La metro di Londra compie 150 anni

Lithograph of Baker Street Station

In piena epoca vittoriana, Londra era una città in espansione, ingolfata da un traffico tentacolare di cavalli e pedoni. La capitale aveva bisogno di un sistema di trasporto efficiente, che migliorasse la vita degli abitanti. Fu così che, il 10 gennaio del 1863, nacque la prima metropolitana del mondo.
La Metropolitan Railway era una linea merci e passeggeri che, tra la seconda metà dell’ottocento e i primi anni trenta del novecento, scaturiva dal cuore finanziario della capitale, per spingersi fino alle propaggini del Middlesex. Il tratto iniziale, inaugurato 150 anni fa, misurava circa 4 miglia (6 chilometri) e andava da Paddington a Farringdon Street. Il metodo iniziale di costruzione della Tube, impiegato fino alla fine del XIX secolo, consisteva nello scavare a fondo le strade lungo il percorso della linea;  una volta posti in opera i binari,  questa sorta di trincee venivano coperte da un poderoso tunnel di mattoni; infine, si provvedeva a ripristinare il manto stradale. Le carrozze del viaggio inaugurale erano di legno e illuminate a gas. Venivano trainate da locomotive a vapore, che rimasero in uso fino all’avvento del sistema elettrico, nel 1905.  La metropolitana di Londra è stato un punto di riferimento per investitori finanziari, progressisti sociali, designers, pionieri e riformatori. Ha rimodellato la città, riparato i londinesi durante i pesanti bombardamenti della Luftwaffe, e proseguito, tra alterne fortune economiche, politiche e tecnologiche, fino al complesso sistema di oggi: 249 miglia, oltre quattromila carrozze, un miliardo di passeggeri l’anno e una popolazione di ben cinquecentomila (!) topi, che si aggirano nei tunnel, e, spesso, lungo i binari delle stazioni. Per festeggiare il compleanno della Tube, sono in programma due viaggi d’epoca, nelle serate del 13 e 20 gennaio, organizzati dal London Transport Museum. I titolari dei biglietti (150 sterline per il treno a vapore, 50 per quello elettrico vintage), viaggeranno lungo parte del tratto originale della Metropolitan Railway (oggi Hammersmith & City).

Per chi, invece, può permettersi un biglietto del cinema, da non perdere l’uscita, questo venerdì, di Underground (1928), film diretto da Anthony Asquith. undergroundLa pellicola, restaurata dal BFI e accompagnata dalla colonna sonora, composta da Neil Brand, affascina per le luci e il taglio espressionisti, ed equivale ad una macchina del tempo. La metropolitana è parte integrante della trama e imposta il tono del film, con le sue oscurità e il garbuglio di linee e di tunnel, fungendo da sfondo e metafora alle passioni represse dei protagonisti. Gente comune, che incontrandosi per caso, tra una stazione e l’altra, nella ripetitività dei tragitti quotidiani, finirà per sperimentare amore e violenza.

Enjoy the Silence

the lodger

The Lodger è una pellicola del 1927, in cui una Londra notturna, avvolta dalla nebbia, con la fila di lampioni tremolanti lungo l’umido Embankment, le insegne luminose dei teatri, e i cortili e le strade male illuminati di Bloomsbury, altro non è che una mirabile ricostruzione in studio. Il film è il primo diretto da Alfred Hitchcock e fu realizzato nei nuovissimi studi cinematografici Gainsborough, a nord del fiume. Michael Balcon li aveva fondati nel 1924 ed i film girati qui erano di genere melodrammatico o a basso costo, tutti però improntati a pratiche continentali, specialmente derivate dall’espressionismo tedesco, con scenografie oblique, ombre lunghe e puntute, luci taglienti percorsi  claustrofobici, volti pesantemente truccati, tensione psicologica. Realizzato nell’anno in cui il cinema sonoro cominciava a farsi strada, The Lodger racconta una Londra ambigua, dove alla brillantezza di rutilanti teatri e all’eleganza degli atelier di alta moda, si affiancano il buio e la nebbia, un’umanità povera e affaccendata, e il terrore disseminato in tutta la città dal ‘Vendicatore’, un serial killer che ha per obiettivo donne dai capelli biondi. Su questo sfondo si muovono i protagonisti, un Ivor Novello, emaciato, nervoso, e dai comportamenti bizzarri, su cui Hitchcock fa cadere i sospetti, non solo dei personaggi, ma anche del pubblico in sala, e June Tripp, resa bionda dal regista per recitare la parte dell’ingenua Daisy, simbolo di una donna giovane e moderna, sullo sfondo di mobili, quadri e polverose suppellettili tardo vittoriane. The Lodger fu un grande successo, e, a detta dello stesso Hitchcock, il primo film in cui il regista trovò la sua voce, intrattenendo l’audience con tutta una serie di espedienti che diverranno poi il suo marchio di fabbrica, come l’umorismo sottile, che stempera la tensione e aumenta la suspence, i movimenti sulle scale, la drammatica preferenza per le bionde (June Tripp fu solo la prima di una serie di attrici costrette a ossigenarsi), il numero 13 sulla porta, i simboli di morte e feticismo. Fu anche la prima volta che il regista inaugurò la pratica del cameo, facendosi riprendere seduto di spalle alla scrivania di un ufficio stampa. Sembra che la scelta non fosse intenzionale, dato che la comparsa che doveva recitare la parte, quel giorno non si era presentata in studio.

the lodger_cameoThe Lodger è stato meravigliosamente restaurato dal British Film Institute, partendo da una serie di stampe al nitrato, poiché i negativi originali erano perduti. I colori delle tinte originali, dai toni blu e ambrati, sono stati ricostruiti in digitale e il lavoro ha comportato un’estenuante pulizia di macchie, graffi, sporcizia, resi ancor più visibili dalla maggioranza di scene girate nell’oscurità.La nuova colonna sonora è stata affidata a Nitin Sawhney, un giovane musicista, dj, e compositore di avanguardia, che mescola suggestioni asiatiche a note jazz ed elettroniche. Il film è in programma al BFI Southbank fino al 23 agosto.

Antarctica

Il 29 marzo 1912, il capitano Scott vergava poche, tremolanti righe nel suo diario, le ultime, divenute epitaffio al tragico epilogo della spedizione britannica in Antartide. La conquista del Polo si era rivelata una sconfitta, la pianificazione accurata di mezzi ed equipaggiamento, non aveva tenuto conto delle estreme condizioni ambientali e dei conseguenti imprevisti. Al freddo e alla stanchezza, si era aggiunto, poi, il colpo morale: giunti alla meta, Scott e i suoi compagni, avevano scoperto di essere stati preceduti dal norvegese Amundsen, arrivato là un mese prima. Fiaccati e torturati dal gelo, sarebbero morti sulla via del ritorno, bloccati da una tormenta, a meno di 20 chilometri dal campo base. A distanza di cento anni, le opinioni sulla vicenda restano contrastanti. Da un lato, la celebrazione romantica dell’impresa eroica e sfortunata; dall’altro, le accuse a Scott di aver sottovalutato la situazione, mettendo così a repentaglio la vita sua, e degli uomini che lo seguivano. Si dimentica perciò che la spedizione, denominata ‘Terra Nova’, era iniziata nel 1910, impiegando un team formidabile di scienziati, esploratori e tecnici, allo scopo di raccogliere materiali ed informazioni sugli aspetti geografici, geologici e naturalistici dell’Antartide. Gran parte di questa avventura, era stata immortalata dal fotografo ufficiale Herbert George Pointing, le cui foto sono attualmente in mostra alla Queen’s Gallery, fino al 15 aprile. Il British Film Institute ha invece rieditato le pellicole originali, con commento musicale di Simon Fisher Turner, in un affascinante documentario, dal titolo The Great White Silence.
Evocazioni visive a parte, restano, come dicevamo, il significato e l’importanza scientifica dell’impresa, tutti gli aspetti meno conosciuti e il dietro le quinte della spedizione, che adesso è possibile esplorare grazie ad una mostra davvero ben fatta, in programma al Natural History Museum, fino al 2 settembre. Muovendosi attraverso la ricostruzione della baracca di Hut Point (il cui originale sopravvive intatto a Capo Evans, nell’isola di Ross), il visitatore può rivivere i momenti salienti della spedizione, seguendone il quotidiano, mediante foto, documenti, reperti scientifici, suppellettili, viveri, vestiario, strumenti. La mostra mira a focalizzare l’attenzione sul valore che l’impresa scientifica assume oggi, specialmente alla luce dei cambiamenti che minacciano il sistema climatico dei circoli polari. Pochi sanno che Scott e i suoi uomini continuarono a raccogliere materiali anche durante il tragico viaggio di ritorno dal polo, tra cui ben 16 chilogrammi di fossili (incluso un rarissimo esemplare di Glossopteris Indica, una felce estintasi 250 milioni di anni fa). Sorprende il fatto che non pensarono di disfarsi di questa zavorra, nemmeno quando le condizioni di sopravvivenza si resero drammatiche e impossibili. In mostra, anche la scatola di acquerelli e le meravigliose illustrazioni di Edward Wilson, realizzate a partire da schizzi e disegni eseguiti sul campo, a temperature proibitive. L’esposizione è accompagnata da un fitto programma di eventi, dibattiti e proiezioni, e rimane aperta fino alle 22.30, ogni ultimo venerdì del mese.

Del tempo e della città…

moretti LFF

Metà ottobre, il cielo si fa scuro, cadono le foglie, si raccolgono castagne… ed è tempo del London Film Festival.
Un appuntamento a cui non manco mai, da quando sono venuta a vivere qui. Un programma nutritissimo, con proposte da tutto il mondo, il gusto di vedere una pellicola in anteprima, spesso e volentieri accompagnata da un dibattito in sala, alla presenza degli attori o dei registi, quell’atmosfera vibrante, fatta di transenne, tappeti rossi, fotografi e security, che non si respira normalmente quando si va al cinema.Ogni anno sfoglio il catalogo con largo anticipo e mi procuro i biglietti per tre o quattro film (è difficile scegliere tra decine e decine di pellicole), sperando nel mio sesto senso e gusto personale. Quest’anno mi sono fatta un week-end full immersion, con i film di Davies, Grimaldi e Honoré. Il film documentario di Terence Davies sulla sua Liverpool è estremamente poetico e affascinante, non so se verrà mai distribuito in Italia, ma vale la pena vederlo e ascoltarne il commento, per quel modo unico e originale di mescolare memorie personali a storie di tutti i giorni, sulle note di musiche intense. Il regista stesso è un personaggio, credo di aver assistito al Q&A più strambo e gradevole degli ultimi anni. Proiezione in sordina per il film di Christophe Honoré, senza presentazioni nè commenti. La gioventù parigina è protagonista di questa storia, che è una rivisitazione in chiave moderna di un classico della letteratura francese, "La princesse de Clèves" di Madame de La Fayette. A seguire, proiezione di Caos Calmo, con Grimaldi e Moretti in sala, pronti a rispondere con ironia alle domande del pubblico. Il film sembra essere stato accolto favorevolmente, bisognerà vedere l’affluenza quando uscirà nelle sale inglesi. La bella novità di quest’anno è stata però la proiezione all’aperto, totalmente gratuita, di alcune chicche del cinema muto, con l’accompagnamento al piano di Neal Brand. London Loves è il titolo della rassegna, che ha celebrato la città e la sua popolazione presentando nella prima serata "High Treason" (1929), un ritratto futuristico di Londra, e il giorno seguente alcuni cortometraggi d’archivio su una città che ha cambiato volto, ma non la sua anima. 

trafalgar LFF 

Credits:
"Of Time and The City" di Terence Davies (http://uk.youtube.com/watch?v=X1kmDMJyR4A)
"La Belle Personne" di Christophe Honoré (http://uk.youtube.com/watch?v=c8eV_wAKgUI)
"Caos Calmo" di Antonello Grimaldi (http://uk.youtube.com/watch?v=6ZnfiKcOPgI