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A Londra, due Festival delle Luci

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Per molti, gennaio è un mese deprimente: freddo e buio ci attanagliano, e le Feste sono ormai alle spalle, con tutto il carico di buoni propositi destinati a naufragare, un girovita appesantito e la poca voglia di rimettersi al lavoro. La luce, si sa, può allontanare il malumore. Un doppio appuntamento gratuito con un festival delle luci, è l’evento da non mancare. Londra è una città all’avanguardia nell’attuazione di iniziative artistiche, che rappresentano, allo stesso tempo, un intervento di decoro urbano (basti pensare ai tanti ‘sculpture trails’ che ogni anno mettono cittadini e visitatori in contatto con nuovi linguaggi artistici o permettono loro di scoprire aneddoti e storie interessanti).

Un festival delle luci è l’occasione perfetta per fare una passeggiata, da soli o con amici, alla scoperta di installazioni luminose create da artisti britannici ed internazionali, allo scopo di stupire, divertire, ma anche far riflettere.
L’iniziativa, delimitata ad una o più aree di intervento, è non soltanto un’occasione di riqualificazione urbana e di coinvolgimento pubblico, ma, ripetuta nel tempo, si pone anche come interessante attrattiva turistica.

A Canary Wharf, dall’11 al 20 gennaio, Winter Lights offre ai visitatori un tour di 18 installazioni luminose, che includeranno farfalle di luce, un alieno di oltre 5 metri, e una scultura al neon creata dal palestinese Alaa Minawi, in solidarietà con i rifugiati siriani.

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A complemento del festival, nella lobby di One Canada Square, si potrà anche visitare la mostra di Nathaniel Rackowe, dal titolo “The Luminous City”.
Dal 14 al 17 gennaio, Lumiere London trasformerà ogni sera le strade del centro, tra Westminster e King’s Cross. Anche qui si potranno ammirare le opere di una ventina di artisti internazionali, tra cui Julian Opie, Sarah Blood e Porté par le Vent, che, dopo il successo in Francia e a Gerusalemme, porteranno Les Luminéoles, un affascinante spettacolo di pesci fluttuanti, nel cuore di Piccadilly.
Questi eventi gratuiti, seguono l’esempio di altri festival europei di successo (basti citare la Fête des Lumières di Lione) e, oltre ad attirare migliaia di londinesi e visitatori, si spera riusciranno come antidoto al post-holiday blues.

 

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La Londra di Samuel Pepys

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Il Seicento fu un secolo turbolento per l’Inghilterra. Tra la Guerra Civile, il regicidio di Carlo I (1649), la Repubblica di Cromwell, il ritorno di Carlo II dall’esilio in Olanda (1660), le dispute sulla successione sfociate nella Gloriosa Rivoluzione e l’ordine ristabilito nel 1689, si vennero a creare importanti sviluppi costituzionali e le premesse per un Paese moderno, democratico e protestante. Oltre a questi rivolgimenti politici, Londra fu vittima di due eventi devastanti: la Grande Peste del 1665 e il Grande Incendio del 1666. La prima, decimò quasi un quinto della popolazione, il secondo distrusse i due terzi della città, inclusa la cattedrale di St. Paul. Il Seicento, fu anche l’epoca in cui, tra gli scrittori famosi, oltre a poeti e commediografi, si possono annoverare prosatori come filosofi e diaristi, promotori di un linguaggio chiaro e razionale, desunto dalla scienza. Tra i diaristi, assai numerosi nel XVII secolo, sono due quelli che hanno narrato, inframezzati alle loro vicende personali e di vita quotidiana, fatti salienti dal punto di vista storico: John Evelyn, uno dei fondatori della Royal Society, e Samuel Pepys, politico e funzionario navale. Sebbene entrambi abbiano raccontato della Peste e del Grande Incendio, il diario di Pepys, ha superato per fama quello suo contemporaneo, responsabile di un lavoro più sobrio, e, in gran parte meno, personale. Per dieci anni, dal 1660 al 1669, Pepys scrisse sulla sua vita in gran dettaglio, e, inevitabilmente, finì per dipingere un ritratto della sua città e un memoriale della Restaurazione. Il diario contiene vivaci descrizioni di come la Peste e il Grande Incendio avessero devastato Londra, ma è anche strapieno di dettagli sugli spostamenti quotidiani di Pepys, che mostra sempre grande interesse e curiosità per tutto ciò che accade intorno a lui.  Figlio di un sarto, Samuel Pepys era adolescente quando il re Carlo I fu decapitato, e, appena ventisettenne, quando si trovava a bordo, assieme a suo cugino, Edward Montagu, della nave che riportava Carlo II in Inghilterra. Nel suo ruolo di funzionario navale e segretario dell’ammiragliato di Sua Maestà, ebbe accesso a corte e nei circoli politici più influenti in città. Pepys dovette la sua carriera, così come la sua istruzione, al talento e al duro lavoro.  Appassionato bibliofilo (alla sua morte lasciò una vastissima raccolta di volumi), musicista e cantante dilettante (suonava diversi strumenti, esibendosi in casa, in taverne e coffee houses e persino a Westminster Abbey), si interessò anche di astronomia e scienza, acquistando via via strumenti ottici e matematici. Quello che del diario di Mister Pepys attrae ancora oggi il lettore moderno è il fatto che in esso si mescolino mirabilmente e con sottile ironia affari di stato e dettagli domestici. Pepys scrisse praticamente di tutto, dalla vita a Corte alle sue scappatelle con le attrici di teatro, dallo stato delle finanze personali all’acquisto di un nuovissimo orologio dotato di sveglia, dalle serate con gli amici, rallegrate da vino e musica, ai battibecchi con la moglie e al gatto che lo teneva sveglio all’una del mattino. Forse, uno degli episodi più celebri, è quello che, il 5 settembre 1666, vede il protagonista scavare una buca in giardino, per mettere in salvo dal Grande Incendio documenti e una forma di prezioso parmigiano (!). Pepys spesso conclude la sua scrittura per la giornata con la frase “And so to bed” (e così a letto), che a volte si usa oggi in modo umoristico. Il diario si interrompe, dopo un decennio ed oltre tremila pagine, nel 1669, quando l’autore, preoccupato di perdere irrimediabilmente la vista, decide di smettere di scrivere a lume di candela, non ritenendo peraltro opportuno affidarsi alla dettatura di contenuti così personali. Vivrà ancora altri trentaquattro anni, senza divenire cieco e senza riprendere a scrivere le sue memorie. Il diario, redatto in una forma di stenografia, nota all’epoca, resterà nascosto tra i volumi della biblioteca di Pepys fino a quando, nel 1825, il reverendo John Smith riuscirà a dare alle stampe una traduzione, costatagli tre anni di duro lavoro (essendo ignaro che, la chiave di decodifica del sistema stenografico, era stata lasciata da Pepys in uno dei suoi volumi). La versione completa dell’opera fu pubblicata solo nel 1970, da Bell & Hyman. Infatti, le pubblicazioni vittoriane erano scevre dai passaggi più scandalosi, quelli che includevano le relazioni extraconiugali di Pepys e i dettagli più piccanti delle sue avventure, che il diarista annotava con cautela, mescolando all’inglese, parole in francese e italiano.
Da oggi, una mostra su Samuel Pepys al National Maritime Museum cerca di restituirci una visione ampliata del personaggio e della sua epoca, al di là delle vibranti pagine del diario. Si potranno ammirare gli strumenti musicali di cui Pepys amava servirsi (scoprendo ad esempio com’è fatta una tiorba), i ferri chirurgici che un dottore, come Thomas Hollier, avrebbe usato per operare Samuel di dolorosissimi calcoli alla vescica (e senza anestesia), i ben noti registri parrocchiali che elencavano, tra teschi e ossa incrociate, il triste record dei morti di peste, un’evocazione audio-visiva dell’incendio del 1666, i telescopi che aiutavano a guardare lontano, nonché uno dei più famosi ritratti del diarista, dipinto da John Hayls, seguace di Van Dyck. Pepys cominciò a sedere per questo ritratto il 17 marzo del 1666. Lo scrittore quasi si ruppe il collo, costretto com’era a guardarsi sopra le spalle, per mantenere una postura adatta ad ottenere un quadro pieno di ombre, così come dettava la moda del tempo. In mano, il diarista tiene una lirica di Sir William Davenant, “Beauty Retire”, musicata da egli stesso, di cui un esempio si può anche ascoltare qui.

“Samuel Pepys: Plague, Fire, Revolution” è al National Maritime Museum fino al 28 marzo 2016. Alla mostra si accompagna un fitto programma di conferenze, visite guidate e anche una serata con musiche e danze seicentesche, degustazioni di rum e letture dal celebre diario.

Inoltre:

Il diario di Samuel Pepys si può consultare online, in formato weblog;

Una versione italiana del diario è stata pubblicata recentemente, anche in formato ebook, da Castelvecchi editore;

Da gennaio 2016, una speciale Instawalk, anche in italiano, guiderà i partecipanti alla scoperta dei luoghi di Samuel Pepys, permettendo loro di rivivere il passato e sperimentare nuovi approcci di fotografia mobile.
Info: citywalkslondon@gmail.com.

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Suffragette a Londra

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Oggi esce nelle sale britanniche Suffragette, film drammatico di Sarah Gavron, che ripercorre i momenti salienti della lotta per l’emancipazione e per il diritto di voto per le donne all’inizio del XX secolo. Nel cast, attrici del calibro di Carey Mulligan, Helena Bonham Carter, e Meryl Streep, quest’ultima nei panni di Emmeline Pankhurst, attivista e guida del movimento suffragista. Agli inizi del XX secolo, solo il 60% dellla popolazione maschile aveva diritto di voto, e questo era stabilito in base al reddito, al salario e alla proprietà. Al voto non avevano accesso i poveri, i malati di mente, gli assassini e le donne. Nel 1906 il Women Social Political Union (WSPU), fondato a Manchester tre anni prima, si trasferì a Londra per essere più visibile. Il quartier generale del WSPU si stabilì ai numeri 3 e 4 di Clement’s Inn, a ovest delle Royal Courts of Justice, una delle corti di giustizia più grandi d’Europa. Il Clement’s Inn non esiste più, fu demolito negli anni Settanta, ma si può prenotare un tour alla Corte d’Appello e al Tribunale, nel vicino e maestoso edificio neo-gotico, per saperne di più sul sistema giudiziario britannico (London@nccl.org.uk).
Il WSPU fu accusato di essere un organizzazione che esisteva per servire le classi medie e alte, ma c’era una filiale nell’East End di Londra, creata appositamente per convincere le donne della classe operaia ad aderire al movimento delle suffragette.
I media, però, non avevano molto interesse nella lotta per i diritti delle donne, quindi il WSPU decise di utilizzare metodi diversi per ottenere visibilità e promuovere il suffragio universale femminile.
Ad esempio, al British Museum, si può osservare un centesimo del 1903 timbrato con lo slogan “suffragette voto alle donne”. Deturpare una moneta non era solo un atto di disobbedienza civile ma un reato grave, per cui si rischiava una pena detentiva. Gli spiccioli diffondevano efficacemente il messaggio ed avevano meno probabilità di essere tolti dalla circolazione rispetto ad altre coniature.
Altri metodi, erano decisamente più cruenti, come rompere le finestre degli edifici governativi. Nell’estate del 1908, alcune suffragette marciarono a Downing Street e cominciarono a lanciare pietre di piccole dimensioni attraverso le finestre della casa del Primo Ministro. Una trentina di donne furono arrestate e inviate alla prigione di Holloway. Nell’ottobre 1908, ci fu una grande manifestazione a Londra, che portò a violenti scontri con la polizia. Al Museo di Londra, è possibile ammirare oggetti curiosi e interessanti, che raccontano la storia e l’evolversi, a volte drammatico, del movimento. Come, ad esempio, la cintura usata proprio nel 1908 per incatenarsi alle inferriate di edifici governativi. O, ancora, le medaglie conferite alle suffragette che avevano fatto lo sciopero della fame in prigione. Nel giugno 1913, in occasione della gara più importante dell’anno, il Derby, Emily Davison invase la pista e ha tentò di afferrare la briglia di Anmer, un cavallo di proprietà di re Giorgio V. Fu colpita mortalmente ed i suoi funerali si svolsero nella storica chiesa di St George Bloomsbury, progettata da Nicholas Hawksmoor, raffigurata da Hogarth nel suo “Gin Lane” e menzionata da Dickens, che viveva poco lontano. Il 26 luglio 1913 giunsero a Londra le delegazioni che prendevano parte al Grande Pellegrinaggio di suffragette organizzato dalla National Union of Women’s Suffrage Society. Le donne marciarono da tutti gli angoli di Inghilterra e Galles, alcune per sei settimane di seguito, fino ad Hyde Park, dove si svolse una manifestazione di massa e in cui, da una ventina di piattaforme diverse, gli oratori chiedevano a gran voce l’affrancamento delle donne. Le immagini scattate a questo raduno da Christina Broom, fotografa autodidatta e prima fotoreporter Britannica, si possono ammirare in una bella mostra gratuita, che resta aperta al Museum of London Docklands, fino al 1 novembre. Si stima che, nell’estate del 1914, oltre un migliaio di suffragette erano finite in carcere a seguito di azioni violente, Queste andavano dalle vetrine infrante ai danni a proprietà ed edifici, fino ad atti vandalici contro opere d’arte. Nel 1914, la Venere Rokeby di Velasquez, conservata alla National Gallery, ricevette almeno cinque fendenti con un tritacarne, brandito dalla suffragetta Mary Richardson, che protestava contro l’arresto di Emmeline Pankhurst.

Il 4 agosto 1914 l’Inghilterra dichiarò guerra alla Germania, ed ogni attività politica delle suffragette fu sospesa, per aiutare lo sforzo bellico. In cambio, il governo britannico cominciò a rilasciare le suffragette ancora in carcere. La legge che diede alle donne gli stessi diritti di voto degli uomini fu finalmente approvata nel 1928.

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Una mostra sulla Grande Peste di Londra

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Tra i vari centenari che cadono quest’anno, a Londra si ricordano anche i 350 anni dalla terribile epidemia di peste, che funestò la città nel 1665. La pestilenza, nota come the Great Plague, fu l’ultima grande epidemia di peste bubbonica ed uccise, in modo rapido e doloroso, circa 100.000 persone, quasi un quarto della popolazione londinese. Alla Guildhall Library, una mostra interessante, mette a disposizione del visitatore svariati documenti e volumi, tra cui i Bills of Mortality, le statistiche di mortalità settimanale di Londra, che servivano a monitorare le sepolture e, dal 161, venivano redatte dalla Worshipful Company of Parish Clerks, la corporazione degli impiegati parrocchiali. La City di Londra non era stata certo immune da episodi di peste, che ricorsero più volte tra la fine del XIV e la prima metà del XVII secolo. Infatti, c’erano stati ben 15 mini epidemie, di cui l’ultima, nel 1625, aveva causato parecchi morti. Tuttavia, la peste del 1665, causata dal batterio Yersinia pestis, ebbe effetti devastanti, anche sull’economia cittadina. Il morbo si diffuse velocemente nei quartieri più poveri di Londra, uccidendo, tra maggio e agosto, il 15% della popolazione. La parrocchia di St. Giles Cripplegate fu una delle aree maggiormente colpite. Chi ne aveva le possibilità, fuggiva dalla città, a piedi, cavallo o via fiume, in cerca di aree più salubri. Per lasciare Londra, bisognava mostrare un certificato di buona salute, rilasciato dalle autorità. Nel suo diario, Samuel Pepys offre un resoconto vivido delle strade vuote di Londra, e di come tutti quelli che potevano, se ne erano andati, nel tentativo di fuggire dalla peste. Anche la famiglia del celebre diarista trovò rifugio altrove, a Woolwhich, raggiunta in barca dal Tamigi. Le vittime della peste erano talmente tante che venivano sepolte in fretta e furia al di fuori delle mura cittadine, in fosse comuni, spesso non consacrate. Si stima che, sotto la stazione della metropolitana di Aldgate, ci sia una enorme fossa di vittime della peste, con più di 1.000 corpi. Nella mostra alla Guildhall Library, oltre alle statistiche e ai registri parrocchiali, si trovano anche libri di medicina e ricettari. Adesso sappiamo che la peste è di solito trasmessa attraverso il morso di un ratto o di una pulce infetta, ma nel 1665, c’era chi riteneva che  fosse stata causata dal passaggio nefasto di una cometa o che si trattasse di una punizione divina. I medici e i farmacisti, di cui l’80% pensò bene di fuggire, pensavano invece che la peste si dovesse a miasmi o a qualche oggetto contaminato proveniente dalla Francia o dall’Olanda. I rimedi anti-peste, atti a purificare l’aria o a tenere a bada il morbo, erano svariati ed eccentrici. Si va dai mazzolini di fiori da mettere sotto al naso, alle misture di erbe da annusare o masticare, tra cui ruta, tabacco, aglio, mirra, assenzio romano e zedoaria, ai portafortuna (Samuel Pepys teneva in tasca una zampa di lepre). Infine, le preghiere (San Rocco era il santo più invocato) e le cerimonie religiose, unica occasione di assembramento che non fosse stata abolita in città. Daniel Defoe, che nel 1722 pubblicò un Diario dell’anno della peste o La peste di Londra (A Journal of the Plague Year), aveva solo 5 anni quando si verificò la terribile epidemia, ma suo zio viveva e lavorava ad Aldgate e forse è proprio quel sellaio, indicato con le iniziali H.F., che nel romanzo narra le vicende in prima persona.
La Grande Peste è stato un evento inquietante nella City: uccise senza pietà migliaia di persone, e, unita al Grande Incendio dell’anno successivo, cambiò per sempre il volto di Londra.
London’s Dreadful Visitation: The Great Plague, 1665 è aperta alla Guildhall Library fino all’11 settembre. Ingresso gratuito.

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A Londra si celebra il Bicentenario della Battaglia di Waterloo

IMG_0037Duecento anni fa si combatteva la battaglia di Waterloo, pagina sanguinosa, che avrebbe cambiato la storia dell’Europa. Si discute ancora, tra gli storici, su quella giornata di due secoli fa, che segnò la fine per Napoleone. L’imperatore stesso, ebbe tempo in esilio per ripensare agli esiti, alle strategie mancate, a cosa non avesse funzionato. Probabilmente fu sfortuna. Gli inglesi avrebbero avuto la peggio se invece delle truppe prussiane di Blücher, fossero sopraggiunti i francesi di Grouchy. Ma la storia, come si sa, la scrivono i vincitori. E allora, se siete a Londra, potete senz’altro aggiungere ai vostri itinerari, quello del bicentenario di Waterloo. Basta raggiungere Hyde Park Corner, sistema giroscopico molto impegnativo per il traffico, che però è comodamente raggiungibile attraversando il parco oppure servendosi della metropolitana.
Un vasto insieme di tunnel sottopassaggio, collega i vari marciapiedi intorno a Hyde Park Corner. I tunnel, progettati nel 1962 per facilitare la vita dei pedoni, furono decorati con piastrelle a soggetto storico nel 1995. Queste opere furono sovvenzionate dalla fondazione   Free Form Arts Trust ed un’intero sottopasso è dedicato alla battaglia di Waterloo. Sono rappresentati i momenti più cruenti, ma anche l’incontro di Wellington e Blücher a La Belle Alliance, a fine battaglia. Mentre si esce, tra i rilievi di soldati al galoppo e sciabola sguainata, si può notare, sulla destra, la statua del duca di Wellington e, subito dietro, l’Arco di Trionfo nel mezzo di Hyde Park Corner. Si tratta del cosiddetto Wellington Arch, costruito tra il 1826 e il 1830 per controbilanciare il Marble Arch all’altra estremità del parco. Fu progettato da Demicus Burton e, originariamente, si trovava di fronte al n.1 Hyde Park, cioè Apsley House, la dimora di Sir Arthur Wellesley, primo duca di Wellington. La casa si trova sulla sinistra, ma è ora separata da Hyde Park Corner da una strada trafficata, aperta nel 1882, anno in cui l’arco fu spostato. Il duca era morto ormai da un trentennio e lo spostamento non creò particolari rimostranze. Anche la statua equestre che lo raffigurava e che si trovava sopra l’arco, fu rimossa nel 1912, stavolta tra qualche polemica. Ora si può ammirare una suggestiva quadriga di bronzo con l’Angelo della Pace che scende sul carro di guerra. L’Arco è gestito da English Heritage e si può visitare. Inoltre, fino al 1 novembre, al terzo e al quarto piano, un’esauriente mostra racconta la battaglia di Waterloo, attraverso un video racconto ben fatto, che ripercorre i momenti salienti del confilitto, e poi armi, dispacci, cimeli e persino la spada e i famosi stivali del duca di Wellington. Una volta discesi, e infilato il sottopasso, vi basterà attraversare dalla parte opposta, per passare un po`di tempo tra gli splendori e le memorie di Apsley House. Là potrete ammirare stendardi francesi catturati durante la famosa battaglia, servizi di porcellane commemorative o di provenienza imperiale, la sala da pranzo con la bella ricostruzione del Waterloo Banquet, i ritratti degli ufficiali che combatterono a Waterloo, una quadreria eccezionale con dipinti donati al duca dal sovrano di Spagna, e una gigantesca statua di Napoleone in veste di Marte pacificatore, scolpita da Canova, tra il 1802 ed il 1806. L’opera fu acquistata dal governo britannico nel 1816 per la somma di 66mila franchi e venne donata dal principe reggente al duca di Wellington nel 1817. Il pavimento di Apsley House fu appoitamente rinforzato per accomodare il peso della statua. La posizione della scultura, ‘imprigionata’ dalle balaustre della scala di ingresso, è ancora vista oggi come la prova che il vincitore di Waterloo cercò di umiliare il suo avversario, posizionando un trofeo di guerra in un ambiente domestico indegno. Molto probabilmente, invece, il luogo scelto dal duca per la statua di Canova, doveva servire ad incutere rispetto e riflessione, piuttosto che essere visto semplicemente come un confino umiliante. Infatti, quando a Wellington veniva chiesto di nominare il più grande generale dell’epoca, egli rispondeva: ‘In questa età, in epoche passate, in qualsiasi età, Napoleone’.

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Meraviglie del Rinascimento al British Museum

'Lyte Jewel' - The British Museum - Waddesdon Bequest M&ME 167 - Room 2a

‘Lyte Jewel’ – The British Museum – Waddesdon Bequest M&ME 167 – Room 2a

Verso la fine del 1880, il barone Ferdinand de Rothschild ordinava la creazione di una nuova Smoking Room in un’ala della sua residenza di Waddesdon nel Buckinghamshire. La sala doveva servire, non solo ad ospitare gentiluomini per il sigaro o la pipa del dopocena, ma, anche, contenere la magnifica collezione di Ferdinand, costituita da oggetti preziosi, sulla falsa riga delle raccolte principesche dei secoli XVI e XVII.
Ferdinand aveva voluto che la sala per fumatori, assieme all’adiacente sala biliardo e corridoio, fossero decorati in stile rinascimentale francese. Le teche di vetro, che custodivano gli oggetti, dovevano essere circondate da tendaggi, mobili e altri arredi sontuosi.
Alla sua morte, nel 1898, Ferdinand lasciò in eredità la maggior parte della sua collezione al British Museum, dove da oggi è in mostra permanente, gratuita, in una nuovissima sala.
Mi ricordo quando, tempo fa, dovevo avventurarmi nei meandri del museo per ammirare i tesori del Waddesdon Bequest. Gli oggetti, una selezione dei 300 che compongono il lascito, si trovavano in una sala buia ed angusta, quasi un cul de sac, che non rendeva piena giustizia ai fantastici pezzi di oreficeria, intaglio, ceramica e vetro. Da oggi, però, la donazione del barone Rothschild si può gustare di nuovo, ampliata ed in un ambiente adeguato, che ne permette una vera fruizione.
Tanti bellissimi pezzi medievali e rinascimentali, oltre, è stato accertato, ad un certo numero di (bei) falsi del XIX secolo. Uno spaccato interessante sul mercato e collezionismo antiquario fin de siècle. Il pezzo forte della collezione è il reliquiario francese del XV secolo, realizzato per Jean, duca di Berry (1340-1416), tutto costruito attorno ad una presunta spina della corona di Cristo. La spina, quasi scompare, circondata com’è da un tripudio di ori e smalti, angeli e santi, raggi e torri, perle e pietre preziose.
Un altro oggetto interessante, è il “Lyte Jewel“, un ciondolo apribile, che serba in sé il ritratto di Giacomo I d’Inghilterra. Il gioiello è ricchissimo e raffinato, decorato con diamanti, smalti ed una perla a goccia. Il ritratto del re, fu realizzato da un miniaturista ed orafo di grido, Nicholas Hilliard, attivo verso la fine del XV e gli inizi del XVI secolo. Il gioiello era stato donato dal sovrano a Thomas Lyte, un genealogista, che aveva tracciato le origini del casato di Giacomo, facendole risalire al Bruto troiano, fondatore della Britannia (pura leggenda, tuttavia politicamente efficace).
La collezione Rothschild è incredibile, comprende non solo gioielli, ma anche capolavori di argenteria, legno intagliato, ceramiche e fragili manufatti di vetro. Uno dei miei oggetti preferiti è un ciondolo d’oro, a forma di ricco paniere di smalti, che pende da tre catenelle ed è decorato con grappoli di rubini e perle. Su questo trespolo elegante, poggia un bellissimo pappagallo verde smaltato, con il dorso incastonato, anch’esso, da rubini.
Mi piace immaginare questo prezioso volatile dondolarsi alla catena di una dama, rilucente alle candele, sfolgorante alla luce del sole. Fu realizzato nel tardo Cinquecento, forse in Spagna. Oggi è alla portata di tutti, grazie al lascito di Ferdinand de Rothschild e al nuovo allestimento espositivo del British Museum.

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Falso d’Autore a Londra

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La Dulwich Picture Gallery è la più antica pinacoteca pubblica, fondata nel 1811 per ospitare capolavori di grandi artisti come Rubens, Rembrandt, Tiepolo e Poussin. La collezione fu assemblata nel XVIII secolo e avrebbe dovuto far parte della quadreria del re di Polonia, ma le cose andarono diversamente e i dipinti furono donati al Dulwich College. All’inizio di quest’anno, la pinacoteca londinese ha dato vita al progetto ‘Made in China’, ideato dall’artista concettuale Doug Fishbone.
Assieme al curatore Xavier Bray, Fishbone ha acquistato online dalla Meishing Oil Painting, una compagnia manufatturiera della Cina meridionale, la copia di un dipinto della collezione. Il dipinto, realizzato a mano e in scala leggermente diversa, da uno dei 150 artisti impiegati nella compagnia cinese, è costato l’equivalente di 70 sterline, incluse le spese di spedizione.
In Cina, il commercio di dipinti eseguiti nello stile dei grandi maestri è un business molto florido e le richieste pervengono da tutto il mondo via internet.
La replica del dipinto della Dulwich Picture Gallery è stata appesa al posto dell’originale e i visitatori sono stati invitati a scoprire l’intruso tra gli oltre 200 capolavori della collezione. Impresa non facile; infatti, su oltre 3000 segnalazioni, solo il 10% dei partecipanti ha indovinato quale fosse il falso d’autore.
Qualche giorno fa, l’originale del “Ritratto di Giovane Donna” di Fragonard è stato finalmente rimesso al suo posto, affiancato  dalla copia cinese contemporanea. I due dipinti, resteranno fianco a fianco per un paio di mesi, così da permettere i confronti.
L’esperimento si è rivelato, non solo l’occasione per molti visitatori di esercitare il loro sguardo critico e di interagire attivamente con i dipinti della collezione, ma anche un’ottima trovata pubblicitaria. Negli ultimi mesi, infatti, le visite alla Dulwich Picture Gallery si sono quadruplicate, permettendo al pubblico di ammirare le opere dei grandi maestri, nonché il lavoro di un anonimo artista cinese.

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Gli albori della fotografia, in mostra a Londra

talbotSono andata alla Tate Britain a vedere Salt and Silver, una mostra in programma fino al 7 giugno. Organizzata in collaborazione con il Wilson Centre of Photography, l’esposizione si svolge in quattro sale tematiche, permettendo al visitatore di ammirare una serie di delicatissime e, a volte, poco conosciute, foto ai sali d’argento, realizzate alla metà del XIX secolo.
I primi esempi di fotografie stampate su carta trattata con sali d’argento furono prodotti da William Henry Fox Talbot, mentre si trovava in viaggio di nozze a Lacock Abbey, e, assieme alla moglie, si dilettava disegnando il paesaggio, mediante l’uso di una camera oscura. Talbot pensò che sarebbe stato interessante poter imprimere realisticamente la scena che aveva davanti, in modo permanente. Spalmando la carta con una soluzione di sale da cucina, e nitrato d’argento, che alla luce del sole si sarebbe scurita, mantenendo invariate le zone d’ombra, egli inventò un negativo, che, poggiato su un altro foglio bagnato di sali d’argento e nuovamente esposto alla luce, gli permise di otttenere la prima stampa fotografica. Era il 1839. Oltremanica, in Francia, Louis Daguerre aveva già ottenuto risultati simili, utilizzando però una lastra di rame, su cui aveva applicato una foglia d’argento, che veniva sensibilizzata alla luce per mezzo di vapori di iodio. I due metodi convissero parallelamente, sotto il nome di Calotipo e Dagherrotipo.
Tuttavia, le stampe di Talbot, incontrarono i favori di chi cercava un effetto più delicato e artistico, che potesse rivaleggiare con le stampe tradizionali.
Questi effetti particolari si evincono immediatamente dalle fotografie in mostra, eseguite tra il 1843 ed il 1845. Un grande olmo viene immortalato da Talbot alla stregua di un ritratto illustre, ma la sovraesposizione tradisce l’incapacità del nuovo mezzo di fissare le nuvole in cielo, che appare vagamente chiazzato, ma non per questo meno affascinante.
Nei suoi esperimenti, Talbot si era reso conto che, gli oggetti scuri o di colore blu, influenzavano la carta sensibile proprio come quelli bianchi. Invece, gli oggetti tendenti al verde, lasciavano un’impronta meno definita. Questo, aveva ovviamente delle chiare implicazioni nell’applicazione della fotografia al paesaggio.
È interessante notare come, trent’anni prima dell’Impressionismo, i pionieri della fotografia, si cimentassero en plein air, negoziando luci e geometrie.
Uno dei primi studi fotografici di successo fu quello di David Octavius Hill e Robert Adamson, aperto ad Edinburgo a metà degli anni quaranta. Di loro, ci restano circa trecento fotografie di uomini e donne del villaggio di pescatori di Newhaven, che catturano poeticamente il duro lavoro quotidiano ed una certa fierezza dei costumi.
Nel 1851, di nuovo in Francia, Louis Désiré Blanquart-Evrard, inventò la stampa all’albume. Uno strato trasparente di chiara d’uovo bastava a fissare i sali d’argento, permettendo così una produzione “di massa” delle stampe fotografiche ed il lancio di pubblicazioni illustrate. La fotografia allora si diversificò ancora di più, documentando paesaggi esotici, rinvenimenti archeologici, guerre, monumenti, nudi artistici e ritratti, questi ultimi nel popolare formato carte de visite. È a questo punto che si chiude la rassegna londinese, prima che il calotipo e l’albumina spariscano, soppiantati dalla stampa al collodio e l’avvento del primo genere di istantanee.

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A Londra, una mostra di ventagli per il bicentenario di Waterloo

IMG_20150309_212755Ci sono molti modi di raccontare la storia: gli eventi possono essere ricostruiti tramite  mappe, documenti, lettere, immagini, testimonianze,  oppure oggetti di vario tipo. Waterloo: Life and Times, al Fan Museum di Greenwich, è una mostra di ventagli realizzati durante l’epopea napoleonica, alcuni addirittura per commemorare importanti campagne militari, francesi o inglesi, fino alla battaglia di Waterloo, che, nel 1815, vide le truppe napoleoniche sconfitte dagli eserciti alleati. Lontano dai campi di battaglia, la storia si intreccia con la moda e gli oggetti d’arte decorativa, e lo scenario sociale ruota intorno a balli ed assemblee mondane. Queste occasioni di ritrovo erano gli eventi a cui non mancare, tanto a Parigi, quanto a Londra.  Memorabile resta il ballo organizzato dalla duchessa di Richmond alla vigilia della battaglia di Waterloo, evento a cui presero parte ospiti di eccezione come il principe d’Orange, il duca di Brunswick e lo stesso Wellington.
L’atmosfera gaia e spensierata di questo ballo, iniziato alle dieci della sera del 15 giugno, fu drammaticamente spenta dalle notizie della battaglia imminente e dal congedo immediato di molti dei partecipanti, tanto che, il giorno seguente, alcuni ufficiali si recarono alla battaglia di Quatre Bras senza aver avuto tempo di cambiarsi uniforme.
Durante balli meno drammatici di questo, oppure serate a teatro o riunioni mondane, le signore portavano ventagli eleganti, più piccoli dei loro predecessori settecenteschi, decorati riccamente da paillettes, oppure dipinti con scene di gusto neoclassico.
I vestiti stretti, a vita alta, non potendo ospitare tasche voluminose, portarono alla comparsa di borse ricamate e di ventagli, che potevano esservi comodamente inseriti. Questi ventagli, di dimensioni ridotte, furono molto popolari durante il periodo Regency, sia nella versione tradizionale, che nelle due forme brisé (un ventaglio composto solo di stecche decorative) o a coccarda (un ventaglio pieghevole che poteva essere aperto a 360 gradi).
La popolarità dei nuovi ventagli, intagliati o forati, per dare l’illusione della filigrana o del pizzo, probabilmente fu determinata dall’utilizzo di stecche simili, più o meno decorate, che richiedevano un’intensità di lavoro minore.  La loro semplicità ben si accordava con le forme meno elaborate dei vestiti.  Inoltre, a seguito degli ideali democratici delle rivoluzioni americana e francese, i ventagli divennero alla portata delle classi meno abbienti, grazie all’impiego di materiali economici (corno ed osso invece dell’avorio o della tartaruga), o di carte o tessuti stampati invece che dipinti.
Nella mostra londinese, si trovano sia ventagli glamour, pubblicati su riviste di grido come La Belle Assemblée o Ackermann Repository, sia quelli di propaganda, che rappresentano Nelson, Wellington, Napoleone e altre figure eroiche del periodo. A volte, però, si trovano esemplari ‘misti’ come  il ventaglio francese a coccarda, in avorio, lustrini e bordure dorate, risalente al 1805, che, indirettamente, rimanda al sole della battaglia di Austerlitz, o quello del 1816, decorato con le violette, simbolo Bonapartista. Interessante notare come questo ventaglio mostri le stecche visibili sul verso. Si tratta di una montatura detta à l’Anglaise, in uso in Gran Bretagna durante l’embargo napoleonico, per risparmiare sul costo della carta, e ora impiegata nella Francia post Waterloo.
IMG_20150312_084036Alcuni esemplari, sia brisé che a coccarda, sono forniti di un ingegnoso, quanto minuscolo cannocchiale, inserito nell’impugnatura e utilissimo per le serate all’opera o per guardarsi intorno in altre occasioni.
Ai ventagli si affiancano altri oggetti raffinati: vestiti, accessori e porcellane francesi, queste ultime in prestito dal Bowes Museum di Barnard Castle, nel nord Inghilterra.
La mostra offre una prospettiva unica su un periodo spesso trascurato, esponendo una gamma di ventagli e di stili in voga tra il 1800 e il 1820, quando, a Restaurazione ormai avvenuta, cominciano a comparire motivi ogivali, inserti di opalina e decorazioni tipiche dell’era Romantica. E si evince, come, nonostante tutto, la Francia domini ancora la moda europea.

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Le ricette di Mrs Beeton ed i suoi contemporanei. Una mostra a Londra.

IMG_20150220_140516Isabella Beeton fu una scrittrice vittoriana, nata a Milk Street, nella odierna City of London, il 12 marzo 1836. Proveniente da una famiglia assai numerosa, appena ventenne, andò in sposa a  Samuel Beeton, un editore di successo, per il quale cominciò a scrivere articoli di cucina ed economia domestica.
Questi articoli, che tra il 1859 e il 1861 facevano parte di un supplemento del giornale  illustrato The Englishwoman’s  Domestic Magazine,  furono  poi raccolti nel famoso The Book of Household Management, uno dei più famosi libri di cucina mai pubblicati. Il volume, illustrato con incisioni colorate su quasi ogni pagina, vendette oltre 60.000 copie nel suo primo anno di pubblicazione (1861) e quasi due milioni entro il 1868. Oltre alle ricette (famosa quella del Christmas Pudding)  il libro conteneva consulenze sulla gestione della casa, la cura dei bambini, le norme di galateo e le istruzioni da impartire alla servitù. 150 anni dopo la sua morte, avvenuta il 6 febbraio del 1865, la signora Beeton è ancora una delle figure più importanti nella storia alimentare. Adesso, una bella mostra alla Guildhall Library, esamina il suo impatto sulla cultura e la culinaria di ieri e di oggi.IMG_20150218_090715
Il best seller della Beeton, la quale, più che una brava cuoca, era un’ottima giornalista, attinse a varie fonti, una fra tutte il primo libro di cucina inglese destinato ai lettori piuttosto che ai cuochi professionisti: Modern Cookery for Private Families
di  Eliza Acton. In questo libro, la Acton introdusse per la prima volta la pratica, ormai universale, di elencare gli ingredienti prima del metodo e suggerire i tempi di cottura di ogni ricetta.
La mostra londinese espone diverse copie dei libri di Mrs Beeton ed Eliza Acton, accompagnati da suggestivi utensili di cucina, come stampi, rotelle e teglie per torte, colini di rame, ceramiche ed argenterie da tavola, e un martinetto a bottiglia, costruito a Cheapside, e proveniente dalle cucine del pub The Ship Tavern, a Lime Street.
Un’altra celebrità della prima metà del XIX secolo, fu Alexis Soyer, chef del prestigioso Reform Club di Londra. Soyer era davvero famoso, e lo era in senso moderno.  Amava infatti esibirsi ed autopromuoversi, e seppe commercializzare una vasta  gamma di attrezzature da cucina, salse e condimenti, nonché volumi di ricette. Per celebrare l’ascesa al trono della regina Vittoria, preparò una colazione al Reform Club per oltre 2000 persone!
Tuttavia, Soyer voleva anche migliorare la qualità dell’alimentazione tra i poveri.IMG_20150218_090559
Uno dei suoi libri, A Shilling Cookery for the People, è un manuale pieno di consigli pratici, basato sul presupposto che molti lettori non  avrebbero potuto permettersi di seguire ricette complicate o costose. Nella teca della mostra a lui dedicata, troviamo anche un altro libro, The Modern Housewife, combinazione di ricette e suggerimenti, aperto alla pagina illustrata con due torte di mele: una, perfetta, l’aspirazione di ogni cuoco o massaia, l’altra, miseramente afflosciata all’interno, come spesso succede, anche a chi possiede forni modernissimi.
La mostra si chiude con le ristampe anastatiche del volume della Beeton, assieme a ricettari e compilazioni che, della scrittrice vittoriana, portano solo il nome, fino ai libri di cucina di celebrità moderne come Delia Smith, una delle scrittrici più influenti dagli anni ’70 in poi, meritevole di avere introdotto in Gran Bretagna ingredienti ‘esotici’ come il chorizo e lo sciroppo di glucosio. Tempi recenti hanno visto un aumentato interesse per la storia del cibo e della culinaria e vale la pena ricordare che la Guildhall Library possiede la più grande collezione di libri di cucina del Regno Unito, accessibili  gratuitamente tramite un eccellente catalogo online.

Celebrity Cooks: Mrs Beeton and her Contemporaries è aperta fino al 17 aprile. Ingresso gratuito.