Girovagando per la città, non è inconsueto imbattersi in graffiti, che ritraggono un simpatico omino, dalle forme molto semplici, pur tuttavia capaci di trasmettere emozioni. Da circa una decina di anni, l’artista di strada STIK, realizza le sue opere, ricoprendo muri, saracinesche, porte, o vecchi edifici in disuso, con creature androgine, dalle membra a bastoncino (stick) e l’aria assorta, sognante, felice o triste, in dimensioni e pose varie. Si incontrano questi personaggi tanto in strade dell’East End quanto in vicoli del West End. Appaiono all’improvviso, e costituiscono sempre un evento poetico. Si tratta di una street art ammiccante e colorata, che punta l’attenzione sulla vunerabilità e la bellezza dell’essere umano. Stik ha vissuto intensamente la realtà di strada, trovandosi ad essere, per un certo periodo, senza fissa dimora e, quindi, esposto a tutto quello che di buono o cattivo può verificarsi in un ambiente urbano, nonché alla diversità di comparse o protagonisti, che animano i marciapiedi e le vie della metropoli. Considerato il nuovo Bansky, Stik è da oggi, fino al 10 maggio, protagonista di una personale alla Imitate Modern, una galleria di arte contemporanea a Marylebone. Le sue opere, realizzate in studio, sono già predilette da collezionisti del calibro di Antony Gormley e Brian May, ma il titolo della mostra, “Walk”, invita il visitatore a muoversi nella città e riscoprirne i graffiti. Una mappa aggiornata, sul sito dell’artista, vi aiuterà nell’impresa.
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Antarctica

Il 29 marzo 1912, il capitano Scott vergava poche, tremolanti righe nel suo diario, le ultime, divenute epitaffio al tragico epilogo della spedizione britannica in Antartide. La conquista del Polo si era rivelata una sconfitta, la pianificazione accurata di mezzi ed equipaggiamento, non aveva tenuto conto delle estreme condizioni ambientali e dei conseguenti imprevisti. Al freddo e alla stanchezza, si era aggiunto, poi, il colpo morale: giunti alla meta, Scott e i suoi compagni, avevano scoperto di essere stati preceduti dal norvegese Amundsen, arrivato là un mese prima. Fiaccati e torturati dal gelo, sarebbero morti sulla via del ritorno, bloccati da una tormenta, a meno di 20 chilometri dal campo base. A distanza di cento anni, le opinioni sulla vicenda restano contrastanti. Da un lato, la celebrazione romantica dell’impresa eroica e sfortunata; dall’altro, le accuse a Scott di aver sottovalutato la situazione, mettendo così a repentaglio la vita sua, e degli uomini che lo seguivano. Si dimentica perciò che la spedizione, denominata ‘Terra Nova’, era iniziata nel 1910, impiegando un team formidabile di scienziati, esploratori e tecnici, allo scopo di raccogliere materiali ed informazioni sugli aspetti geografici, geologici e naturalistici dell’Antartide. Gran parte di questa avventura, era stata immortalata dal fotografo ufficiale Herbert George Pointing, le cui foto sono attualmente in mostra alla Queen’s Gallery, fino al 15 aprile. Il British Film Institute ha invece rieditato le pellicole originali, con commento musicale di Simon Fisher Turner, in un affascinante documentario, dal titolo The Great White Silence.
Evocazioni visive a parte, restano, come dicevamo, il significato e l’importanza scientifica dell’impresa, tutti gli aspetti meno conosciuti e il dietro le quinte della spedizione, che adesso è possibile esplorare grazie ad una mostra davvero ben fatta, in programma al Natural History Museum, fino al 2 settembre. Muovendosi attraverso la ricostruzione della baracca di Hut Point (il cui originale sopravvive intatto a Capo Evans, nell’isola di Ross), il visitatore può rivivere i momenti salienti della spedizione, seguendone il quotidiano, mediante foto, documenti, reperti scientifici, suppellettili, viveri, vestiario, strumenti. La mostra mira a focalizzare l’attenzione sul valore che l’impresa scientifica assume oggi, specialmente alla luce dei cambiamenti che minacciano il sistema climatico dei circoli polari. Pochi sanno che Scott e i suoi uomini continuarono a raccogliere materiali anche durante il tragico viaggio di ritorno dal polo, tra cui ben 16 chilogrammi di fossili (incluso un rarissimo esemplare di Glossopteris Indica, una felce estintasi 250 milioni di anni fa). Sorprende il fatto che non pensarono di disfarsi di questa zavorra, nemmeno quando le condizioni di sopravvivenza si resero drammatiche e impossibili. In mostra, anche la scatola di acquerelli e le meravigliose illustrazioni di Edward Wilson, realizzate a partire da schizzi e disegni eseguiti sul campo, a temperature proibitive. L’esposizione è accompagnata da un fitto programma di eventi, dibattiti e proiezioni, e rimane aperta fino alle 22.30, ogni ultimo venerdì del mese.
La Natura, tra pennelli e computer
Nel retaggio immemoriale di visitatori e turisti, il Natural History Museum è ricettacolo di animali impagliati e, soprattutto, scheletri di dinosauri. Tuttavia, con 70 milioni di reperti che spaziano dalla botanica, alla mineralogia, all’entomologia, il museo londinese ha molto di più da offrire a chi sceglie di avventurarsi tra le sue volte neo-romaniche. Anche se l’imponente corpo principale è della fine dell’ottocento, e la fantastica decorazione naturalistica delle piastrelle sembra confutare le teorie evolutive Darwiniane, il museo ha saputo aggiornarsi ed evolversi nel tempo, con l’aggiunta di una sezione moderna dedicata alle ricerche e all’educazione (Darwin Centre), la ridisposizione dei reperti impagliati e la ripartizione delle sale espositive secondo quattro zone colore. Nella zona blu, passati i dinosauri ed il negozio dei bambini, si trova una sala molto interessante, specialmente per chi si occupa di disegno naturalistico. Images of Nature presenta al visitatore un ricco archivio visivo di oltre un centinaio di opere, realizzate negli ultimi tre secoli. Stampe, acquerelli, diari scientifici e dipinti sono qui affiancati da foto, immagini digitali, microtomografie e postazioni interattive. La sala è totalmente accessibile, offrendo al pubblico guide in braille o stampate in grande formato e anche un’audioguida gratuita, scaricabile dal sito, per una visita complessiva di circa 50 minuti. Oltre alle collezioni permanenti, ‘Images of Nature’ ha uno spazio dedicato a mostre temporanee, con rotazioni trimestrali. Per loro natura, i materiali cartacei e dipinti, sono sensibili alla luce e molto fragili, quindi non è possibile esporli per lunghi periodi di tempo. La mostra temporanea di quest’anno è dedicata all’arrivo della Prima Flotta Britannica sulle coste australiane. Nel 1788, 11 navi, per un totale di circa 1,400 persone, tra passeggeri ed equipaggio, raggiunsero l’Australia per fondare la prima colonia. Al seguito della flotta, viaggiava anche un team di artisti, che si dedicò a ritrarre flora e fauna. Tra essi, il più valente ed accurato, era Thomas Watling (c1767-1797), giunto nella colonia come convitto (era talmente versato nel disegno che non sorprende fosse stato condannato come falsario). La collezione Watling è preziosa nel suo genere anche perche l’unica a rappresentare, in varie illustrazioni a penna ed acquerello, usi e costumi della comunità aborigena degli Eora. Nella sala ci sono anche le installazioni dell’artista in residenza Daniel Boyd. I suoi lavori investigano quello che la collezione racconta oppure omette riguardo i primi anni della colonizzazione e i rapporti tra coloni e popolazioni aborigene. Oltre ai punti interattivi dedicati alla mostra speciale, ci sono anche due postazioni Nature Plus, con archivi audiovisivi e collezioni online. E’ disponibile una card gratuita con un codice a barre, da scansionare nell’apposita macchinetta. Tramite questa scansione, si possono salvare gli archivi di proprio gradimento in un account personalizzato, accessibile comodamente da internet, per essere in grado di sfogliare le collezioni di disegni o rivedere i video più interessanti, anche dal divano di casa.
Un’idea per l’8 marzo a Londra
La foto accattivante che pubblichiamo oggi, proviene dal Museo di Londra ed è attualmente in mostra in quello di Wandsworth. Rappresenta uno stand delle Suffragette al Salone delle Donne, tenutosi nel 1909 al Prince’s Skating Rink, una pista di pattinaggio su ghiaccio, non piu’ esistente, nei dintorni di Knightsbridge. La foto fu scattata da Christina Broom, considerata, a ragione, la prima fotogiornalista della storia inglese. Agli inizi del Novecento, la Broom aveva acquistato una macchina a cassetta e aveva appreso, da autodidatta, i rudimenti della fotografia. Dal 1908 al 1913, Christina seguì con interesse il movimento delle suffragette, scattando numerose foto, durante manifestazioni, marce ed altri eventi. Questa, in particolare, è stata scelta per Portrait of London, una mostra di oltre 60 immagini storiche, provenienti dagli archivi del Museum of London e del Wandsworth Museum. Tra le varie immagini esposte, si trovano anche un’iconica visione di Trafalgar Square, realizzata da Roger Fenton, nel 1857, e la foto più antica di Londra, scattata nel 1839. La mostra include anche una selezione di immagini storiche del quartiere di Wandsworth, incluse le zone di Balham, Battersea, Putney e Tooting. Queste fotografie, relative al periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, non erano state esposte da lungo tempo e sono state ‘ripescate’ dagli archivi per l’occasione.
Un Picasso via da Londra…?
Picasso non era ancora ventenne quando dipinse la “Bambina con Colomba” (1901). Questo quadro appartiene alla collezione privata della ricca famiglia gallese degli Aberconway, che, a partire dagli anni ’70, lo ha dato in prestito alla National Gallery, perché fosse visibile (gratuitamente) al largo pubblico. Il dipinto è stato protagonista di diverse esposizioni e retrospettive, ed è attualmente ospitato alla Tate Britain, nell’ambito della mostra su Picasso e l’Arte Moderna nel Regno Unito. Come un fulmine a ciel sereno, è giunta la notizia che gli Aberconway vogliono disfarsi del quadro ed hanno incaricato la rinomata casa d’aste Christie’s, affinché trovi un acquirente. L’opera ha una stima di base di 50 milioni di sterline e nessun museo o galleria statale possiede un budget atto a coprire questa cifra, anche se il prezzo verrebbe agevolato dal punto di vista delle tasse. La National Gallery ha ormai dato fondo a tutte le sue riserve di denaro per comprare dal duca di Sutherland la tela di Tiziano “Diana e Callisto“. Questa, in mostra al pubblico fino a luglio, andrà a fare da pendant con quel “Diana e Atteone”, sempre di Tiziano, già acquisito nel 2009 assieme alle National Galleries of Scotland, e grazie anche ai contributi della National Lottery, dell’Art Fund e di donatori privati. Sarà difficile, anzi, difficilissimo, fare in modo che la ‘Bambina” di Picasso resti in territorio di Sua Maestà. E, se anche si istituisse una campagna per mobilitare la nazione, come già avvenuto in passato, in questo clima di pesante crisi economica, è abbastanza improbabile che si riesca a racimolare una somma adeguata e per tempo.
Intanto, sembra che un facoltoso collezionista straniero abbia già dimostrato un certo interesse per il quadro…
Casa Dolce Casa…
Sembra che le case inglesi siano quelle con le stanze più piccole d’Europa, e, nonostante il fioccare di palazzi e palazzoni nuovissimi, a discapito di strade vittoriane ed edifici vetusti, più facili da demolire che da restaurare, la percentuale di crescita edilizia dal dopoguerra ad oggi è comunque bassa. Gli architetti postmoderni, con la passione per il cemento e per strutture falliche che si rincorrono da un capo all’altro del tessuto urbano, obliterando la vista e cancellando realtà consolidate, nonché la caduta degli standards e la nuova parola d’ordine, “regeneration”, hanno contribuito a modificare i connotati di interi quartieri di Londra e di altre città del Regno Unito. Tuttavia, la casa è il luogo dove gli inglesi passano molto tempo, nonostante lunghe ore di lavoro, viaggi sui mezzi pubblici e sedute al pub. Ed è alla casa, dall’epoca georgiana ad oggi, che il Royal Institute of British Architects (RIBA) dedica una bella mostra gratuita.
“A Place to Call Home” passa in rassegna trecento anni di design edilizio, partendo da esempi eccelsi del XVIII secolo, quali la Banqueting House a Londra e la West Cliff Terrace a Brighton, passando per gli appartamenti del 1943 dotati di mini cucine, per proseguire con disparati esperimenti moderni, come la piacevole Keeling House di Bethnal Green o discutibili file di case senza camino nella periferia di Corby. Si evince che gli ingredienti base dell’architettura Regency, grandi finestre che scandiscono ritmicamente le facciate in mattoni, balconcini di ferro battuto, bianchi pilastrini e modanature, sono elementi di successo, che vanno a ripetersi, con opportune varianti, fino alla Seconda Guerra Mondiale. Poi, tutto cambia. Le donne iniziano a lavorare e una mini cucina con i componenti in linea, quasi una catena di montaggio, è preferibile a vasti spazi vittoriani. Le voragini lasciate dalle bombe del Blitz e la richiesta impellente di unità abitative, spinge gli architetti a rivisitare interi quartieri, spazzando via gli ultimi lacerti di casette post rivoluzione industriale, e proponendo soluzioni imponenti, con muri di cemento, alti soffitti, e finestre da cui guardare giù in strada.
La mostra al RIBA, curata da Sarah Beeny, presentatrice tv ed esperta del mercato immobiliare, è ricca di disegni, piante e fotografie, resterà aperta al pubblico fino al 17 aprile e sarà accompagnata da una fitta serie di eventi, conferenze e proiezioni di film-documentari.
“A Place to Call Home”
RIBA, 66 Portland Place,
W1B 1AD, Londra
Orario: dal lunedì al sabato, dalle 10.00 alle 17.00.
Info: +44 (0)20 7307 3888
I ritratti di Lucian Freud
‘Ho sempre voluto creare dramma nei miei quadri, è per questo che dipingo la gente. Si tratta di persone che hanno portato dramma alle immagini fin dall’inizio. I più semplici gesti umani sanno raccontare storie.’
Quando Lucian Freud morì, nel luglio scorso, tra tutte le immagini che costellavano articoli, memorie e necrologi, questa fotografia, scattata dal suo assistente di lunga data David Dawson, fu quella che mi colpì di più e che, forse, seppure in maniera teatrale e simbolica, raccontava meglio del carattere e del genio dell’artista appena scomparso. Una luce caravaggesca illumina il pittore nel suo studio e lo fa apparire come un arcere, intento a scegliere accuratamente i dardi, strumenti della sua arte. Freud è un’uomo anziano, la luce ne descrive oggettiva le linee e le grinze del corpo, proprio come lui seppe ritrarre le nudità e le forme di tanti suoi soggetti, senza scusanti né abbellimenti superflui, con una lucidità analitica a volte spietata, perché la pittura si facesse carne, e la carne rivelasse un’anima.
Sulle pareti, i pavimenti, la porta e la sedia, si assiepano con furia strisce multicolori, pastose e indurite. Freud non usava una vasta gamma di tinte, al massimo otto. Tolto il tappo ai suoi colori, non lo rimetteva. Lasciava seccare l’ultimo grumo di pittura e, per ricominciare a dipingere, picchiava il tubo contro una superficie dura, la prima che gli capitasse a tiro. Un rituale. Lungo oltre quaranta anni. Come tanti altri, quando dipingeva. La tavolozza che non veniva mai pulita, il telefono che suonava lontano giù da basso, e lui che lavorava lentamente ai suoi ritratti, in piedi, lo sguardo febbrile e indagatore su corpi in posa, la presenza silenziosa e fidata del suo levriero nella stanza. Quel levriero che oggi resta quieto, acciambellato accanto al corpo nudo dell’assistente Dawson, nell’ultima tela che Freud non è riuscito a terminare. Omaggio ad un’amicizia e ad un rapporto di lavoro leale e costante, pennellate interrotte in un quesito, destinato a restare insoddisfatto, che percorre la tela dal basso in alto, fino allo spettatore. “Portrait of the Hound” è in mostra da oggi, assieme ad oltre 100 lavori di Lucian Freud, alla National Portrait Gallery. Una vita affascinante ed intensa, raccontata in pittura, piuttosto che in forma di asettica retrospettiva biografica.
Bicentenario
Il 7 febbraio 1812 Charles John Huffam Dickens nasceva a Portsmouth. Gli anni della sua prima gioventù sarebbero stati segnati da numerosi traslochi (da Portsmouth a Bloomsbury, da Chatham a Camden Town, il quartiere allora più disagiato di Londra), dalla povertà, dall’onta di vedere finire in prigione suo padre per debiti, dagli studi sacrificati per un duro lavoro di dieci ore giornaliere in una fabbrica di lucido per scarpe, dove, tra l’umidità e i topi, bisognava attaccare etichette su latte ricoperte di carta bianca e blu. Poi arrivò un’eredità insperata, e il giovane Dickens salvò se stesso grazie allo studio della stenografia, che gli permise di diventare giornalista e dare sfogo alle sue doti di scrittore. Molto probabilmente, se Charles non avesse conosciuto un’adolescenza così infelice, degradata ai sordidi meandri in cui si dibattevano i poveri senza nome di una Londra nebbiosa costellata di slums, non avrebbe forse mai scritto capolavori senza tempo come Oliver Twist, David Copperfield e The Bleak House. Charles Dickens è stato il più grande ritrattista di Londra, ne ha saputo delineare angoli gotici, mercati maleodoranti, strade fangose e tutta un’umanità fatta di giovani coraggiosi, eroine virginali, avari eccentrici, anonimi impiegati, vecchi cialtroni, ricchi benefattori, fuggiaschi e mendicanti. Londra fu per Dickens tanto un vasto palcoscenico che una mitica prigione. Un dinosauro di fango e miasmi, un groviglio intimo di vicoli e stanze in affitto, affollati di vita e di umorismo.
Londra festeggia il suo più famoso scrittore con mostre e iniziative speciali.
Innanzitutto, consigliamo di recarvi al più presto a far visita alla Casa di Dickens, che oggi regalerà delle cupcakes celebrative ai primi 200 visitatori, allietando il tutto con letture e personaggi in costume. La casa museo rimarrà aperta fino al 9 aprile, poi resterà chiusa per 8 mesi, per lavori di ristrutturazione e ampliamento.
Non poteva mancare una mostra sulla Londra Vittoriana di Dickens. E’ quella multimediale in programma al Museum of London, fino al 10 giugno. Dickens era anche un appassionato di racconti macabri e fenomeni paranormali (pensate solo ai fantasmi del suo A Christmas Carol) e aveva aderito al Ghost Club, un’associazione di studi fondata nel 1862. Fino al 4 marzo, alla British Library, una mostra gratuita esplora, attraverso documenti e lettere, l’interesse che Dickens dimostrò per i fenomeni paranormali, e che confluì spesso nelle sue opere.
Al Victoria & Albert Museum, detentore di una vasta collezione di libri, documenti autografi, corrispondenze e illustrazioni, la sala 85 offre un percorso espositivo che, attraverso manoscritti originali ed edizioni a stampa, svela tutti gli sviluppi di David Copperfield, l’opera più autobiografica di Dickens. E per finire, nella sala 24 della National Portrait Gallery, potrete ammirare alcuni ritratti dello scrittore, tra cui quello realizzato dal famoso fotografo vittoriano Herbert Watkins, nonché immagini e documenti relativi a familiari, amici e contemporanei.
Happy Birthday!
60 anni di Regno
Il 6 febbraio 1952, re Giorgio VI, da tempo sofferente per un cancro, morì durante il sonno. Una settimana prima, aveva sfidato il parere dei medici, per andare a salutare la figlia in aeroporto. La principessa Elisabetta si trovava in Kenia, a 100 miglia da Nairobi, nel parco nazionale di Aberdare. Alloggiava in una casa costruita su un ficus gigante, parte dell’Outspan Hotel fondato dal Maggiore Eric Sherbrooke Walker. La casa sull’albero si trovava sul passaggio degli animali selvaggi alle risorse d’acqua. La principessa si rilassava dagli impegni reali e si dilettava a riprendere gli elefanti con la sua cinepresa. Essendo la località abbastanza remota, l’annuncio della morte del re impiegò qualche tempo a raggiungere Elisabetta. Non deve essere stato facile apprendere la notizia e scoprirsi regina. Jim Corbett, un cacciatore inglese, che si trovava anche lui ad Aberdare, vergò nel libro dei visitatori dell’albergo alcune righe, in tipico humour britannico: “Per la prima volta nella storia del mondo, una giovane ragazza si arrampicò su un albero da principessa e, dopo avere descritto l’esperienza come la più emozionante della sua vita, scese dall’albero il giorno successivo per ritrovarsi Regina.”
Horniman Museum
Una piacevole domenica autunnale in SE4 era quello che ci voleva. Tarda colazione in un caratteristico caffe’ del quartiere, passeggiatina su Brockley Road fino alla fermata del P4, e viaggio minimo a bordo di suddetto bus fino all’Horniman Museum per visitare la mostra del momento, “Dancing for the Gods”, un’esplorazione della cultura e della musica di Bali, con tantissimi oggetti e manufatti dagli anni ’30 a oggi.

Vale la pena avventurarsi lontano dalle rotte turistiche per visitare questo museo.
Il signor Frederick John Horniman era un mercante di tè che nei suoi viaggi raccolse veramente un pò di tutto, dalle maschere africane, agli strumenti musicali, dagli animali impagliati ai fossili. Inizialmente aprì la sua casa al pubblico, ma, quando la collezione divenne troppo grande, decise di finanziare la costruzione di un museo, inaugurato nel 1901, a cui si aggiunse un secondo nucleo nel 1911. Se per caso immaginavate un derelitto museo di quartiere, con quattro vetrinette zeppe di curiosità vittoriane, non potevate essere più fuori strada. La collezione permanente consta di ben 350.000 oggetti ripartiti in tre sezioni affascinanti: Culture del Mondo, Strumenti Musicali, Storia Naturale. E i percorsi espositivi sono assolutamente ripensati in chiave moderna. Il complesso è stato ristrutturato recentemente e comprende un giardino, una bella serra vittoriana, una biblioteca e uno degli acquari più antichi di Londra, ovviamente rinnovato e aggiornato per fornire un ambiente più consono agli animali che vi sono ospitati.

The Horniman Museum,
100 London Road, Forest Hill,London SE23 3PQ.
Aperto tutti i giorni dalle 10.30 alle 17.30.
Ingresso GRATUITO.







