Grattacieli a Londra

James Burns skylineQuest’autunno londinese è stato molto umido, soprattutto rispetto agli anni passati.
E’ stata una stagione eccezionale per i funghi, una pacchia per gli appassionati micologi.
Ho visto funghi spuntare ovunque, anche di strani, persino in anonime aiuole cittadine.
Un po’ come i grattacieli a Londra, che ogni giorno ne tirano su uno.
Se guardate il banner del mio blog, potete vedere un panorama ormai obsoleto.
Avevo scattato quella foto in SE4, dal tetto dell’università, quando ero da poco arrivata a Londra, nel 2004. Si vede l’iconico orologio dell’ex edificio del comune di Deptford , costruito nel 1905, e poi, più in là, lo skyline della City, con il Gherkin e Tower 42. E basta.
A quei tempi, Il 30 St Mary Axe (soprannominato ufficialmente Gherkin, ossia cetriolino) aveva suscitato notevole clamore. Dopo oltre una decade, nessuno ormai ci fa più caso.
Infatti, non solo è considerevolmente basso, (solo 180 metri) rispetto ad esempi edificati più tardi, come lo Shard (310 metri), ma oltretutto, poverino, è stato letteralmente sepolto da una selva di pinnacoli vari, che lo nascondono ormai alla vista dalla maggior parte delle angolazioni.
Tra i nuovi nati, ricordiamo the Cheesegrater, il 20 Fenchurch Street, the Scalpel e lo Skygarden, grattacieli il cui impatto fisico sulla città si può definire in un certo senso drammatico.
Adesso, una mostra fotografica, racconta il mutevole orizzonte londinese.
“London From the Rooftops – A Decade of Change”, del fotografo James Burns, aprirà il  19 novembre, alla galleria Steel Yard, proprio a due passi da una delle prime vette storiche di Londra: il Monument.
Burns ha fotografato il paesaggio in continua evoluzione della capitale, documentando, attraverso incredibili fotografie panoramiche, quanto la città sia cambiata negli ultimi dieci anni.
I grattacieli sono immortalati al mattino, avvolti dalla nebbia, oppure al tramonto, funestati da tempeste elettriche oppure rasserenati da arcobaleni improvvisi.
Mentre, agli inizi del secondo millennio, si tendeva per lo più a demolire torri di alloggi popolari anni ’60, immediatamente dopo l’annuncio delle Olimpiadi (2005), l’edilizia cominciò a subire un cambiamento significativo, tra aree destinate alla rigenerazione, nuovissimi complessi di uffici e appartamenti di lusso, su una scala così ampia, che non si ricordava dai tempi del secondo dopo guerra, e, che, a volte, sembra essere sfuggita di mano.
E’ difficile trovare, almeno nella vecchia Europa, la stessa varietà dinamica dell’architettura di Londra. Che ci piaccia o no.

 

Potete seguire James Burns su Instagram a @londonfromtherooftops

Casa Dolce Casa…

RIBA Library Photographs Collection

© RIBA Library Photographs Collection

Sembra che le case inglesi siano quelle con le stanze più piccole d’Europa, e, nonostante il fioccare di palazzi e palazzoni nuovissimi, a discapito di strade vittoriane ed edifici vetusti, più facili da demolire che da restaurare, la percentuale di crescita edilizia dal dopoguerra ad oggi è comunque bassa. Gli architetti postmoderni, con la passione per il cemento e per strutture falliche che si rincorrono da un capo all’altro del tessuto urbano, obliterando la vista e cancellando realtà consolidate, nonché la caduta degli standards e la nuova parola d’ordine, “regeneration”, hanno contribuito a modificare i connotati di interi quartieri di Londra e di altre città del Regno Unito. Tuttavia, la casa è il luogo dove gli inglesi passano molto tempo, nonostante lunghe ore di lavoro, viaggi sui mezzi pubblici e sedute al pub. Ed è alla casa, dall’epoca georgiana ad oggi, che il Royal Institute of British Architects (RIBA) dedica una bella mostra gratuita.
“A Place to Call Home” passa in rassegna trecento anni di design edilizio, partendo da esempi eccelsi del XVIII secolo, quali la Banqueting House a Londra e la West Cliff Terrace a Brighton, passando per gli appartamenti del 1943 dotati di mini cucine, per proseguire con disparati esperimenti moderni, come la piacevole Keeling House di Bethnal Green o discutibili file di case senza camino nella periferia di Corby. Si evince che gli ingredienti base dell’architettura Regency, grandi finestre che scandiscono ritmicamente le facciate in mattoni, balconcini di ferro battuto, bianchi pilastrini e modanature, sono elementi di successo, che vanno a ripetersi, con opportune varianti, fino alla Seconda Guerra Mondiale. Poi, tutto cambia. Le donne iniziano a lavorare e una mini cucina con i componenti in linea, quasi una catena di montaggio, è preferibile a vasti spazi vittoriani. Le voragini lasciate dalle bombe del Blitz e la richiesta impellente di unità abitative, spinge gli architetti a rivisitare interi quartieri, spazzando via gli ultimi lacerti di casette post rivoluzione industriale, e proponendo soluzioni imponenti, con muri di cemento, alti soffitti, e finestre da cui guardare giù in strada.
La mostra al RIBA, curata da Sarah Beeny, presentatrice tv ed esperta del mercato immobiliare, è ricca di disegni, piante e fotografie, resterà aperta al pubblico fino al 17 aprile e sarà accompagnata da una fitta serie di eventi, conferenze e proiezioni di film-documentari.

“A Place to Call Home”
RIBA, 66 Portland Place,
W1B 1AD, Londra
Orario: dal lunedì al sabato, dalle 10.00 alle 17.00.
Info: +44 (0)20 7307 3888