Un anno fa, in ritardo di due settimane rispetto all’Italia, il governo britannico decideva per la chiusura, chiedendo alla popolazione di restare a casa (anche se, molti, lo stavano già facendo).
C’erano molta paura e incertezza, non si trovavano le mascherine, il paracetamolo e la carta igienica, il silenzio era costellato di sirene di ambulanze, avevamo un numero di call centre da chiamare in caso di sintomi, ma nulla di più. Le scene in tv erano abbastanza epurate, l’isolamento era piuttosto liberale. Potevamo uscire per fare la spesa e una passeggiata nel parco, mentre in Italia la gente era bloccata sui balconi o in finestra. Nessuno ci ha mai fermato per chiederci l’autocertificazione. All’inizio mettevo una mascherina da muratore, poi una di tessuto. Le mascherine erano pressoché ignorate, in un anno sono rimaste un’appendice, con vaghe raccomandazioni di obbligatorietà su mezzi di trasporto o negozi. Gli slogan del governo erano molto semplici, vagamente infantili, un po’ frasi d’artista. Si è cominciato con Hands. Face. Space. per proseguire con Stay Alert. Control the virus. Save lives. Come se il virus fosse un paracadutista della Seconda Guerra mondiale o un animale da domare. Poi si sono susseguiti errori tattici, comportamenti ignari, tre lockdown, due ondate, numeri da record di vittime e pure una variante da esportare, nonostante la Brexit.
Ed io?
Tra passeggiate nella natura, botanica, spentolamenti in cucina, lezioni online, lavoro virtuale, cassa integrazione, studio, letture, disegno, musei vuoti, strade semideserte, un paio di cene distanziate, un sierologico, quattro antiginenici e due molecolari più tre quarantene e varie peripezie e avversità, mi ritrovo oggi qui, con meno certezze e anche meno energie.
Un anno fa avevo le idee un po’ più chiare, oggi, invece, so di non sapere e, ogni tanto, mi chiedo ancora cosa farò da grande.
Però è arrivata la lettera dell’NHS per fare il vaccino.
In dodici mesi, non si è stati bravi a prevenire e contenere, ma almeno si è riusciti a produrre qualcosa che possa frenare l’irruenza di questa epidemia, e ridare un po’ di speranza, anche se non ne siamo ancora fuori e la terza ondata è già una realtà.
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Il 75 ° anniversario del “Blitz”, a Londra
La mattina del 30 dicembre 1940 la City di Londra era ridotta ad un cumulo di macerie fumanti. Winston Churchill aveva esortato vigili del fuoco, vigilanti ed ausiliari a salvare la Cattedrale a tutti i costi. Simbolo di resilienza e di speranza, St Paul’s apparve sulla prima pagina del Daily Mail, indomita, fluttuante su un inferno di fumo ed edifici in fiamme. La celebre fotografia, scattata da Herbert Mason, fu intitolata “War’s Greatest Picture”. Il “Blitz” del 29 dicembre 1940 fu il più pesante tra i bombardamenti subiti dalla città. L’incursione era stata programmata per coincidere con un momento di bassa marea sul Tamigi, in modo da rendere difficile l’approvvigionamento d’acqua. Tra le sei del pomeriggio e le prime luci dell’alba, oltre 24.000 bombe ad alto contenuto esplosivo unite a 100.000 bombe incendiarie, furono sganciate su un’area enorme, che andava da Islington alla Cattedrale di St Paul’s. Si sprigionarono oltre 1400 incendi, alcuni dei quali provocarono tre grandi conflagrazioni ed una vera e propria tempesta di fuoco, che distrusse un’area maggiore di quella del Grande Incendio del 1666. Non a caso, la notte del 29 dicembre 1940 viene ricordata come il Secondo Grande Incendio di Londra. Otto chiese progettate da Sir Christopher Wren furono completamente distrutte, solo le pareti della Guildhall rimasero intatte e vennero colpiti molti ospedali e stazioni. Morirono più di 160 civili e 14 vigili del fuoco. Tantissimi furono i feriti.
Ieri, per ricordare il 75 ° anniversario del più grande “Blitz” a Londra, il Fire Service Preservation Group (FSPG) ha organizzato una serie di eventi commemorativi per le vie della City. Alcune vetture ed autopompe dei vigili del fuoco della seconda guerra mondiale sono state messe in mostra davanti alla Cattedrale di St Paul. Moltissimi appassionati di rievocazioni storiche hanno partecipato all’evento, sia in veste di ausiliari e vigili del fuoco dell’epoca, sia come semplici cittadini.
La gloriosa motobarca Massey Shaw, che il 29 dicembre 1940 aveva fornito l’acqua del Tamigi agli equipaggi di terra, aiutandoli nelle operazioni antincendio, è stata rimessa in funzione nei pressi del London Bridge. Infine, alle 18:05 la sirena della stazione di Dowgate è stata fatta suonare, come in quella sera terribile, ed il corteo di vetture storiche ha attraversato le vie della City fino al monumento ai pompieri, dove si è tenuta una breve cerimonia.