La Londra di Samuel Pepys

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Il Seicento fu un secolo turbolento per l’Inghilterra. Tra la Guerra Civile, il regicidio di Carlo I (1649), la Repubblica di Cromwell, il ritorno di Carlo II dall’esilio in Olanda (1660), le dispute sulla successione sfociate nella Gloriosa Rivoluzione e l’ordine ristabilito nel 1689, si vennero a creare importanti sviluppi costituzionali e le premesse per un Paese moderno, democratico e protestante. Oltre a questi rivolgimenti politici, Londra fu vittima di due eventi devastanti: la Grande Peste del 1665 e il Grande Incendio del 1666. La prima, decimò quasi un quinto della popolazione, il secondo distrusse i due terzi della città, inclusa la cattedrale di St. Paul. Il Seicento, fu anche l’epoca in cui, tra gli scrittori famosi, oltre a poeti e commediografi, si possono annoverare prosatori come filosofi e diaristi, promotori di un linguaggio chiaro e razionale, desunto dalla scienza. Tra i diaristi, assai numerosi nel XVII secolo, sono due quelli che hanno narrato, inframezzati alle loro vicende personali e di vita quotidiana, fatti salienti dal punto di vista storico: John Evelyn, uno dei fondatori della Royal Society, e Samuel Pepys, politico e funzionario navale. Sebbene entrambi abbiano raccontato della Peste e del Grande Incendio, il diario di Pepys, ha superato per fama quello suo contemporaneo, responsabile di un lavoro più sobrio, e, in gran parte meno, personale. Per dieci anni, dal 1660 al 1669, Pepys scrisse sulla sua vita in gran dettaglio, e, inevitabilmente, finì per dipingere un ritratto della sua città e un memoriale della Restaurazione. Il diario contiene vivaci descrizioni di come la Peste e il Grande Incendio avessero devastato Londra, ma è anche strapieno di dettagli sugli spostamenti quotidiani di Pepys, che mostra sempre grande interesse e curiosità per tutto ciò che accade intorno a lui.  Figlio di un sarto, Samuel Pepys era adolescente quando il re Carlo I fu decapitato, e, appena ventisettenne, quando si trovava a bordo, assieme a suo cugino, Edward Montagu, della nave che riportava Carlo II in Inghilterra. Nel suo ruolo di funzionario navale e segretario dell’ammiragliato di Sua Maestà, ebbe accesso a corte e nei circoli politici più influenti in città. Pepys dovette la sua carriera, così come la sua istruzione, al talento e al duro lavoro.  Appassionato bibliofilo (alla sua morte lasciò una vastissima raccolta di volumi), musicista e cantante dilettante (suonava diversi strumenti, esibendosi in casa, in taverne e coffee houses e persino a Westminster Abbey), si interessò anche di astronomia e scienza, acquistando via via strumenti ottici e matematici. Quello che del diario di Mister Pepys attrae ancora oggi il lettore moderno è il fatto che in esso si mescolino mirabilmente e con sottile ironia affari di stato e dettagli domestici. Pepys scrisse praticamente di tutto, dalla vita a Corte alle sue scappatelle con le attrici di teatro, dallo stato delle finanze personali all’acquisto di un nuovissimo orologio dotato di sveglia, dalle serate con gli amici, rallegrate da vino e musica, ai battibecchi con la moglie e al gatto che lo teneva sveglio all’una del mattino. Forse, uno degli episodi più celebri, è quello che, il 5 settembre 1666, vede il protagonista scavare una buca in giardino, per mettere in salvo dal Grande Incendio documenti e una forma di prezioso parmigiano (!). Pepys spesso conclude la sua scrittura per la giornata con la frase “And so to bed” (e così a letto), che a volte si usa oggi in modo umoristico. Il diario si interrompe, dopo un decennio ed oltre tremila pagine, nel 1669, quando l’autore, preoccupato di perdere irrimediabilmente la vista, decide di smettere di scrivere a lume di candela, non ritenendo peraltro opportuno affidarsi alla dettatura di contenuti così personali. Vivrà ancora altri trentaquattro anni, senza divenire cieco e senza riprendere a scrivere le sue memorie. Il diario, redatto in una forma di stenografia, nota all’epoca, resterà nascosto tra i volumi della biblioteca di Pepys fino a quando, nel 1825, il reverendo John Smith riuscirà a dare alle stampe una traduzione, costatagli tre anni di duro lavoro (essendo ignaro che, la chiave di decodifica del sistema stenografico, era stata lasciata da Pepys in uno dei suoi volumi). La versione completa dell’opera fu pubblicata solo nel 1970, da Bell & Hyman. Infatti, le pubblicazioni vittoriane erano scevre dai passaggi più scandalosi, quelli che includevano le relazioni extraconiugali di Pepys e i dettagli più piccanti delle sue avventure, che il diarista annotava con cautela, mescolando all’inglese, parole in francese e italiano.
Da oggi, una mostra su Samuel Pepys al National Maritime Museum cerca di restituirci una visione ampliata del personaggio e della sua epoca, al di là delle vibranti pagine del diario. Si potranno ammirare gli strumenti musicali di cui Pepys amava servirsi (scoprendo ad esempio com’è fatta una tiorba), i ferri chirurgici che un dottore, come Thomas Hollier, avrebbe usato per operare Samuel di dolorosissimi calcoli alla vescica (e senza anestesia), i ben noti registri parrocchiali che elencavano, tra teschi e ossa incrociate, il triste record dei morti di peste, un’evocazione audio-visiva dell’incendio del 1666, i telescopi che aiutavano a guardare lontano, nonché uno dei più famosi ritratti del diarista, dipinto da John Hayls, seguace di Van Dyck. Pepys cominciò a sedere per questo ritratto il 17 marzo del 1666. Lo scrittore quasi si ruppe il collo, costretto com’era a guardarsi sopra le spalle, per mantenere una postura adatta ad ottenere un quadro pieno di ombre, così come dettava la moda del tempo. In mano, il diarista tiene una lirica di Sir William Davenant, “Beauty Retire”, musicata da egli stesso, di cui un esempio si può anche ascoltare qui.

“Samuel Pepys: Plague, Fire, Revolution” è al National Maritime Museum fino al 28 marzo 2016. Alla mostra si accompagna un fitto programma di conferenze, visite guidate e anche una serata con musiche e danze seicentesche, degustazioni di rum e letture dal celebre diario.

Inoltre:

Il diario di Samuel Pepys si può consultare online, in formato weblog;

Una versione italiana del diario è stata pubblicata recentemente, anche in formato ebook, da Castelvecchi editore;

Da gennaio 2016, una speciale Instawalk, anche in italiano, guiderà i partecipanti alla scoperta dei luoghi di Samuel Pepys, permettendo loro di rivivere il passato e sperimentare nuovi approcci di fotografia mobile.
Info: citywalkslondon@gmail.com.

St. George’s Gardens

St. George's Gardens  ©London SE4

St. George’s Gardens ©London SE4

Alle spalle del Foundling Museum, e proprio a due passi dalle strade trafficate di Bloomsbury, si trova un angolo silenzioso e meditativo. St. George’s Gardens è un piccolo parco, racchiuso da mura e vetusti edifici, che, a sud, demarcano il confine tra la parrocchia di Bloomsbury e quella di San Giorgio martire. Le pietre tombali lungo le pareti e i monumenti funebri sparsi nel giardino, tradiscono la destinazione originaria del terreno e contribuiscono a dare al luogo un senso di tranquillità e vago romanticismo. Durante il regno della Regina Anna (1715) i tre acri di terra vennero destinati a luogo di sepoltura per i parrocchiani di due nuove chiese, costruite nel quartiere di Bloomsbury – St George the Martyr, in Queen Square, e St. George Bloomsbury. Il cimitero fu progettato da Sir Nicholas Hawksmoor, e rimase in funzione fino al 1855. Dopo un periodo di abbandono, in tarda epoca vittoriana, l’area fu trasformata in un giardino pubblico, affinché potesse fungere da ‘salotto all’aperto’ per i residenti delle vicine case popolari.

Tra le centinaia di parrocchiani sepolti qui, si annoverano alcuni personaggi degni di nota. Il primo ad essere tumulato nel  cimitero, proprio nel 1715, fu Robert Nelson, filantropo e commissario per la costruzione delle nuove chiese. Per incoraggiare gli altri a seguire il suo esempio, si fece costruire un bel monumento funerario, sormontato da un’urna, forse su progetto di Hawksmoor. Oggi è il più importante monumento nei giardini. Ma anche Anna Cromwell, nipote di Oliver Cromwell, e moglie del medico Thomas Gibson, fu sepolta in una bella tomba, decorata con lo stemma di famiglia. Mori, senza eredi, nel 1727 e riposa accanto alle spoglie del marito. St George’s Gardens fu anche l’ultima dimora di Zachary Macaulay, figura di primo piano nella campagna per l’abolizione della tratta degli schiavi e governatore di una colonia di schiavi liberati in Africa. Egli morì nel 1838, cinque anni dopo che la schiavitù fu finalmente dichiarata illegale.Tra i monumenti interesanti, segnaliamo anche un obelisco, eretto da Thomas Falconer, nel 1729.

Al cimitero di St. George si lega anche il primo atto d’accusa per furto di cadaveri. Nel 1777  il becchino John Holmes, e il suo assistente Robert Williams, furono chiamati in giudizio davanti a Sir John Hawkes, con l’accusa di aver trafugato il corpo di Jane Sainsbury per rivenderlo a scopi scientifici. Williams era stato fermato nella zona di King’s Cross con un sacco voluminoso. Alla richiesta di indicare cosa ci fosse dentro, aveva risposto: “Non lo so”. Al giudice fu riportato che nel sacco venne trovato il corpo di una donna, piegato a forza con delle corde: le mani erano dietro la schiena e la testa tra le gambe. Oltre che per questa storia macabra, i St George’s Gardens sono rinomati dal punto di vista botanico. Infatti, nella parte ovest, vantano una larga selezione di felci autoctone e aliene, la più importante nel centro di Londra. Iscritti al Registro dei parchi e giardini storici, con Grado 2, e tuttora terra consacrata, i giardini rappresentano ormai una realtà molto amata e ben custodita dai residenti della zona.