Sono piccoli, spesso si accumulano nelle tasche o nel borsellino, a volte li si mette in un barattolo, oppure finiscono nell’aspirapolvere… Sovente li vediamo in giro, nelle fontane, per strada, che se uno li raccoglie, portano fortuna.
Stiamo parlando delle monetine di rame del valore di un penny, di cui esistono ben 10 bilioni di esemplari in circolazione. Il penny odierno, però, vale un dodicesimo del valore che aveva nel 1971, quando il sistema decimale fu introdotto nel Regno Unito. Anche il materiale si è andato svalutando: alla lega di bronzo, rame e zinco, è stato sostituito un mero disco di metallo ricoperto di rame. I negozianti detestano contarli, gli avventori se ne disfano appena possibile. Si stima che l’equivalente di 65milioni di monetine siano andate perse negli ultimi 40 anni. Dove sono finite? Forse all’estero, come souvenir, ma anche in soffitta o nelle pieghe di qualche divano. Un quarto dei cittadini britannici farebbe volentieri a meno dei pennies; un altro quarto li colleziona; i giovani, invece, li buttano via. Il dibattito che sta animando il Regno Unito in questi ultimi tempi verte proprio sulla domanda: abolire il penny, si o no? Si firmano petizioni, si anima il dibattito. Per molti, il penny è un simbolo della storia economica e sociale del Regno Unito. Le monetine di rame sono ingombranti, certo, pero’ molte persone prediligono ancora pagamenti in contanti. I piccoli negozi indipendenti non accettano la carta di credito o il bancomat per cifre inferiori alle 10 sterline, mentre, le fantastiche offerte dei supermercati, invogliano i clienti a suon di magici 99p. Molti hanno fatto notare che, se si aboliscono i pennies, si potrebbe verificare un rialzo dell’inflazione. E poi, gli spiccioli di resto, possono sempre essere devoluti in beneficienza (cosa che gia’ avviene in una nota catena di ristorazione veloce). In questi grami tempi di recessione, per tanti inglesi, sembra ancora valere il detto: “Look after the pence and the pounds will look after themselves”. Ossia, se ci si prende cura di non sprecare piccole somme di denaro, si accumulerà del capitale. Un po’ come Zio Paperone e il suo primo nichelino…
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Un Picasso via da Londra…?
Picasso non era ancora ventenne quando dipinse la “Bambina con Colomba” (1901). Questo quadro appartiene alla collezione privata della ricca famiglia gallese degli Aberconway, che, a partire dagli anni ’70, lo ha dato in prestito alla National Gallery, perché fosse visibile (gratuitamente) al largo pubblico. Il dipinto è stato protagonista di diverse esposizioni e retrospettive, ed è attualmente ospitato alla Tate Britain, nell’ambito della mostra su Picasso e l’Arte Moderna nel Regno Unito. Come un fulmine a ciel sereno, è giunta la notizia che gli Aberconway vogliono disfarsi del quadro ed hanno incaricato la rinomata casa d’aste Christie’s, affinché trovi un acquirente. L’opera ha una stima di base di 50 milioni di sterline e nessun museo o galleria statale possiede un budget atto a coprire questa cifra, anche se il prezzo verrebbe agevolato dal punto di vista delle tasse. La National Gallery ha ormai dato fondo a tutte le sue riserve di denaro per comprare dal duca di Sutherland la tela di Tiziano “Diana e Callisto“. Questa, in mostra al pubblico fino a luglio, andrà a fare da pendant con quel “Diana e Atteone”, sempre di Tiziano, già acquisito nel 2009 assieme alle National Galleries of Scotland, e grazie anche ai contributi della National Lottery, dell’Art Fund e di donatori privati. Sarà difficile, anzi, difficilissimo, fare in modo che la ‘Bambina” di Picasso resti in territorio di Sua Maestà. E, se anche si istituisse una campagna per mobilitare la nazione, come già avvenuto in passato, in questo clima di pesante crisi economica, è abbastanza improbabile che si riesca a racimolare una somma adeguata e per tempo.
Intanto, sembra che un facoltoso collezionista straniero abbia già dimostrato un certo interesse per il quadro…
“La stretta del credito” continua a spremerci
Il credit crunch ha compiuto un anno. All’inizio ha attanagliato la città, con una cappa di ansia e previsioni catastrofiche. Adesso ci si naviga, un pò rassegnati, ma speranzosi, perché i giornali dicono che la crisi è rientrata.
Sicuramente, nonostante i titoli ottimisti, la crisi è ancora tra noi e ha mietuto le sue vittime. Licenziamenti, si, ma non detti così a brutto muso. Qui si diventa “ridondanti”, superflui. E arriva la lettera di redundancy, che a volte offre alternative, ma più spesso una somma di buona uscita e tante grazie. Alle file per i biglietti del cinema o delle mostre adesso non ci sono solo i disoccupati con il certificato del job centre, ma anche gli ex impiegati, con la letterina di licenziamento e un rossore imbarazzato sulle gote, a chiedere lo sconto perché “they’ve been made redundant”. Moltissimi negozi hanno chiuso, la falce del credit crunch si è abbattuta qua e là senza distinzioni di area e di classe. Personalmente piango la boutique Koh Samui a Covent Garden. I prezzi erano sempre stati inarrivabili, anche senza la crisi, ma nelle vetrine c’erano dei vestiti bellissimi, fantasiosi, di taglio e qualità notevoli. Nel grigiore di tutti i giorni, passare là davanti e notare le nuove creazioni tirava su il mio animo femminile e narciso. L’ultimo vestito su cui ho sognato era di pizzo rosa perla, foggia anni ’30. Uno di quei vestiti che ci si può andare a sposarsi o ad un garden party o ad un appuntamento galante, senza sentirsi esagerate. Mi piacevano anche le commesse, che la mattina presto si sedevano per terra davanti al negozio, vestite come modelle, bambole di porcellana con la sigaretta tra le labbra, ad aspettare qualcuno con le chiavi per iniziare un nuovo giorno di lavoro. Ma adesso le vetrine sono inesorabilmente vuote, la boutique si è trasferita su internet e chissà le modelle dove saranno andate. Il credit crunch ha non solo ristretto le finanze, ma anche le pagine dell’inserto del Guardian, quello sul lavoro. Mi ricordo che era sempre pieno di annunci, di tutti i generi e per tutte le esperienze. Adesso ti arrivano in omaggio due pagine striminzite, con pochissimi annunci ed estesi articoli su cosa fare quando si diventa “ridondanti”. Eppure, come nei film neorealisti, l’arte di arrangiarsi prende il sopravvento. E’ di questi giorni l’inaugurazione del Brixton Pound, una valuta alternativa, utilizzabile solo in quel quartiere, che permetta ai residenti di spendere localmente, supportare le piccole imprese e ravvivare l’economia. Se l’esperimento si rivelerà efficace o se invece si ridurrà ad una versione adulta del Monopoli, lo sapremo solo fra qualche tempo.
Boom and Bust
C’è Grossa Crisi…
© Corrado Guzzanti aka Quèlo – "Pippo Chennedy Show" – 1997
Chanson d’automne
I singhiozzi lunghi dei violini d’autunno
mi feriscono il cuore
con languore monotono.
Ansimante e smorto,
quando l’ora rintocca,
io mi ricordo dei giorni antichi
e piango;
e me ne vado nel vento ostile
che mi trascina di qua e di là
come la foglia morta.