La foto accattivante che pubblichiamo oggi, proviene dal Museo di Londra ed è attualmente in mostra in quello di Wandsworth. Rappresenta uno stand delle Suffragette al Salone delle Donne, tenutosi nel 1909 al Prince’s Skating Rink, una pista di pattinaggio su ghiaccio, non piu’ esistente, nei dintorni di Knightsbridge. La foto fu scattata da Christina Broom, considerata, a ragione, la prima fotogiornalista della storia inglese. Agli inizi del Novecento, la Broom aveva acquistato una macchina a cassetta e aveva appreso, da autodidatta, i rudimenti della fotografia. Dal 1908 al 1913, Christina seguì con interesse il movimento delle suffragette, scattando numerose foto, durante manifestazioni, marce ed altri eventi. Questa, in particolare, è stata scelta per Portrait of London, una mostra di oltre 60 immagini storiche, provenienti dagli archivi del Museum of London e del Wandsworth Museum. Tra le varie immagini esposte, si trovano anche un’iconica visione di Trafalgar Square, realizzata da Roger Fenton, nel 1857, e la foto più antica di Londra, scattata nel 1839. La mostra include anche una selezione di immagini storiche del quartiere di Wandsworth, incluse le zone di Balham, Battersea, Putney e Tooting. Queste fotografie, relative al periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, non erano state esposte da lungo tempo e sono state ‘ripescate’ dagli archivi per l’occasione.
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I ritratti di Lucian Freud
‘Ho sempre voluto creare dramma nei miei quadri, è per questo che dipingo la gente. Si tratta di persone che hanno portato dramma alle immagini fin dall’inizio. I più semplici gesti umani sanno raccontare storie.’
Quando Lucian Freud morì, nel luglio scorso, tra tutte le immagini che costellavano articoli, memorie e necrologi, questa fotografia, scattata dal suo assistente di lunga data David Dawson, fu quella che mi colpì di più e che, forse, seppure in maniera teatrale e simbolica, raccontava meglio del carattere e del genio dell’artista appena scomparso. Una luce caravaggesca illumina il pittore nel suo studio e lo fa apparire come un arcere, intento a scegliere accuratamente i dardi, strumenti della sua arte. Freud è un’uomo anziano, la luce ne descrive oggettiva le linee e le grinze del corpo, proprio come lui seppe ritrarre le nudità e le forme di tanti suoi soggetti, senza scusanti né abbellimenti superflui, con una lucidità analitica a volte spietata, perché la pittura si facesse carne, e la carne rivelasse un’anima.
Sulle pareti, i pavimenti, la porta e la sedia, si assiepano con furia strisce multicolori, pastose e indurite. Freud non usava una vasta gamma di tinte, al massimo otto. Tolto il tappo ai suoi colori, non lo rimetteva. Lasciava seccare l’ultimo grumo di pittura e, per ricominciare a dipingere, picchiava il tubo contro una superficie dura, la prima che gli capitasse a tiro. Un rituale. Lungo oltre quaranta anni. Come tanti altri, quando dipingeva. La tavolozza che non veniva mai pulita, il telefono che suonava lontano giù da basso, e lui che lavorava lentamente ai suoi ritratti, in piedi, lo sguardo febbrile e indagatore su corpi in posa, la presenza silenziosa e fidata del suo levriero nella stanza. Quel levriero che oggi resta quieto, acciambellato accanto al corpo nudo dell’assistente Dawson, nell’ultima tela che Freud non è riuscito a terminare. Omaggio ad un’amicizia e ad un rapporto di lavoro leale e costante, pennellate interrotte in un quesito, destinato a restare insoddisfatto, che percorre la tela dal basso in alto, fino allo spettatore. “Portrait of the Hound” è in mostra da oggi, assieme ad oltre 100 lavori di Lucian Freud, alla National Portrait Gallery. Una vita affascinante ed intensa, raccontata in pittura, piuttosto che in forma di asettica retrospettiva biografica.
Bright Light, Dark Room


eleventypes

Giorno libero e pioggerellina fina che viene giù intermittente. Per uscire mi metto la magliettina vintage, quella bianca anni sessanta, con le paillettes madreperlate, e la sciarpa di seta svolazzante, da morte del cigno. Pranzo a South Kensington con l’amica americana e quella francese per discutere di un progetto professionale. Siamo ancora in alto mare, la francese finché non vede non crede, l’americana punta ottimisticamente sulla vision, mentre io la butto sul pragmatico. Staremo a vedere, comunque il brunch era molto buono e il padrone della crêperie ci ha anche offerto una sua creazione omaggio, la crespella col cioccolato bianco e le fragole. L’amica americana mi ha poi invitato a casa sua. Ci dovevo restare una mezzoretta, ma chiacchiera chiacchiera si son fatte le 6! Questo non mi ha impedito di recarmi in centro per le commissioni improrogabili che avevo programmato, nonché avventurarmi fino a Old Street per un vernissage.
La galleria straripava di gente e sembrava un vagone della tube nell’ora di punta. Mi sono intrufolata, ma non riuscivo a vedere le opere, solo spalle, mani gesticolanti, visi accaldati e bicchieri di vino sgocciolanti, branditi qua e là mentre si chiacchierava d’altro. Sono uscita quasi subito, per evitare la claustrofobia. Tuttavia non è stato un viaggio a vuoto. Infatti ho incontrato uno dei dieci fotografi internazionali selezionati da Aaron Schuman per Saatchi magazine, felicissimo della recensione che avevo scritto su di lui il mese scorso. E ho anche scoperto che, sul blog d’artista, non solo ha linkato il pezzo, ma lo ha trasformato, sovrapponendo 11 righe ad uno dei suoi bellissimi lavori…


