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Casa Dolce Casa…

RIBA Library Photographs Collection

© RIBA Library Photographs Collection

Sembra che le case inglesi siano quelle con le stanze più piccole d’Europa, e, nonostante il fioccare di palazzi e palazzoni nuovissimi, a discapito di strade vittoriane ed edifici vetusti, più facili da demolire che da restaurare, la percentuale di crescita edilizia dal dopoguerra ad oggi è comunque bassa. Gli architetti postmoderni, con la passione per il cemento e per strutture falliche che si rincorrono da un capo all’altro del tessuto urbano, obliterando la vista e cancellando realtà consolidate, nonché la caduta degli standards e la nuova parola d’ordine, “regeneration”, hanno contribuito a modificare i connotati di interi quartieri di Londra e di altre città del Regno Unito. Tuttavia, la casa è il luogo dove gli inglesi passano molto tempo, nonostante lunghe ore di lavoro, viaggi sui mezzi pubblici e sedute al pub. Ed è alla casa, dall’epoca georgiana ad oggi, che il Royal Institute of British Architects (RIBA) dedica una bella mostra gratuita.
“A Place to Call Home” passa in rassegna trecento anni di design edilizio, partendo da esempi eccelsi del XVIII secolo, quali la Banqueting House a Londra e la West Cliff Terrace a Brighton, passando per gli appartamenti del 1943 dotati di mini cucine, per proseguire con disparati esperimenti moderni, come la piacevole Keeling House di Bethnal Green o discutibili file di case senza camino nella periferia di Corby. Si evince che gli ingredienti base dell’architettura Regency, grandi finestre che scandiscono ritmicamente le facciate in mattoni, balconcini di ferro battuto, bianchi pilastrini e modanature, sono elementi di successo, che vanno a ripetersi, con opportune varianti, fino alla Seconda Guerra Mondiale. Poi, tutto cambia. Le donne iniziano a lavorare e una mini cucina con i componenti in linea, quasi una catena di montaggio, è preferibile a vasti spazi vittoriani. Le voragini lasciate dalle bombe del Blitz e la richiesta impellente di unità abitative, spinge gli architetti a rivisitare interi quartieri, spazzando via gli ultimi lacerti di casette post rivoluzione industriale, e proponendo soluzioni imponenti, con muri di cemento, alti soffitti, e finestre da cui guardare giù in strada.
La mostra al RIBA, curata da Sarah Beeny, presentatrice tv ed esperta del mercato immobiliare, è ricca di disegni, piante e fotografie, resterà aperta al pubblico fino al 17 aprile e sarà accompagnata da una fitta serie di eventi, conferenze e proiezioni di film-documentari.

“A Place to Call Home”
RIBA, 66 Portland Place,
W1B 1AD, Londra
Orario: dal lunedì al sabato, dalle 10.00 alle 17.00.
Info: +44 (0)20 7307 3888

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La neve a Londra, again…

snow_in_the_garden ©LondonSE4

Every branch big with it,
Bent every twig with it;
Every fork like a white web-foot;
Every street and pavement mute.

Thomas Hardy – Snow in the Suburbs

E’ caduta di nuovo, nella notte. Non molta, giusto due dita. Come una spolverata di zucchero a velo su un dolce di altri tempi. Un velo caduto sulle cose là fuori a renderle magiche ed immacolate. Quanto bastava per sorprendermi, ancora assonnata, mentre scostavo le tende per lasciare entrare la luce del mattino. Come ogni altra città, all’indomani di una nevicata, Londra appare più bella. Ma SE4 imbiancata acquista un tono romantico particolare, da dagherrotipo.
Questo posto finisce sempre per colpire irrazionalmente l’immaginario emotivo che è dentro di me. Sarà per i profili vittoriani delle case, sui cui tetti pesa un cielo lattiginoso e compatto, per i mews abbandonati che attraversano il quartiere come fenditure di ciottoli divelti, oppure per quei vecchi giardini dai rami nudi e dalle siepi intricate, dove gli alberi da frutto restano ancora sospesi come grucce nel sonno dell’inverno e i pettirossi rompono il silenzio modulando un canto dolce e lontano…

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I ritratti di Lucian Freud

Lucian Freud working at night © David Dawson

‘Ho sempre voluto creare dramma nei miei quadri, è per questo che dipingo la gente. Si tratta di persone che hanno portato dramma alle immagini fin dall’inizio. I più semplici gesti umani sanno raccontare storie.’


Quando Lucian Freud morì, nel luglio scorso, tra tutte le immagini che costellavano articoli, memorie e necrologi, questa fotografia, scattata dal suo assistente di lunga data David Dawson, fu quella che mi colpì di più e che, forse, seppure in maniera teatrale e simbolica, raccontava meglio del carattere e del genio dell’artista appena scomparso. Una luce caravaggesca illumina il pittore nel suo studio e lo fa apparire come un arcere, intento a scegliere accuratamente i dardi, strumenti della sua arte. Freud è un’uomo anziano, la luce ne descrive oggettiva le linee e le grinze del corpo, proprio come lui seppe ritrarre le nudità e le forme di tanti suoi soggetti, senza scusanti né abbellimenti superflui, con una lucidità analitica a volte spietata, perché la pittura si facesse carne, e la carne rivelasse un’anima.
Sulle pareti, i pavimenti, la porta e la sedia, si assiepano con furia strisce multicolori, pastose e indurite. Freud non usava una vasta gamma di tinte, al massimo otto. Tolto il tappo ai suoi colori, non lo rimetteva. Lasciava seccare l’ultimo grumo di pittura e, per ricominciare a dipingere, picchiava il tubo contro una superficie dura, la prima che gli capitasse a tiro. Un rituale. Lungo oltre quaranta anni. Come tanti altri, quando dipingeva. La tavolozza che non veniva mai pulita, il telefono che suonava lontano giù da basso, e lui che lavorava lentamente ai suoi ritratti, in piedi, lo sguardo febbrile e indagatore su corpi in posa, la presenza silenziosa e fidata del suo levriero nella stanza. Quel levriero che oggi resta quieto, acciambellato accanto al corpo nudo dell’assistente Dawson, nell’ultima tela che Freud non è riuscito a terminare. Omaggio ad un’amicizia e ad un rapporto di lavoro leale e costante, pennellate interrotte in un quesito, destinato a restare insoddisfatto, che percorre la tela dal basso in alto, fino allo spettatore. “Portrait of the Hound” è in mostra da oggi, assieme ad oltre 100 lavori di Lucian Freud, alla National Portrait Gallery. Una vita affascinante ed intensa, raccontata in pittura, piuttosto che in forma di asettica retrospettiva biografica.

Lucian Freud's Last Painting ©David Dawson 2011

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Bicentenario

Charles Dickens by H.Watkins_ ©LondonSE4

Il 7 febbraio 1812 Charles John Huffam Dickens nasceva a Portsmouth. Gli anni della sua prima gioventù sarebbero stati segnati da numerosi traslochi (da Portsmouth a Bloomsbury, da Chatham a Camden Town, il quartiere allora più disagiato di Londra), dalla povertà, dall’onta di vedere finire in prigione suo padre per debiti, dagli studi sacrificati per un duro lavoro di dieci ore giornaliere in una fabbrica di lucido per scarpe, dove, tra l’umidità e i topi, bisognava attaccare etichette su latte ricoperte di carta bianca e blu. Poi arrivò un’eredità insperata, e il giovane Dickens salvò se stesso grazie allo studio della stenografia, che gli permise di diventare giornalista e dare sfogo alle sue doti di scrittore. Molto probabilmente, se Charles non avesse conosciuto un’adolescenza così infelice, degradata ai sordidi meandri in cui si dibattevano i poveri senza nome di una Londra nebbiosa costellata di slums, non avrebbe forse mai scritto capolavori senza tempo come Oliver Twist, David Copperfield e The Bleak House. Charles Dickens è stato il più grande ritrattista di Londra, ne ha saputo delineare angoli gotici, mercati maleodoranti, strade fangose e tutta un’umanità fatta di giovani coraggiosi, eroine virginali, avari eccentrici, anonimi impiegati, vecchi cialtroni, ricchi benefattori, fuggiaschi e mendicanti. Londra fu per Dickens tanto un vasto palcoscenico che una mitica prigione. Un dinosauro di fango e miasmi, un groviglio intimo di vicoli e stanze in affitto, affollati di vita e di umorismo.

Londra festeggia il suo più famoso scrittore con mostre e iniziative speciali.

Innanzitutto, consigliamo di recarvi al più presto a far visita alla Casa di Dickens, che oggi regalerà delle cupcakes celebrative ai primi 200 visitatori, allietando il tutto con letture e personaggi in costume. La casa museo rimarrà aperta fino al 9 aprile, poi resterà chiusa per 8 mesi, per lavori di ristrutturazione e ampliamento.
Non poteva mancare una mostra sulla Londra Vittoriana di Dickens. E’ quella multimediale in programma al Museum of London, fino al 10 giugno. Dickens era anche un appassionato di racconti macabri e fenomeni paranormali (pensate solo ai fantasmi del suo A Christmas Carol) e aveva aderito al Ghost Club, un’associazione di studi fondata nel 1862. Fino al 4 marzo, alla British Library, una mostra gratuita esplora, attraverso documenti e lettere, l’interesse che Dickens dimostrò per i fenomeni paranormali, e che confluì spesso nelle sue opere.
Al Victoria & Albert Museum, detentore di una vasta collezione di libri, documenti autografi, corrispondenze e illustrazioni, la sala 85 offre un percorso espositivo che, attraverso manoscritti originali ed edizioni a stampa, svela tutti gli sviluppi di David Copperfield, l’opera più autobiografica di Dickens. E per finire, nella sala 24 della National Portrait Gallery, potrete ammirare alcuni ritratti dello scrittore, tra cui quello realizzato dal famoso fotografo vittoriano Herbert Watkins, nonché immagini e documenti relativi a familiari, amici e contemporanei.

Happy Birthday!

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60 anni di Regno

queen elizabeth II by warhol

Il 6 febbraio 1952, re Giorgio VI, da tempo sofferente per un cancro, morì durante il sonno. Una settimana prima, aveva sfidato il parere dei medici, per andare a salutare la figlia in aeroporto. La principessa Elisabetta si trovava in Kenia, a 100 miglia da Nairobi, nel parco nazionale di Aberdare. Alloggiava in una casa costruita su un ficus gigante, parte dell’Outspan Hotel fondato dal Maggiore Eric Sherbrooke Walker. La casa sull’albero si trovava sul passaggio degli animali selvaggi alle risorse d’acqua. La principessa si rilassava dagli impegni reali e si dilettava a riprendere gli elefanti con la sua cinepresa. Essendo la località abbastanza remota, l’annuncio della morte del re impiegò qualche tempo a raggiungere Elisabetta. Non deve essere stato facile apprendere la notizia e scoprirsi regina. Jim Corbett, un cacciatore inglese, che si trovava anche lui ad Aberdare, vergò nel libro dei visitatori dell’albergo alcune righe, in tipico humour britannico: “Per la prima volta nella storia del mondo, una giovane ragazza si arrampicò su un albero da principessa e, dopo avere descritto l’esperienza come la più emozionante della sua vita,  scese dall’albero il giorno successivo per ritrovarsi Regina.”

L’anniversario dell’accessione al trono è stato salutato oggi in Hyde Park con 41 colpi di cannone, seguiti da ben 62 alla Torre di Londra. Le celebrazioni vere e proprie per il Diamond Jubilee si terranno invece in giugno, durante un lungo weekend di festeggiamenti. Nel frattempo, verranno emessi dei nuovi francobolli commemorativi e, da dopodomani, il Victoria & Albert Museum dedicherà una mostra di ritratti della sovrana, realizzati da Sir Cecil Beaton.
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La neve anche a Londra

snow in london 2012

Alla fine è venuta giù, silenziosa e costante, per tutta la notte. Come sempre, la neve a Londra è uno spettacolo, un po’ magico, più spesso inquietante, per i disagi che crea ad una metropoli sempre di corsa. Questa volta, però, il comune non si è fatto trovare impreparato. Il sale era stato sparso per tempo, circolavano gli autobus e persino i treni, con impercettibile ritardo. Nonostante la bronchite, ho sfidato il gelo per andare a scattare delle foto dall’Hungerford Bridge. Di domenica mattina la città era ancora infreddolita e assonnata, e giravano pochissime persone: sparuti turisti, fotografi professionisti con cavalletto ed irrinunciabili sportivi, corrucciati e di corsa lungo il southbank.

Di ritorno in SE4 sono rimasta colpita da un fenomeno strano.

face in the snow

Nella neve che ricopriva Ashby Road, ho intravisto le linee sinistre di un volto. Non erano frutto di intervento umano, erano proprio delle fenditure nel manto nevoso, del tutto naturali. Ho scattato una foto. Mi sono venute in mente tutte le storie di fantasmi di Brockley, il cavaliere con il tricorno, la faccia demoniaca, la fanciulla Rosalie e le sedute spiritiche di Harry Price in Wickham Road. Coincidenze?

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It’s Misery Week


E fa freddo, e tutti si lamentano. Perché in terra angla, parlare del tempo, è un pò lo sport nazionale. E non si è mai contenti. Se ci sono le farfalle in gennaio e il sole splende allora “che caldo, diamine, non è mica normale for the season!”, e se piove, “damn, mate, it’s bloody raining again!“, e se fa freddo,“oooh it’s soOo cold!”.
Parlare delle condizioni climatiche è un rompighiaccio, un modo non troppo invadente per scambiare due chiacchiere di circostanza nell’ascensore, mentre si aspetta il treno, mentre si fa la fila per il bagno.
E forse, la gente si lamenta anche perchè…

IT’S MISERY WEEK!

Sembra infatti che questa sia la famosa settimana in cui i poveri mortali son colpiti dalle tre W: Weather, Wallet e Wasted time.
La prima W si commenta da sé. La seconda rappresenta il fatto che, proprio ora che ci sono i saldi e le occasioni, il portafoglio e il conto in banca sono stati svuotati (mi viene in mente la tarma volante che esce dalle tasche di Paolino Paperino). E per finire, il tempo sprecato della terza W è quello delle RESOLUTIONS ambiziose che abbiamo messo in discussione o abbandonato in meno di 10 giorni (ad esempio: tornare in palestra, mettersi a dieta, imparare il vietnamita, trombare di +, fumare di -, eccetera).
Ma niente paura, la primavera arriverà, come sempre, magari con temperature anomale, e se la dieta è saltata, regalarsi una barretta di cioccolato per tirarsi su non è poi la fine del mondo.

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Horniman Museum

Una piacevole domenica autunnale in SE4 era quello che ci voleva. Tarda colazione in un caratteristico caffe’ del quartiere, passeggiatina su Brockley Road fino alla fermata del P4, e viaggio minimo a bordo di suddetto bus fino all’Horniman Museum per visitare la mostra del momento, “Dancing for the Gods”, un’esplorazione della cultura e della musica di Bali, con tantissimi oggetti e manufatti dagli anni ’30 a oggi.

Vale la pena avventurarsi lontano dalle rotte turistiche per visitare questo museo.

Il signor Frederick John Horniman era un mercante di tè che nei suoi viaggi raccolse veramente un pò di tutto, dalle maschere africane, agli strumenti musicali, dagli animali impagliati ai fossili. Inizialmente aprì la sua casa al pubblico, ma, quando la collezione divenne troppo grande, decise di finanziare la costruzione di un museo, inaugurato nel 1901, a cui si aggiunse un secondo nucleo nel 1911.  Se per caso immaginavate un derelitto museo di quartiere, con quattro vetrinette zeppe di curiosità vittoriane, non potevate essere più fuori strada. La collezione permanente consta di ben 350.000 oggetti ripartiti in tre sezioni affascinanti: Culture del Mondo, Strumenti Musicali, Storia Naturale. E i percorsi espositivi sono assolutamente ripensati in chiave moderna. Il complesso è stato ristrutturato recentemente e comprende un giardino, una bella serra vittoriana, una biblioteca e uno degli acquari più antichi di Londra, ovviamente rinnovato e aggiornato per fornire un ambiente più consono agli animali che vi sono ospitati.

seahorse

The Horniman Museum,

100 London Road, Forest Hill,London SE23 3PQ.

Aperto tutti i giorni dalle 10.30 alle 17.30.

Ingresso GRATUITO.

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Je parle ici de l’amateur

antiquarian book fair
Ogni passione confina con il caotico, ma la passione del collezionista confina con il caos dei ricordi. Più ancora: il caso, il fato, di cui è soffuso il passato ai miei occhi, sono intensamente presenti nell’abituale confusione di questi libri…” – Walter Benjamin

Mi piacciono i libri vecchi, quelli fuori catalogo, quelli con un centinaio di anni sulle spalle o anche più. Mi piace l’odore stantio della carta, la copertina di cartone rigido con i rilievi, i margini delle pagine ingiallite dal tempo, i caratteri un pò pesanti, leggermente sfumati, che raccontano cose nella lingua e nelle tonalità del tempo che fu. Mi piacciono i libri illustrati da incisioni, unico mezzo per documentare avventure, scoperte, sogni. Mi piacciono i libri con una dedica ed una data, il premio per la gara di matematica, il regalo di Natale o l’ex libris di una biblioteca ormai disfatta. Mi piace perdermi nelle librerie del centro, quelle con la scaletta che va giù nei meandri dello scantinato, un silenzio misterioso che può valere un incontro, una scoperta. Adoro anche le bancarelle e gli scaffali dei rigattieri, là dove, mancando l’erudizione e l’occhio esperto di chi se ne intende, un prezioso volume può essere dismesso per pochi centesimi.
Londra è un luogo privilegiato per certe passioni, ci sono più mercanti di volumi, stampe e mappe d’epoca qui che in ogni altra città del mondo. Ci sono posti dove posso solo ammirare la vetrina, perché i prezzi superano le mie possibilità.
Uno di questi negozi antiquari è Sotheran, a Piccadilly. Mi fermo spesso davanti alla vetrina, e finendo gli ultimi sorsi di un cappuccino brodaglia (un pò come quella Holly che faceva colazione da Tiffany), rimiro i Piranesi e gli Hogarth, le damine del Settecento e i pesci tropicali.
Guardare non costa nulla.
Ed è con questa filosofia di vita, che, munita di biglietto gratuito, mi sono recata alla Olympia Book Fair, uno degli eventi più prestigiosi nel suo genere.
Gli espositori venivano non solo da tutto il Regno Unito, ma anche dalla Germania, dalla Francia, dai Paesi Bassi e dagli USA.
File interminabili di libri. Volumi di storia naturale illustrati tra XVIII e XIX secolo con dei colori e dei prezzi da capogiro. Prime edizioni del magico mondo di Beatrix Potter, resoconti di viaggi, mappe, tomi di medicina, arte e storia, teatrini di cartone.
La fauna sparuta dei collezionisti, il linguaggio degli iniziati, le cifre a vari zeri, le note tecniche quasi criptiche e dappertutto quell’odore di sacro e stantio, al cui fascino non si sa rinunciare, per il cui possesso ci si può anche dannare l’anima, come seppe raccontare Asselineau nel suo Enfer

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Donne e Topi

La terra angla ha dato i natali a Beatrix Potter. Generazioni di bambini albionici, e non solo, sono cresciute con le fantastiche storie di Peter Rabbit e i suoi amici roditori, pennuti e anfibi.  Beatrix Potter aveva avuto un’infanzia molto solitaria e infelice e quando era piccola passava gran parte delle giornate in compagnia di topolini e altri piccoli animali. Oltre ad essere stata un’illustratrice di successo, Beatrix si era distinta in tarda età come esperta micologa e nei suoi studi, oltre ad aver illustrato tavole botaniche, aveva intuito il processo di germinazione delle spore e il ciclo di vita dei miceti. Già da fanciulla, Potter aveva dimostrato una vivace passione per la scienza. Infatti, se i topi, le lucertole o i rospi della nursery non se la passavano bene, lei li usava come cavie e così studiava come erano fatti dentro. Il chiaro approccio pragmatico e l’occhio attento e indagatore fanno di questa signora vittoriana un fulgido esempio di flemma britannica. Nel 1897, Beatrix Potter aveva scritto un trattato scientifico sui funghi, che però era stato letto alla Linnean Society da parte di un uomo; infatti, essendo donna, Beatrix non aveva potuto nemmeno presenziare all’evento.  Il saggio, “On the germination of the spores of agaricineae”, fu accettato dalla Linnean Society per essere essere dato alle stampe, ma andò perduto sulla via della correzione di bozze. Tuttavia, ne si conoscono i contenuti grazie ad alcuni estratti collazionati dal Dr Watling del Royal Botanic Garden di Edinburgo.  Inutile dire che Beatrix abbandonò la carriera scientifica per illustrare The Tale of Peter Rabbit e altre storie per bambini.  A Beatrix Potter hanno dedicato mostre, libri, un favoloso negozietto in quel di Covent Garden e, in anni recenti, anche un film. Esiste anche la Beatrix Potter Society, per promuovere lo studio e la conoscenza della vita e delle opere dell’autrice, che fu una valente artista botanica e di paesaggio, nonche’ diarista e ambientalista. Inoltre, il suo contributo allo sviluppo della ricerca micologica, è unanimente riconosciuto dagli scienziati di oggi.
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