Rousseau il botanofilo

Nel panorama intellettuale e filosofico del Settecento, pur condividendo alcune idee dell’Illuminismo, il pensiero di Jean-Jacques Rousseau si distacca in maniera così originale, da essere considerato precursore del Romanticismo. Nato il 28 giugno 1712, Rousseau è attuale ancora oggi, ad esempio quando si oppone al Liberalismo individualistico, denunciando le ineguaglianze e le ingiustizie sociali. Le sue idee gli costarono persecuzioni e condanne da parte delle autorità civili ed ecclesiastiche, e, per diciotto mesi, riparò in Inghilterra, ospite del filosofo scozzese David Hume. A Londra, dove soggiornò per un periodo al numero 10 di Buckingham Street, si fece subito notare per l’abbigliamento “all’Armena”. È così che lo ritrasse Allan Ramsay nel 1766, con cappello e bordure di pelliccia, contro un fondale neutro scuro e la luce (o meglio, l’illuminazione) che piove sul capo illustre. L’inquietudine del filosofo segna una vita che, a dispetto di fama ed ingiurie, non conosce soste o riposo. Peregrinando da una città all’altra, dimorando ospite di discepoli o ammiratori (quando dissidi o manie di persecuzione non ne avvelenano i rapporti), nei suoi ultimi anni Rousseau si dedica alla botanica. Nella nomenclatura di fronde e fiori scopre un ordine meditativo, una consolazione alle incertezze quotidiane, che gli permette di vivere, senza nemici, il vasto mondo vegetale. Rispetto all'”Emile” o al “Contratto Sociale”, il corpus di scritti botanici è meno conosciuto. Al ritorno dall’esilio inglese, Rousseau scrive otto missive di botanica elementare, indirizzandole a Madame Delessert. Scritte a Parigi, dopo il 1771, le lettere verranno pubblicate postume, nel 1782, ed arricchite, nell’edizione del 1805, dalle mirabili tavole di Pierre-Joseph Redouté. È in uno di questi carteggi che Rousseau afferma pioneristicamente l’utilità di osservare la natura, lontano dall’artifizio dei giardini, poiché l’uomo si è allontanato da essa, piegandola e sovvertendola a proprio vantaggio.
Personalmente, mi sento vicina a questo filosofo-botanico, erborista ed educatore, propulsore di una bio-diversità ante litteram, il quale non esita ad elogiare le “erbacce”, convinto che i malesseri della società e dell’individuo siano causati dall’allontanamento da una vita semplice e spontanea, quella per cui originariamente si era stati creati.
Alla Linnean Society di Londra, è conservata una lettera che Rousseau scrisse a Linneo, il 21 settembre 1771. “Ricevete con bontà, Monsieur, l’omaggio di un incompetentissimo, ma zelantissimo discepolo.” All’encomio si associa la confessione che gli scritti di Linneo costituiscono un’oasi di pace e meditazione in mezzo alle persecuzioni, e che la botanica è un balsamo per la mente tormentata ed ossessiva del filosofo. Segue l’umile richiesta di uno scambio di sementi e di libri. E qui, niente di strano. Amici e contatti illustri solevano mandare a Rousseau lettere dai caratteri svolazzanti miste a semi di piante. E, per lenire l’improvvisa perdita di Madame de Malesherbes, morta suicida, Rousseau aveva inviato al suo consorte un erbario, nel quale il destinatario aveva riconosciuto, con piacere, degli esemplari raccolti assieme all’amico, a Meudon.
Piante rifugio, consolazione, distrazione, terapia, ma anche legante di amicizie, richiamo di esperienze.

Jean-Jacques Rousseau morirà ai primi di luglio del 1798, al ritorno da una passeggiata in solitaria, durante la quale aveva erborizzato, come sempre.

Pappagalli a Londra

Edward Lear green parrot

Edward Lear, “Palaeornis Torquatus”, 1831 (MS Typ 55.9). Houghton Library, Harvard University

La popolazione di pappagallini, che, da sempre, colora i quartieri di Londra, è molto aumentata. Una colonia di parrocchetti dal collare (psittacula krameri) si è installata anche in questa zona, così, la mattina, al noto concerto in giardino di corvi, pettirossi, passeri, piccioni di bosco e gazze ladre, si aggiungono le acute strida di questi esemplari esotici, perfettamente acclimatati. Ma come sono arrivati i pappagallini a Londra? Molto probabilmente saranno fuggiti da qualche gabbia o negozio di animali, tuttavia, la leggenda metropolitana, vuole che siano scappati da un container, agli Isleworth Studios, nel 1951, durante le riprese del noto film “The African Queen”, con Humphrey Bogart and Katharine Hepburn. I parrocchetti sono ora talmente tanti, da essere stati ufficialmente dichiarati animali nocivi, alla stregua di volpi e scoiattoli. In questi giorni, oltre al bird watching metropolitano, si può indulgere nelle bellissime pagine illustrate da Edward Lear, di cui, quest’anno, ricorre il bicentenario della nascita. Famoso per la sua poesia nonsense e i disegni umoristici, Lear fu anche un valente pittore botanico, naturalistico e di paesaggio. La sua prima fatica fu proprio quella di ritrarre i pappagalli esposti nello zoo di Londra. Iniziò nel 1830, appena diciottenne, e, dalle gabbie dello zoo, passò ben presto alle voliere delle collezioni private, come quella di Lord Stanley a Knowsley Hall, e agli esemplari impagliati dal tassidermista John Gould. Di quegli anni di ricerche e frenetico lavoro, restano, non solo numerosi schizzi preparatori (oggi nella Houghton Library, ad Harvard), ma anche le caricature dei visitatori che lo importunavano al giardino zoologico. Il celebre tomo in grande formato, del 1832, dal titolo “llustrations of the Family of the Psittacidae, or Parrots”, contiene ben 42 illustrazioni litografiche. Di quest’opera sopravvivono solo 100 esemplari, che a Londra sono consultabili nelle biblioteche della Linnean Society e del Natural History Museum. Alla Royal Society,  si è ancora in tempo per visitare la mostra su Lear illustratore scientifico, mentre, l’Ashmolean Museum di Oxford, ha appena inaugurato una retrospettiva sull’artista, che rimarrà aperta fino al 6 gennaio 2012, e comprende opere mai esposte prima, tra cui tavole ornitologiche, schizzi di paesaggi, caricature surreali e versi.