare i segreti di quest’organo meraviglioso. All’esposizione, fa da corollario una folta serie di eventi, proiezioni, conferenze e dibattiti, dalla neuroscienza, alla psichiatria, all’arte. E’ anche disponibile un videogame, il cui obiettivo è la crescita veloce di sinapsi e connessioni neuronali.