Tra i vari centenari che cadono quest’anno, a Londra si ricordano anche i 350 anni dalla terribile epidemia di peste, che funestò la città nel 1665. La pestilenza, nota come the Great Plague, fu l’ultima grande epidemia di peste bubbonica ed uccise, in modo rapido e doloroso, circa 100.000 persone, quasi un quarto della popolazione londinese. Alla Guildhall Library, una mostra interessante, mette a disposizione del visitatore svariati documenti e volumi, tra cui i Bills of Mortality, le statistiche di mortalità settimanale di Londra, che servivano a monitorare le sepolture e, dal 161, venivano redatte dalla Worshipful Company of Parish Clerks, la corporazione degli impiegati parrocchiali. La City di Londra non era stata certo immune da episodi di peste, che ricorsero più volte tra la fine del XIV e la prima metà del XVII secolo. Infatti, c’erano stati ben 15 mini epidemie, di cui l’ultima, nel 1625, aveva causato parecchi morti. Tuttavia, la peste del 1665, causata dal batterio Yersinia pestis, ebbe effetti devastanti, anche sull’economia cittadina. Il morbo si diffuse velocemente nei quartieri più poveri di Londra, uccidendo, tra maggio e agosto, il 15% della popolazione. La parrocchia di St. Giles Cripplegate fu una delle aree maggiormente colpite. Chi ne aveva le possibilità, fuggiva dalla città, a piedi, cavallo o via fiume, in cerca di aree più salubri. Per lasciare Londra, bisognava mostrare un certificato di buona salute, rilasciato dalle autorità. Nel suo diario, Samuel Pepys offre un resoconto vivido delle strade vuote di Londra, e di come tutti quelli che potevano, se ne erano andati, nel tentativo di fuggire dalla peste. Anche la famiglia del celebre diarista trovò rifugio altrove, a Woolwhich, raggiunta in barca dal Tamigi. Le vittime della peste erano talmente tante che venivano sepolte in fretta e furia al di fuori delle mura cittadine, in fosse comuni, spesso non consacrate. Si stima che, sotto la stazione della metropolitana di Aldgate, ci sia una enorme fossa di vittime della peste, con più di 1.000 corpi. Nella mostra alla Guildhall Library, oltre alle statistiche e ai registri parrocchiali, si trovano anche libri di medicina e ricettari. Adesso sappiamo che la peste è di solito trasmessa attraverso il morso di un ratto o di una pulce infetta, ma nel 1665, c’era chi riteneva che fosse stata causata dal passaggio nefasto di una cometa o che si trattasse di una punizione divina. I medici e i farmacisti, di cui l’80% pensò bene di fuggire, pensavano invece che la peste si dovesse a miasmi o a qualche oggetto contaminato proveniente dalla Francia o dall’Olanda. I rimedi anti-peste, atti a purificare l’aria o a tenere a bada il morbo, erano svariati ed eccentrici. Si va dai mazzolini di fiori da mettere sotto al naso, alle misture di erbe da annusare o masticare, tra cui ruta, tabacco, aglio, mirra, assenzio romano e zedoaria, ai portafortuna (Samuel Pepys teneva in tasca una zampa di lepre). Infine, le preghiere (San Rocco era il santo più invocato) e le cerimonie religiose, unica occasione di assembramento che non fosse stata abolita in città. Daniel Defoe, che nel 1722 pubblicò un Diario dell’anno della peste o La peste di Londra (A Journal of the Plague Year), aveva solo 5 anni quando si verificò la terribile epidemia, ma suo zio viveva e lavorava ad Aldgate e forse è proprio quel sellaio, indicato con le iniziali H.F., che nel romanzo narra le vicende in prima persona.
La Grande Peste è stato un evento inquietante nella City: uccise senza pietà migliaia di persone, e, unita al Grande Incendio dell’anno successivo, cambiò per sempre il volto di Londra.
London’s Dreadful Visitation: The Great Plague, 1665 è aperta alla Guildhall Library fino all’11 settembre. Ingresso gratuito.
Archivi tag: londra
L’orso Paddington sbarca a Londra
Domani approderà nelle sale cinematografiche il film natalizio ‘Paddington’, scritto e diretto da Paul King, con protagonista il celebre orsetto, creato da Michael Bond, nel 1958.
All’orso peruviano, amante della marmellata e raffigurato con uno stazzonato montgomery blu ed una valigia marrone, è stata data rinnovata celebrità,
non solo sul grande schermo, ma anche in libreria, con la pubblicazione di una nuova edizione anastatica delle sue avventure,
e poi in giro per Londra, grazie a mostre ed iniziative turistiche.
Celebrità, artisti e fashion designer sono stati invitati a reinterpretare il personaggio per dare vita ad uno speciale percorso ‘Paddington’, con 50 statue del famoso orsetto disseminate in tutta Londra.
Una mappa, scaricabile online, aiuta i visitatori a trovare le statue, installate in vari luoghi chiave, tra l’aeroporto di Heathrow ed i grandi magazzini Selfridges. Fu qui che Michael Bond aveva comprato un orso di peluche per sua moglie come regalo di Natale e il giocattolo gli fu poi d’ispirazione per il libro. Le statue, resteranno esposte fino al 30 dicembre e, poi, saranno vendute all’asta con la speranza di raccogliere £ 1.000.000 per opere di beneficenza tra cui il NSPCC e il suo servizio ChildLine.
Paddington ha assunto molte forme fisiche nel corso degli anni.
Diversi illustratori e animatori hanno interpretato questo orso molto amato da generazioni di piccoli e grandi. Una mostra in programma alla House of Illustration, fino al 4 gennaio, presenta una selezione di opere d’arte che coprono i 50 anni di Paddington, dai disegni originali di Peggy Fortnum, Fred Banbery, David McKee e RW Alley, alle clip degli anni 1970 fino al materiale del nuovo film.
Anche il Museum of London dedica una mostra all’orsetto, con una piccola esposizione di oggetti che tracciano il suo viaggio dalla pagina allo schermo, inclusa la macchina da scrivere del suo autore.
E, per finire, qualcuno ha visto nel film una calibrata propaganda anti-UKIP, il partito per l’Indipendenza del Regno Unito. La storia dell’orsetto Paddington, amato anche dai nostalgici sostenitori di Nigel Farage, ha un messaggio che può sorprenderli. Un orso clandestino, che dal lontano Perù si avventura a Londra, e sceglie di viverci, sembra fatta apposta per sfidare il messaggio anti-immigrazione del partito scissionista ed euroscettico.
London Symphony

Stavo leggendo “London Afresh” di E. V. Lucas (1936), un’escursione affascinante attraverso una Londra ancora riconoscibile oggi, a parte gli ovvi, drammatici cambiamenti, a causa dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e il costante abbattimento di vecchi stabili per edificare blocchi (e ora anche grattacieli) di appartamenti, uffici e locali commerciali.
Alla fine degli anni ’20 e nel corso degli anni ’30 Londra era in piena esplosione modernista, una metropoli cosmopolita e industriale, ronzante di rumori meccanici.
In quegli anni, anche i film stavano abbracciando un’estetica modernista, cercando di cogliere l’unicità dell’ambiente urbano, attraverso le immagini di vita quotidiana nelle città. Il genere cinematografico conosciuto come “sinfonie della città”, comprendeva film in grado di catturare la bellezza intrinseca delle metropoli, con una poetica fatta di velocità, vapore, eccitazione, progresso e tecnologia. La fotocamera andava sostituendosi all’occhio del flaneur, e l’uso del montaggio sottolineava ritmi e coordinate della vita urbana.
Oggi, Alex Barrett, un regista indipendente, sta producendo un film nello stile dei documentari sperimentali del cinema muto.
“London Symphony” esplorerà Londra nella sua vasta diversità di culture, religioni e design, attraverso i suoi vari mezzi di trasporto e sarà un viaggio poetico del 21 ° secolo.
Una sinfonia originale, composta da James McWilliam, farà da colonna sonora al film e potrà anche essere eseguita dal vivo durante proiezioni ed eventi speciali.
L’idea del film è quella di catturare un presente che non rimane mai immobile, allo stesso tempo guardando al passato, ed esplorando la ricchezza e la diversità che Londra offre tutti i giorni. I realizzatori della pellicola hanno sviluppato London Symphony dall’inizio dell’anno, e ora sono pronti ad entrare in produzione. Una campagna di crowdfunding è stata lanciata per raccogliere un finanziamento di 6000 sterline.
Per Barrett questa campagna rappresenta “la possibilità per le persone di fare la differenza, e mostrare al mondo che il cinema ‘non commerciale’ è ancora importante”.
La campagna di crowdfunding termina il 19 ottobre.
Info: London Symphony
Il centenario della Prima Guerra Mondiale a Londra
La Prima Guerra Mondiale iniziò per la Gran Bretagna nell’agosto del 1914 e si concluse quattro anni dopo, con una società allo sbando, imperi e paesi distrutti, l’ordine politico sovvertito ed oltre nove milioni di morti. Cento anni dopo, Londra ricorda la guerra e le persone in essa coinvolte, cercando di conciliare opposte visioni: da un lato, l’eroismo e il valore di chi vi prese parte, dall’altro, i motivi e le ragioni politiche e nazionali per cui quella la guerra fu combattuta. Per chi si trova in città, mostre, conferenze ed eventi, aiutano a fare luce sull’impatto del Primo Conflitto Mondiale e sulla sua eredità.
Alla Tower of London, ‘Blood Swept Lands and Seas of Red’ è l’installazione artistica che sta prendendo forma nel fossato della Torre. Un fiume di papaveri in ceramica fuoriesce da una feritoia per riversarsi nello spazio sottostante. Ogni papavero simboleggia un soldato britannico caduto durante la Grande Guerra. L’installazione è stata realizzata dall’artista ceramista Paul Cummins, assistito dallo scenografo Tom Piper, ed e’ stata presentata ufficialmente il 5 agosto per celebrare i 100 anni dal primo giorno di partecipazione della Gran Bretagna alla guerra.
Il titolo dell’installazione viene da una poesia di un soldato sconosciuto e l’opera crescera’ ogni giorno, con l’obiettivo di raggiungere 888.246 papaveri, l’ultimo dei quali sara’ piantato l’11 novembre 2014.
I papaveri sono disponibili per l’acquisto al costo di 25 sterline e il 10% delle vendite sarà devoluto in beneficienza.
Restando in tema di papaveri, fiore simbolo della Grande Guerra, alla Guildhall Library, Rebecca Louise Law, artista nota per le sue grandi installazioni interattive, ha creato Poppy, cielo floreale fatto di migliaia di papaveri di carta. La biblioteca ha in programma mostre ed eventi per ricordare la Guerra e al momento espone memorie, lettere, medaglie e altri effetti personali di individui che presero parte al conflitto.

L’Imperial War Museum ha recentemente riaperto i battenti dopo aver subito una drammatica trasformazione grazie al progetto di Lord Norman Foster.
Il museo possiede una collezione sulla Grande Guerra tra le più ricche e complete del mondo, ed include armi, uniformi, diari, lettere, ricordi, fotografie, filmati e la ricostruzione di una trincea. Le sale sono state ristrutturate e danno la possibilità di avventurarsi in un percorso multimediale e immersivo, totalmente gratuito. Al piano superiore, una doppia mostra temporanea di dipinti e illustrazioni, racconta la Verità e la Memoria di una Guerra troppo grande.
Verità e memoria che si intrecciano e si sovrappongono, mentre il conflitto viene rappresentato dai soldati stessi. Le opere seguono dettami modernisti, portando in sé il valore dell’autenticità. CRW Nevinson, medico oltre che artista, attinse al linguaggio fratturato del futurismo per mostrare la volontà umana asservita alla macchina. Paul Nash, al fronte come artista di guerra ufficiale, si ispirò ai paesaggi surrealisti per raccontare scene contorte di filo spinato, cariche di nubi scure.
![2 T UMAX Mirage II V1.4 [2]](https://londonse4.blog/wp-content/uploads/2014/08/017nevi.jpg?w=125&h=150)
The Cartoon Museum, piccola galleria londinese che combina arte ad umorismo, ha invece allestito una mostra di vignette, caricature ed illustrazioni per descrivere e riflettere sulla Grande Guerra 1914-1918, e gli effetti a lungo termine. Le opere spaziano dalla propaganda patriottica alle immagini che avevano messo in discussione il conflitto e la situazione sul fronte occidentale. Alla mostra si accompagna un interessante programma di conferenze ed incontri.
Per finire, alla British Library, una raccolta manifesti, poesie, libri e opuscoli di cento anni fa, esamina come la gente comune avesse saputo fare fronte alle ristrettezze e alla disperazione durante la Guerra.
Tra i tentativi di sollevare il morale, le descrizioni delle incursioni degli Zeppelin nei cieli di Londra e l’umorismo nero delle trincee, in mostra c’è anche un’installazione audiovisiva, con i risultati della Biblioteca di Europeana 1914-1918, importante progetto europeo, che ha digitalizzato oltre 400.000 articoli della Grande Guerra
Panchine letterarie a Londra
Il National Literacy Trust, in collaborazione con Wild in Art, quest’estate riempie di opere speciali le strade della City e di altre zone di Londra. Una cinquantina di panchine a forma di libro aperto, decorate da illustratori professionisti e artisti locali, sono state disposte in vari punti cittadini. I classici della letteratura vanno da Jane Austen a Charles Dickens, da Shakespeare ad Orwell, fino ad includere opere più recenti, come i romanzi di Monica Ali o Nick Hornby. Sono stati elaborati quattro percorsi diversi, a Bloomsbury, Greenwich, nella City e lungo il Tamigi, così, girovagando tra giardini, viali e piazze, si potranno incontrare tanti eroi letterari come Sherlock Holmes, James Bond, Mary Poppins e Hercules Poirot.
‘Books About Town’ è un’occasione unica per esplorare le connessioni letterarie della capitale, per apprezzare le opere di alcuni dei migliori artisti del Paese e per celebrare la lettura come mezzo di intrattenimento. Alla fine dell’estate, il 7 ottobre, tutte le panchine saranno messe all’asta in un evento esclusivo, al Southbank Centre, per raccogliere fondi a favore del National Literacy Trust, così da aumentare i livelli di alfabetizzazione nel Regno Unito.
Peregrinazioni urbane al Barbican
Esplorare una città come Londra, che spesso nel rincorrere il futuro, fagocita se stessa, può essere fatto in diversi modi. Attraverso film e documentari è praticamente possibile camminare in quartieri perduti, viaggiare su veicoli obsoleti, aimmergersi in attimi di vita ormai dissolti. Al Barbican, Urban Wandering – Film and the London Landscape conduce lo spettatore attraverso una stagione di film, conferenze ed escursioni che raccontano di vecchie e nuove architetture, edilizia sociale, demolizioni e psicogeografie.
Lo scrittore Iain Sinclair, ha inaugurato il programma con la proiezione del film “It always rains on Sunday”, per la regia di Robert Hamer (1947). In questo film, che ricorda il realismo francese e l’espressionismo tedesco, un sentimento nostalgico pervade le strade e gli edifici, con Hartland Road, Camden, trasformata in Coronet Grove, Bethnal Green, per esigenze di copione. Da ringhiere scheggiate al ruote di bicicletta ancora in movimento, da tende sporche a mercati vivaci, una pioggia incessante affonda sogni e speranze, mentre il contrasto del bianco e nero cattura un’altra epoca. Nel complesso si respira il desiderio intenso di fuggire le difficoltà di ogni giorno in un East End oppresso dalla povertà.
“The London knobody knows” è un altro film proiettato al Barbican, che si concentra sull’East End, e varie vicende architettoniche e urbane londinesi. Girato nel 1967 e adattato dal libro di Geoffrey Fletcher, scritto qualche anno prima, il documentario accompagna lo spettatore in un tour particolare, alla scoperta di angoli meno noti della capitale. L’attore James Mason, guida speciale e flaneur, vaga attraverso i luoghi segreti di Londra: Chapel Market a Islington, resti vittoriani, poverissimi slums, fatiscenti sale da concerto, cantieri in fermento, e luoghi pronti a scomparire.
Molti altri film della mini-stagione al Barbican sono pieni di riferimenti letterari, passeggiate psicogeografiche, storie di immigrazione e sottoculture. Il programma è vasto, dai film cult ai corti di archivio, dal dramma muto di Anthony Asquith (“Underground”), alle nuove uscite, dagli screentalks alle ricerche approfondite di Julien Temple (“London, the modern babylon”).
L’immaginario sistematico di Nicholas Hawksmoor, in una mostra a Londra
Nicholas Hawksmoor (c.1661-1736) ha da sempre sofferto il privilegio di essere stato allievo e collaboratore di Sir Christopher Wren. Per molti anni, la critica ha sottovalutato le straordinarie capacità e l’inventiva di uno dei più raffinati architetti del Barocco inglese. Come se l’ala protettiva del maestro Wren si fosse tramutata in una lunga e pesante ombra, Hawksmoor è stato spesso accusato di mancare di purezza architettonica, proprio per quei tratti che, invece, ne dimostrano il genio: la versatilità dello stile, i sapienti giochi di luce, geometria e scala, l’approccio né pedissequamente classicista né eccessivamente barocco. A differenza di molti suoi agiati contemporanei, Hawksmoor non aveva mai viaggiato in Italia. Tutta la sua conoscenza di forme e stili, l’aveva appresa dai libri. Era un massone e non disdegnava di attingere ispirazione da quegli elementi di architettura religiosa che gli paressero suggestivi. Dall’antico Egitto alla Grecia, dalle moschee al tempio di Salomone, è così che i suoi edifici si popolano di simboli elaborati: obelischi, piramidi, rosette, elementi pagani. L’eccentrico architetto fu artefice della costruzione di sei nuove chiese a Londra, nate per servire le periferie in espansione della città. Ognuno di questi edifici è diverso, ognuno unico nel suo genere. Tutti sono caratterizzati da campanili, le cui guglie sono disegnate in un fantasioso stile classicheggiante, e tradiscono nei volumi l’interazione dinamica tra esterno ed interno, di impronta borrominiana. Le chiese di Hawksmoor hanno temperamento ed elevazione, tramutandosi in esperienze cinetiche e articolate. A volte, gli edifici nascono all’incrocio di strette viuzze, scorci barocchi generati per essere visti ed apprezzati, grazie ai movimenti limitati di chi è in strada; meraviglie che richiedono al pedone di soffermarsi a guardare in alto, e stupirsi, cosa purtroppo sempre più rara di questi tempi. Il contrasto architettonico si dirama in tutte le direzioni e prepara alla transizione da esterno a interno, mentre le guglie punteggiano il panorama della città, assurgendo a pietre miliari e punti di riferimento.
Alle Terrace Rooms di Somerset House, fino al 1 settembre, una mostra gratuita si concentra proprio sulle chiese di Nicholas Hawksmoor. L’esposizione vuole supplire alla mancanza di documentazione visiva e fornire al contempo un’analisi dell’opera di questo valente architetto, in chiave urbanistica. La mostra è stata curata da Mohsen Mostafavi, decano della Harvard University Graduate School of Design, ed espone il lavoro della fotografa di architettura Hélène Binet. Le suggestive immagini in bianco e nero, unite a modelli in resina elaborati al computer, tentano di reintegrare le chiese di Hawksmoor al tessuto cittadino, investigandone l’ideazione all’interno di un progetto urbanistico più ampio.
Senza Trucco

Marcus Gheeraerts the Younger, Portrait of Elizabeth I (c. 1595). Courtesy of Elizabethan Gardens of North Carolina.
l ritratti di Elisabetta I d’Inghilterra sono affascinanti, in quanto mostrano l’evolversi dall’elaborazione di elementi somiglianti e il più possibile naturali, ad un immaginario complesso, tripudio di simboli iconografici che trasformano il ritratto in un messaggio di potere. Gli oggetti simbolici, che ai posteri sembrano semplicemente un tappeto decorativo, ma il cui messaggio non poteva passare inosservato ai contemporanei dei ritratti, sono rose, libri di preghiera, globi, corone, spade e colonne, lune e perle. Si allude, tramite l’apparato altamente decorativo, alla monarchia, all’impero, al sovrano come capo politico e religioso, alla purezza e maestà della Virgin Queen. L’effigie della regina divenne oggetto di devozione e venerazione, un culto dell’immagine creato per sostenere l’ordine pubblico, e per rimpiazzare certe manifestazioni esteriori della religione pre-Riforma, dove immagini sacre accompagnavano, processioni e cerimonie. Un proclama era stato emanato per il controllo delle immagini della sovrana. Tutti i ritratti, non fedeli o offensivi, dovevano essere distrutti, e solo quelli approvati dal Queen’s Sergeant Painter potevano essere messi in circolazione.
Fa dunque scalpore, in questi giorni, l’avvenuta identificazione di un ritratto di Elisabetta I, ormai sessantenne, ad opera di un rinomato artista della corte Tudor, Marcus Gheeraerts il Giovane. Nativo di Bruges, ma venuto in Inghilterra da bambino, al seguito del padre, anch’esso pittore, Marcus Gheeraerts fu introdotto e protetto a corte da Sir Henry Lee of Ditchley, responsabile di uno dei ritratti più celebri di Elisabetta I, ora alla National Portrait Gallery.
Gheeraerts fu artista di successo, che seppe fondere precisione fiamminga a languore poetico, realismo borghese a fantasie aristocratiche, e rimase in auge, anche dopo la morte della regina. Il “nuovo” ritratto, di proprietà degli Elizabethan Gardens (North Carolina) e ora in mostra alla Folger Shakespeare Library di Washington DC, è unico nel suo genere, in quanto mostra la sovrana risplendente di gloria e gioielli, ma con il viso struccato, segnato da rughe e occhiaie. Nessun espediente per far apparire il volto di Elisabetta I giovane e levigato. Piuttosto, la volontà di trasmettere un senso di compostezza e grazia, al di là degli insulti del tempo.
Il raro dipinto di Gheeraerts, probabilmente realizzato intorno al 1590, fu acquistato negli anni Cinquanta dagli Elizabethan Gardens a Manteo, Carolina del Nord, per $ 3,000. Appeso nella portineria dei Giardini, il dipinto è stato restaurato e autenticato solo due anni fa. L’opera rimarrà in mostra alla Folger Library nell’ambito della rassegna “Nobility and Newcomers in Renaissance Ireland” fino al 19 maggio.
Il compleanno di Jimi Hendrix
Come sarebbe stato il compleanno di Jimi Hendrix, se oggi avesse potuto soffiare sulle sue 70 candeline?
Per i miti della musica, scomparsi troppo giovani, all’apice del successo, con uno o due album alle spalle, tutto si interrompe così bruscamente, che la meteora si tramuta in astro leggendario, e i luoghi dove ha vissuto, diventano mete di pellegrinaggio. Verso la fine degli anni sessanta, Jimi passò molto tempo in Gran Bretagna, suonando in moltissimi club londinesi. Dopo una parentesi di un anno, che lo vide impegnato in un tour attraverso gli Stati Uniti, nel 1969 Jimi tornò a Londra, ed andò ad abitare in un appartamento, arredato dalla fidanzata di allora, Kathy Etchingham, al 23 di Brook Street. Poiché lo stabile a fianco era stato la residenza di George Frideric Handel, il chitarrista rock si era incuriosito, ed aveva comprato dischi di musica classica con le composizioni più celebri. Il flat di Jimi Hendrix era abbastanza ordinario, ravvivato da tende e da tappeti rosso vivo acquistati da John Lewis, a Oxford Street. In questa casa, Jimi beveva tè, guardava la tv, rilasciava interviste, scriveva e suonava musica, approfittando della mancanza di vicini, per alzare il volume degli amplificatori. Inoltre, poteva facilmente recarsi a piedi in tutti i locali della scena musicale del tempo, dal Marquee allo Speakeasy.
Il soggiorno di Hendrix a Brook Street fu breve, circa tre mesi. Al giorno d’oggi, una placca blu dell’English Heritage ricorda il passaggio del musicista, mentre l’appartamento, mantenuto nei suoi aspetti originali, e visitabile solo in speciali occasioni, è attualmente l’ufficio amministrativo della vicina casa-museo di Handel.
E.V.Lucas, viandante e viaggiatore
Edward Verrall Lucas è stato un versatile scrittore ed editore inglese, che, ai suoi tempi, ebbe molto successo, distinguendosi per una prosa leggera ed accattivante. Fu, di volta in volta, saggista, biografo, critico, giornalista, poeta e romanziere, sceneggiatore teatrale e scrittore satirico. Tuttavia, ancora oggi, il suo stile ironico e attento, meglio si apprezza nelle guide di viaggio, in cui rientrano gli interessi personali per l’arte e la letteratura. Nato a Brighton, nel 1868, Lucas iniziò la sua carriera come apprendista in una libreria, per poi approdare a Londra, lavorando da giornalista al The Globe e, in seguito, alla rivista Punch. Nella comunità letteraria della Londra fin de siècle, E.V. Lucas si segnalava, dunque, come figura nota e di tutto rispetto, che ebbe anche successo come editore, per Grant Richards and Methuen, che gli pubblicò molti dei suoi scritti. Le guide apparse nella collana A Wanderer, offrono impressioni di viaggio attraverso l’Inghilterra ed altri paesi europei, con attenzione all’arte e ai musei di città come Firenze, Parigi, Londra, Amsterdam. Nelle mie peregrinazioni tra scaffali polverosi di librerie antiquarie o negozi di rigattiere, sono riuscita ad accaparrarmi due guide della nota serie: A Wanderer in Paris (1906) e A Wanderer in London (1910). La prima guida, corredata da belle tavole a colori di Walter Dexter, più altre illustrazioni in bianco e nero, trattandosi di Parigi, non può certo esimersi dall’apprezzamento delle arti, con ben due capitoli dedicati al Louvre. Inoltre, da un tavolo al Cafe de la Paix, tra signore dai larghi cappelli e gentiluomini con bastone da passeggio ai Boulevards, passando per gli zoo cittadini ed il fascino intramontabile del Marais, Lucas ha tempo per degli excursus su personalità come Voltaire, Botticelli e Maria Antonietta. Di simile impostazione, è la guida di Londra, illustrata ad hoc da Nelson Dawson. Nella prefazione al volume, veniamo a sapere che, anche all’inizio del Novecento, Londra era così vasta, varia e ricca di cose interessanti, da rendere difficile la scelta della zona da cui cominciare ad esplorarla, e ancor più difficile, poi, sapere dove interrompere l’avventura. Perché “per un libro su Londra – per migliaia di libri su Londra – non c’è fine.” Allora, come oggi, nonostante le distruzioni, le demolizioni e i cambiamenti di un secolo, Londra è, prima di ogni altra cosa, un alveare di umanità affaccendata, in cui la nebbia è un lontano ricordo, il guidatore di taxi una figura solitaria e romantica. Dopo la Prima Guerra Mondiale, lo stile agile ed impersonale di Lucas non trovò più favori e, in seguito alla sua dipartita, nel 1938, anche l’interesse di critica e pubblico svanì. E’ un vero peccato, dal momento che, le guide di viaggio, possiedono lo sguardo fresco e curioso del flâneur, le descrizioni romantiche di chi sa guardare oltre la facciata e il mero sciorinamento di strade, nomi e date. Con le loro copertine liberty, di tela blu incisa in caratteri dorati, e le belle tavole illustrate, costituiscono un ottimo regalo, e non possono mancare nello scaffale di appassionati londonografi o studiosi del patrimonio storico e sociale delle città d’arte.




