Inizio questo post con un mea culpa. Non ricordo esattamente l’ultima volta che sono entrata in un negozio HMV. Ce n’era uno all’aeroporto, dove approfittavo del duty free, ma lo hanno chiuso tre anni fa. Non acquisto DVD perche li affitto, e, da quando ho deciso di fare decluttering, anche l’acquisto di CD si è fatto sporadico, se non nullo. Solitamente vado da Fopp, perche mi sta di strada, ma anche questa catena indipendente era stata inglobata da HMV, perciò ora non so cosa accadrà. E’ stata la notizia clamorosa di ieri. Dopo Jessops, gigante della vendita di apparecchi fotografici, che una settimana fa ha chiuso i battenti con una perdita di oltre un migliaio di posti di lavoro, perche’ non riusciva più a sopravvivere alla concorrenza online, ora è toccato ad HMV, storica catena di negozi di dischi, che si avvia ad un periodo di amministrazione controllata. La chiusura, però, sembra un baratro inevitabile, con la tragica perdita di oltre 4mila posti di lavoro. His Master’s Voice (HMV), nota in Italia come La voce del Padrone, venne fondata nel 1899 e apparteneva originariamente alla società Gramophone, con sede nel Middlesex. Per questa etichetta incisero i grandi della lirica, da Enrico Caruso a Beniamino Gigli, nonchè valenti compositori ed esecutori di musica classica. Tra i nomi del rock e del pop basta solo nominare i Beatles. Inconfondibile poi, il logo della casa discografica, con il Jack Russell che ascolta i suoni provenienti dal grammofono. Era stato desunto da un dipinto di Francis Barraud, il quale aveva ritratto Nipper, il cane di suo fratello defunto, la cui voce riviveva nelle incisioni di svariati cilindri. Di quell’epoca lontana, mi restano ancora delle vestigia ereditate dal nonno, appassionato di lirica. Nello specifico, due o tre dischi da grammofono, di vinile pesantissimo, a 78 giri e una scatolina di latta, ancora piena di puntine, con il simpatico cagnolino sul coperchio, a fondo rosso e oro.
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Il Credit Crunch del 2008
Se un penny tu mi dai…
Sono piccoli, spesso si accumulano nelle tasche o nel borsellino, a volte li si mette in un barattolo, oppure finiscono nell’aspirapolvere… Sovente li vediamo in giro, nelle fontane, per strada, che se uno li raccoglie, portano fortuna.
Stiamo parlando delle monetine di rame del valore di un penny, di cui esistono ben 10 bilioni di esemplari in circolazione. Il penny odierno, però, vale un dodicesimo del valore che aveva nel 1971, quando il sistema decimale fu introdotto nel Regno Unito. Anche il materiale si è andato svalutando: alla lega di bronzo, rame e zinco, è stato sostituito un mero disco di metallo ricoperto di rame. I negozianti detestano contarli, gli avventori se ne disfano appena possibile. Si stima che l’equivalente di 65milioni di monetine siano andate perse negli ultimi 40 anni. Dove sono finite? Forse all’estero, come souvenir, ma anche in soffitta o nelle pieghe di qualche divano. Un quarto dei cittadini britannici farebbe volentieri a meno dei pennies; un altro quarto li colleziona; i giovani, invece, li buttano via. Il dibattito che sta animando il Regno Unito in questi ultimi tempi verte proprio sulla domanda: abolire il penny, si o no? Si firmano petizioni, si anima il dibattito. Per molti, il penny è un simbolo della storia economica e sociale del Regno Unito. Le monetine di rame sono ingombranti, certo, pero’ molte persone prediligono ancora pagamenti in contanti. I piccoli negozi indipendenti non accettano la carta di credito o il bancomat per cifre inferiori alle 10 sterline, mentre, le fantastiche offerte dei supermercati, invogliano i clienti a suon di magici 99p. Molti hanno fatto notare che, se si aboliscono i pennies, si potrebbe verificare un rialzo dell’inflazione. E poi, gli spiccioli di resto, possono sempre essere devoluti in beneficienza (cosa che gia’ avviene in una nota catena di ristorazione veloce). In questi grami tempi di recessione, per tanti inglesi, sembra ancora valere il detto: “Look after the pence and the pounds will look after themselves”. Ossia, se ci si prende cura di non sprecare piccole somme di denaro, si accumulerà del capitale. Un po’ come Zio Paperone e il suo primo nichelino…
“La stretta del credito” continua a spremerci
Il credit crunch ha compiuto un anno. All’inizio ha attanagliato la città, con una cappa di ansia e previsioni catastrofiche. Adesso ci si naviga, un pò rassegnati, ma speranzosi, perché i giornali dicono che la crisi è rientrata.
Sicuramente, nonostante i titoli ottimisti, la crisi è ancora tra noi e ha mietuto le sue vittime. Licenziamenti, si, ma non detti così a brutto muso. Qui si diventa “ridondanti”, superflui. E arriva la lettera di redundancy, che a volte offre alternative, ma più spesso una somma di buona uscita e tante grazie. Alle file per i biglietti del cinema o delle mostre adesso non ci sono solo i disoccupati con il certificato del job centre, ma anche gli ex impiegati, con la letterina di licenziamento e un rossore imbarazzato sulle gote, a chiedere lo sconto perché “they’ve been made redundant”. Moltissimi negozi hanno chiuso, la falce del credit crunch si è abbattuta qua e là senza distinzioni di area e di classe. Personalmente piango la boutique Koh Samui a Covent Garden. I prezzi erano sempre stati inarrivabili, anche senza la crisi, ma nelle vetrine c’erano dei vestiti bellissimi, fantasiosi, di taglio e qualità notevoli. Nel grigiore di tutti i giorni, passare là davanti e notare le nuove creazioni tirava su il mio animo femminile e narciso. L’ultimo vestito su cui ho sognato era di pizzo rosa perla, foggia anni ’30. Uno di quei vestiti che ci si può andare a sposarsi o ad un garden party o ad un appuntamento galante, senza sentirsi esagerate. Mi piacevano anche le commesse, che la mattina presto si sedevano per terra davanti al negozio, vestite come modelle, bambole di porcellana con la sigaretta tra le labbra, ad aspettare qualcuno con le chiavi per iniziare un nuovo giorno di lavoro. Ma adesso le vetrine sono inesorabilmente vuote, la boutique si è trasferita su internet e chissà le modelle dove saranno andate. Il credit crunch ha non solo ristretto le finanze, ma anche le pagine dell’inserto del Guardian, quello sul lavoro. Mi ricordo che era sempre pieno di annunci, di tutti i generi e per tutte le esperienze. Adesso ti arrivano in omaggio due pagine striminzite, con pochissimi annunci ed estesi articoli su cosa fare quando si diventa “ridondanti”. Eppure, come nei film neorealisti, l’arte di arrangiarsi prende il sopravvento. E’ di questi giorni l’inaugurazione del Brixton Pound, una valuta alternativa, utilizzabile solo in quel quartiere, che permetta ai residenti di spendere localmente, supportare le piccole imprese e ravvivare l’economia. Se l’esperimento si rivelerà efficace o se invece si ridurrà ad una versione adulta del Monopoli, lo sapremo solo fra qualche tempo.
Bloomsbury 1759
The British Museum
Great Russell Street, London WC1B 3DG
Boom and Bust
Chanson d’automne
I singhiozzi lunghi dei violini d’autunno
mi feriscono il cuore
con languore monotono.
Ansimante e smorto,
quando l’ora rintocca,
io mi ricordo dei giorni antichi
e piango;
e me ne vado nel vento ostile
che mi trascina di qua e di là
come la foglia morta.