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Ogni fine è un inizio

east08
Mi lascio alle spalle una Pasqua speciale e anche un pò surreale. 
Non sono andata in vacanza (al contrario, ho lavorato), non ho consumato colombe, pastiere e affini, non ho fatto gitarelle fuori porta, tuttavia le sorprese non sono mancate.
Come recarsi alla Tate Modern, di prima mattina, con il sole e il vento tagliente, per seguire ancora le crepe infinite sul pavimento della Turbine Hall e intraprendere un viaggio giocoso tra provocazioni dadaiste, rayografie e macchine inutili. E poi perdersi nelle vie ignote, tra Victoria e Westminster, tra un pub con la musica jazz e la grandine che viene giù, a sorprendere amanti senza ombrello e turisti sprovveduti. E dopo notti insonni, contemplare vetrine vuote, allestimenti bizzarri, che nessuno si ferma a guardare, o camminare felici sotto la neve che fiocca inaspettata di mattina, ristorandosi un pò al pallido sole del pomeriggio, mentre Italiani e Spagnoli gesticolano nei caffè.
L’ultimo album degli Editors, così bello e triste, che sa di cose perdute o che si perderanno, di rivelazioni ovvie e fragili, fa da colonna sonora alle mie peregrinazioni londinesi, accompagna la mia anima che, senza conoscere la destinazione, ma solo il viaggio, si rinnova tra vecchi e nuovi scenari, come quel pub poetico e nascosto in Windmill Walk, con le foto di Oscar Wilde e le conversazioni serie, i percorsi labirintini alla National Gallery, gli sguardi effimeri dei passanti o i giardini di Bloomsbury sferzati dalla pioggia e dal silenzio.
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Archivi mentali

bottle shop
 
Un weekend piovoso per riordinare le idee.
Farsela a piedi da SE4 a SE10, passando per Deptford, le strade assonnate ed umide, il cielo grigio e pesante, il mercatino di Greenwich con i mobili anni ’50, i dischi, il chioschetto dei panini e la bancarella con i vestiti darkettoni. E poi, perdersi nel mio negozio preferito, un archivio del tempo, tra bottiglie, scatole di latta e recipienti di ceramica.
La solitudine del parco fuori dalle finestre di un caffè insolitamente vuoto mi aiuta a mettere nero su bianco i pensieri che si affastellano nella mia mente. Fantasmi di un passato recente e di un futuro che, spero, possa diventare il mio presente. Riscrivo la mia vita, ma riparto da SE4. Il viaggio è metafisico. Stabilisco nuove regole, inauguro nuove abitudini. Amo il fiume, le gocce di pioggia, il volo dei gabbiani, i salici piangenti piegati sull’acqua, i tetti aguzzi delle case, l’odore di fish&chips.
Ormai la mia vita scorre qui.
 
cafe 
 
Credits:
The Old Bottle Shop, Unit 7, The Village Market, 17-18 Stockwell St., Greenwich.
Cow & Coffee Bean, Queen Mary’s Gate, Greenwich Park.
 
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La beauté n’est pas une figure imposée

wallpaper
Più vivo e meno scrivo, e mi dispiace un pò trascurare questo spazio. Ho delle giornate molto piene, sto vivendo una sorta di rivoluzione, una cesura tra ancien régime e quello che verrà.
Parte di questa rivoluzione è la nuova ricerca di una casa, che, ho fermamente deciso, sarà in SE4, perché amo questi luoghi. Lasciare la vecchia dimora mi dispiacerà un pò, ma cercarne un’altra è una sorta di avventura, con episodi più o meno frustranti e divertenti lungo il percorso. Al momento mi sembra che il mondo degli affitti sia monopolizzato da vegetariani intolleranti, e, francamente, pur avendo una dieta salutista e condividendo certi concetti, mi piace ancora (mea culpa) affondare occasionalmente la forchetta in un petto di pollo o mangiare pesce e patatine o farmi un panino col salame o col formaggio. Ma sono fiduciosa, qualcosa salterà fuori. Nel frattempo, le mie teorie si sono rivelate giuste. Sono appassionata di architettura e vita sociale vittoriana e avevo sempre intuito che la cucina della casa in cui ancora vivo fosse in realtà la camera della governante. Giorni fa abbiamo avuto un guasto alla lavatrice e spostare l’ingombro per controllarne eventuali difetti ha portato ad un’affascinante scoperta.
Sul muro restava un lacerto di carta da parati centenaria, con dei fiori delicati. Guardavo nel buco, con la pila in mano e sorridevo, come Amelie Poulain quando scopre che il tecnico delle photomaton non è un fantasma. Andrò via da qui, ma il mistero è finalmente svelato.
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Prospettive

jarman's cottage

Ultimamente, ho una vita frenetica, piuttosto stancante. Lavoro molto, perché l’arte appaga, ma non paga, e quindi bisogna provvedere alle bollette. Viceversa, dedico all’arte e al nutrimento del mio spirito ogni frazione di tempo libero che mi resta, tra un impegno e l’altro. Così, l’altroieri sono stata alla Serpentine Gallery per vedere la retrospettiva di Derek Jarman, curata da Isaac Julien. Julien è un artista e film-maker che stimo molto e ho avuto la fortuna di incontrare quando ero studente. Mi piacciono i suoi lavori, il modo in cui sa fondere pensieri, voci fuori campo, realtà dislocate, tra fiction e documentario. Nessuno meglio di lui poteva curare le opere di un artista tanto importante e pionieristico come Jarman. La mostra è davvero un’esperienza emotiva, per scoprire o riscoprire rari super-8, dipinti sperimentali e installazioni, attraverso una serie di ambienti ad immersione. Il tutto è tenuto assieme ed arricchito dagli interventi di Julien, come le foto scattate nel giardino del cottage di Dungeness o il film biografico "Derek", presentato qui per la prima volta. Dalle sensazioni amniotiche della Serpentine Gallery, alla luce di Hyde Park, il passo è breve, ma significativo. La morte e la vita, il passato e il presente, labili confini. Il sole che tramonta regala al parco e agli alberi ancora scheletrici delle tonalità da vecchia polaroid, rinnovando il senso di mistero e assenza vissuto poco prima. E oggi mi infilo nel London Review Cake Shop, il mio caffè preferito, per rilassarmi e scrivere. Vengo qui quando ho bisogno di leggere, creare, incontrare qualcuno davanti ad una tazza di tè. Nonostante le dimensioni ridotte, il locale, di solito, è tranquillo, specie in mezzo alla settimana. Qualche volta, però, capita che al tavolo di fianco si siedano due donne angle in carriera, con l’accento posh e l’entusiasmo isterico, tutto risatine e consonanti, gossips e questioni lavorativo-familiari. Figure un pò a metà tra i romanzi porcellane e crinoline di Jane Austen e certi film alla David Lean. Voci capaci di disturbare la quiete triste e pregnante di un breve incontro, per parafrasare, o la concentrazione di una mente fin troppo sollecitata (la mia). Donne che, devo dire, posso ringraziare per la produzione di questo post, e maledire per avermi impedito di recensire la mostra di Jarman. La deadline per l’articolo era oggi, ma per (s)fortuna quest’anno è bisestile…
 
© Photo: Isaac Julien, Derek 2008 – Courtesy of Norman Films & Serpentine Gallery 
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S’Wonderful

Old Blackfriars

Da qualche giorno il cielo è terso, e, anche se le temperature si sono fatte rigide, è piacevole stare fuori, avvolti da una calda sciarpa, ad esplorare il mondo. Fiori delicatamente sbocciati in anticipo, gialle giunchiglie ondeggianti al vento, ciclisti e gabbiani, bambini e nuvole colorate che si rincorrono nel cielo,  insolitamente azzurro. E così, mi è successo, eppure non ci pensavo. Mi sono innamorata, anzi, reinnamorata… di Londra.
L’ho realizzato l’altro ieri, quando, avendo del tempo da perdere, ho deciso di andare all’Institute of Contemporary Arts a piedi, da London Bridge, percorrendo la Southbank. Sarà stata la luce, il ritmo senza fretta dei miei passi, la combinazione perfetta della colonna sonora offerta dal mio lettore mp3, fatto sta che tutto mi sembrava nuovo e affascinante. I piloni rossi del ponte rotto di Blackfriars, con le spalle in ferro battuto, e le insegne della regina Vittoria, i lampioni con i delfini allacciati a imprigionare volti di barbute divinità fluviali, sabbia e sassi, il greto del Tamigi e le chiatte borbottanti, la Maison Tropicale di Prouvé davanti alla Tate Modern, e il “trompe l’oeuil” del Gabriel’s Wharf, con le pubblicità anni ’50 sopravvissute al tempo e all’umidità,  il mercatino deserto, la creperie e la galleria d’arte con i cuori.
gabriel's wharf
E poi, i ragazzini sugli skateboard, i pendolari frettolosi sull’Hungerford Bridge, le luci di Trafalgar Square. 
Ieri, invece, sono andata alla festa di addio del mio amico D., che se ne torna in Giappone. Il luogo prescelto per il leaving party era la sala superiore di un vecchio pub, in SE1. Mi sono avventurata in un labirinto di vecchi magazzini, fabbriche, piccole case dalle finestre appannate, palazzine moderne e anonime, un parchetto spelato, fino a trovare il Leather Exchange Pub, un glorioso edificio, sopravvissuto a bombardamenti e ristrutturazioni, ritto come un vecchio e fiero marinaio, tra il cemento e il nulla. 

La sala era molto confortevole, piena di carattere e atmosfera, risuonante di bisbiglianti ed educate voci orientali, la musica non troppo alta, un’idioma sconosciuto, il vino, la speranza di rivedersi, un giorno.

Ma senza tristezza.

leather exchange

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Geriatric Girls

Ho passato l’80% di questa giornata con ragazze di età superiore ai cinquanta. Mi sento un pò strana, ho come voglia di mettermi a fare il punto croce vicino ad un caminetto e parlare con l’accento che usava Celia Johnson in Brief Encounter. E’ il minimo che possa capitare a chi ha sentito persone attorno a sé parlare dell’inverno del 1947 come se fosse ieri, e che, forse, questo qui sarà proprio uguale.

Tutto è iniziato stamattina alla stazione di SE4, con la stupida macchinetta che mi poteva fare il return ticket per tutte le destinazioni londinesi, tranne che per il posto dove dovevo andare io, così ho dovuto battere la tecnologia e comprare un biglietto per la fermata prima. La stazione del Palazzo di Cristallo, se non ci siete mai capitati, è strana assai, specie a mezzogiorno di un lunedì di febbraio. 

Trattasi di capolavoro di blanda architettura vittoriana in stile semi-romanico/rinascimentale, con le arcate cieche tipo chiostro, in muratura rossa, e una marea di scale che salgon su. 
Arrivata in superficie ho chiesto ad un "History Boy" dov’era il roundabout, cioè la rotatoria per la strada che serviva a me. Il boy pensa che è di là, cioè a sinistra. Prendo subito trotterellando la discesa, ma più giù, della rotatoria, neanche l’ombra. Da un vicoletto sterrato sbuca all’improvviso una giovine confusa, ondeggiante sui tacchi a spillo. Le chiedo informazioni, visto che è l’unico essere umano nei paraggi. Lei gentile, dice biascicante che il roundabout è nella direzione opposta, cioè in salita. Poi mi batte 40p (60 centesimi di euro) con la scusa inverosimile che ha perso il borsellino sull’autobus. A questo punto mi viene in mente la tipica questua del drogato di turno sul treno in sosta a stazione Termini, non so se avete presente… ma è solo una visione temporanea, infatti devo serbare le energie per la salita… e che salita! Cammina cammina, e alleggerita di 40p, arrivo spompata a destinazione e suono il campanello della mia nuova cliente, una settuagenaria arzilla, che entusiasta mi offre il tè nella tazza floreale angla con un piatto di biscotti "digestivi" e mi tiene a chiacchierare per ORE. E mentre siedo sprofondata nel divano color malva, con un digestivo in mano e un sorriso ebete, mi viene in mente la turpe favola di Hansel & Gretel, ammaliati dalla nonnina nella casa di marzapane, col tetto di cioccolato. Aiuto! 
Ripiglio il treno alla stazione cattedrale, giusto il tempo di rincasare per rifocillarmi e poi ripartire alla volta del Kent per la lezione serale di Botanical Illustration. Dove continuo penosamente a stendere i miei colori come se fossero fanghiglia, mentre le nonnine tiran fuori delle tavole con delle nuances e delle pennellate da far invidia a Maria Sibylla Merian.

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Beating The Mid January Blues

blues
 
Questa, secondo gli psicologi, è la settimana più triste dell’anno, quella in cui ci si sente più infelici e scontenti.
Le feste e le luci natalizie sono ormai dimenticate, le risoluzioni per il nuovo anno miseramente naufragate, e ci si ritrova con le tasche vuote, mentre lo stress lavorativo mal si sopporta. A ciò aggiungiamoci pure gli andamenti non proprio eccellenti dei mercati finanziari, la pioggia, i virus influenzali, i governi che cadono… e l’amarissimo cocktail è ben riuscito.
Gli angli chiamano la depressione tipica del periodo "Mid January Blues" e, all’Università di Cardiff, eminenti luminari hanno addirittura definito una formula matematica per dare scientificità al sintomo:
 
[W + (D-d)] * TQ
______________
M * NA

– Laddove, W sta per Weather (clima), D per Debt (debito), d è il "money DUE in January pay" (ergo, lo stipendio a fine mese – notare che è minuscolo), T rappresenta il TIME (la distanza temporale dal Natale), M sta per MOTIVATIONAL LEVEL (lo stato emotivo) e NA per NECESSITY for ACTION (la necessità di agire). Q indica invece il "Time since failed QUIT attempt" (insomma, è il fattore fallimento, purtroppo sempre in agguato, specie nell’ambito dei propositi per l’anno nuovo).
 
A me gennaio non è che dispiaccia poi così tanto.
Innanzitutto la città torna ad offrirsi libera dalla frenesia e dalla confusione delle feste. Dovunque si vada, ci si può muovere liberamente e nei caffè, nei locali e nei cinema si trova un posto a sedere. Si, è vero, si sente nell’aria questo clima di malinconia, e si cammina di fretta lungo strade semi-vuote, percorrendo il grigiore dei marciapiedi senza neanche il conforto effimero di italici coriandoli o quel profumo struggente di frittura e zucchero, tipico delle frappe e castagnole (qui in anglia il Carnevale non esiste).
E però, se la routine quotidiana è sempre quella, è bello viaggiare con la fantasia o esplorare mondi paralleli.
Gli intricati ricami della giacca della signora che ci sta davanti in metropolitana si fondono mirabilmente alle note psichedeliche, selezionate random dal lettore mp3; i due francesi, appena “sbarcati” dall’Eurostar, che criticano stupefatti e gesticolanti le brodaglie di Starbàcs, fanno da sottofondo perfetto alle pagine del bel libro di Raymond Queneau; spesso, verso le quattro, il freddo cielo londinese si tinge di delicate striature rosa e i rami scheletrici degli alberi ci disegnano su infiniti arabeschi, dove è bello perdersi, mentre una gazza solitaria, dall’alto, se la ride, di noi e delle depressioni di metà gennaio.
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Penna e Calamaio

nibs
Per il nuovo anno niente inutili risoluzioni e propositi: mi condurrebbero solo nelle sabbie mobili del procrastinare, attività in cui, modestamente, so indulgere molto bene. Ho deciso di agire, per quanto possibile, secondo l’estro del momento, l’occasione da afferrare al volo, la to-do-list giornaliera, come il viaggiatore nel deserto mette un passo davanti all’altro, per raggiungere un’oasi di sosta e poi ripartire, e vento, sole e sabbia non lo sconfiggono.
Tre giorni fa ho comprato un quaderno di carta riciclata azzurrina e poi delle punte e degli inchiostri di china nuovi. Ho deciso di ricominciare ad usare il pennino in bachelite verde che comprai nella Ville Lumière, qualche anno fa.
Ieri sono andata al cinema Renoir a vedere la nuova (beh, almeno qui, lontano dal continente) pellicola di Jaques Rivette, "Ne touchez pas la Hache" (o "La duchessa di Langeais"). Un film ben riuscito, non solo grazie alla bravura dell’autore, ma anche al talento del cast, tra cui un figlio d’arte, Guillaume Depardieu, che niente ha da invidiare a suo padre.
Confesso di avere un debole per vestiti stile impero, indossati leggeri attraverso stanze dagli stucchi dorati, e conversazioni appropriate, recitate davanti ad un servizio di porcellana di Sèvres. Tuttavia, sono solita non fidarmi delle trasposizioni cinematografiche di romanzi che ho letto, perché, salvo rarissime eccezioni, tendono a deludermi. Eppure stavolta credo che anche il signor Balzac avrebbe approvato l’esperimento. Come è stato scritto su Le Monde, "’Ne touchez pas la Hache’ est un film brûlant sur l’amour douloureux, la passion qui aliène." Una passione di altri tempi, consumata tra ipocrisie e lusso, ma solo nel gioco di crudeli strategie mentali… Nemmeno lo sfiorarsi di due labbra in 137 minuti, eppure quanta suggestione e tormento in quei silenzi fatti di camere fisse e piani sequenza!
Ed ecco che oggi il cerchio si chiude, fuori programma, in un pomeriggio di sole inaspettato, con una mostra capace di stupire. "The Age of Enchantment", alla Dulwich Picture Gallery, segna il punto in cui gli artisti rinunciano alle restrizioni vittoriane per abbandonarsi ad una nuova estetica, dominata dal gusto per il fantastico. In uno dei più tumultuosi periodi della storia europea, la ricca società poteva permettersi di ignorare il caos e concedersi il lusso di raffinatezze esotiche, carte da parati dai racemi intricati, la monocromia delle illustrazioni di Beardsley e le ambientazioni oniriche di Edmund Dulac. Mondi infinitesimali, ricamati ad inchiostro nero india, fatti di bolle, petali, gemme e occhi di pavone, frammenti di stelle, donne fatali, creature infernali, favole e nursery rhymes. Miracoli di bellezza che solo la pazienza e un pennino intriso di china hanno saputo inventare.
artcine
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Stranded Xmas

nebbiaderka

Come in un terribile déjà vu, la nebbia è tornata, bella e spietata, e vi scrivo con un pò di desperation. Il mio volo delle 19.05 era previsto per le 23.30… Arrivata all’aeroporto ho trovato l’INFERNO! Il volo era stato cancellato (assieme a molti altri) e c’erano file chilometriche e inutili al ticket desk. L’opzione era restare nella terra di nessuno rischiando di farci nottata e di non partire più o avvalersi dei mezzi della tecnica per prenotare un posto. Dall’Internet Point, che mi si è mangiato svariati pounds, non è stato possibile, ma almeno ho scoperto che non c’erano posti fino al 26, nemmeno in prima classe, nemmeno su altri voli da altri aeroporti. Triste e sconsolata, mi sono rifatta il viaggio all’indietro verso casa e via telefono/internet in combinazione, sono riuscita a ottenere un posto su un volo di Santo Stefano. Devo però ritelefonare per conferma, non si sa mai, non mi fido.

Natale in SE4, dunque, da passare nel quartierino assieme agli amici, facendo buon viso a cattivo gioco. Sarà sicuramente un’esperienza e, chissà, molto probabilmente, il primo di una imprecisata serie di natali in terra angla, perché, a questo punto, ne ho piene le balle di stressarmi ulteriormente e restare a terra. 

                                                                                     Bah humbug

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Per vie traverse

coram cafe

Oggi pomeriggio, nel caffè vuoto che sembrava un salotto, con l’orologio antico, le luci alle finestre e fuori il buio da paese nordico, si parlava del più e del meno, di arte e di vita, ma anche di cose futili, come le chiavi di ricerca del blog. E’ incredibile scoprire quali strade inattese portino i naviganti alle nostre pagine, cercando, a volte, parole che non abbiamo mai considerato o frasi che non abbiamo mai scritto. Ecco una sintetica lista di quelle che ho trovato per SE4 nei mesi di novembre e dicembre 2007:

animali: tour della lumachina, cripta del canarino, coniglio gigante
esperti: fuliggine sulla schefflera, gaslight di dickinson t., incidente marc almond, que significa vicar in a tutu 
idee vaghe: la canzone che fa: e guardo il mondo da un oblò, quadri di jaques revoir
imprecisioni: londra guerrieri di pietra, la casa dei suicidi a londra indirizzo, museum figure cerume
internazionali: los simpsons, die simpsons
manualistica: come si veste una mamma alla laurea della figlia, frasi di augurio ad un cinquantenne
mispelled:storia pullman duble dacker, en y soi qui mal y pens, da napoli arrivo aeroporto stend street
natale: jingle bells in italiano preso dagli inglesi, come gli inglesi chiamano il presepe
occasioni: pizze da pittore francese vendita, riciclo chewing gum, occasioni di pappagalli parlanti in vendita
e come sempre…: chlamydia gola, dalì nudo, uomo nudo